CAPODANNO METAFISICO
Il cameriere scosta elegantemente la sedia e fa accomodare al tavolo Carlo, ignorando di trovarsi di fronte ad un sedizioso incallito, che per l’occasione ha deciso di spendere tutto quello che gli è rimasto. Un milione di lire, circa.
Capodanno. I volti adorni di festa, la gente sgualcita da brillanti affanni, lo distraggono. Il cameriere attende, ma è impossibile non lasciarsi affascinare dallo sguardo malinconico di quella quarantacinquenne dai capelli chiari, con il tempo che passa imboscato nel fard. |
Deve essere ricca. La corteggerà. E’ la sua specialità recitare la parte di principe azzurro e grande amante, che si trasforma per magia in principe… al verde.
L’uomo in livrea gli illustra diligentemente il menù. Ma sì, a Capodanno ci sta bene un antipasto di mare, orata alla griglia con porcini in umido. Come primo un bel piatto d’agnolotti al salmone, grazie.
La carta dei vini. L’anziano cameriere impettito avvertì il dovere di proporgli un ottimo Pigato, ma lui no: Rossese di Dolceacqua. Il rosso è perfetto col pesce. Uno schiaffo al bon ton gastronomico! Era soddisfatto d’aver portato la contestazione enologica sotto le nobili volte di quel ristorante storico.
La bionda, sottintesa nel maquillage, evitava il suo sguardo, e lui si concentrava pigramente sul digiuno esistenziale, carico di debiti. Eppure lo aveva giurato: dopo l’esame di maturità va dove vuoi, ma non in quella direzione. Mentiva a se stesso, le auto sportive non gli piacevano, come le palestre, i cocktail, le cene malevole, il golf, la tecnologia, gli orologi di lusso, le vacanze alle Barbados e le gite a Lugano.
Le ultime ore agonizzavano e nonostante fosse costretto a passare San Silvestro da solo, non era voluto restare a casa. Il 1995, anno di merda, da gettare. Rosalba lo aveva mollato lì, come un ritardato, per passare capodanno in Kenya con un’amica: - Devo prendermi una pausa, rilassarmi un po’. Dopo, forse, potrò decidere se continuare questa storia assurda… aveva detto. Se l’amica era fornita di un bel manico e tanti soldi, lui avrebbe perso… tutto.
Carlo faceva il gradasso, ma in realtà spendeva i quattrini degli altri e suo padre era malato: più che l’inizio del nuovo, festeggiava la fine del vecchio.
La sua mente ripensò alla vacanza in luglio con lei, in Spagna, e ad un articolo che aveva letto su una rivista scientifica, seduto in un caffé di Cadaquès: L’ultima ipotesi cosmologica sulla vita dell’Universo.
Il cosmo era come un Dalì. Spaventoso numero di dipinti, disegni, sculture, suddivisibili in ere. All’inizio c’è un puntino con i baffetti, che s’incazza, esplode e inizia a pitturare all’infinito. Poi? Le opere abbandonano l’autore, il loro centro di gravità, escono dalle orbite e vagabondano per la galassia delle gallerie d’arte, delle case, dei musei, infine scompaiono nelle casseforti, in profondi sotterranei: i buchi neri.
I buchi neri inghiottono tutto: Dalì, Catalogna, Rosalba, stelle e pianeti. È la salvezza! I buchi neri stellari sono inglobati da quelli super stellari e questi da quelli galattici che vanno a sommarsi all’immenso buco nero universale. Ed esso si comprime sino a formare il Big Crunch, lo stesso puntino di partenza, che è incazzato al contrario e rivuole tutto indietro. Dalì era un padre eterno assai egocentrico, diciamocelo francamente.
Se andasse così, il ciclo ricomincerebbe e l’eterno ritorno attuerebbe la sua profezia. E invece no! Cosa decidono di fare queste opere d’arte nere, densissime, imprevedibili, accentratrici, identiche a Dalì? Evaporano e decadono, inarrestabili. Si giungerà così all’ultimo atto, nel quale tutto tornerà al geniale zero assoluto: Dalì, appunto.
Ricordò queste considerazioni, fatte cercando di non giudicare troppo il volto di Rosalba, che beveva gaspacho, continuando ad orientare la faccia verso il sole, come un girasole esagerato. Carlo non accettava il passare del tempo e il radicarsi dei difetti estetici e morali sul viso e sul corpo di Rosalba. Lei si ostinava a prendere troppo sole, ovunque e sempre, possibilmente nuda anche sulle spiagge dove era vietato, con i seni rinsecchiti e il culo enorme. Era felice di poter mostrare una corona di solchi e di zampe di gallina attorno agli occhi, da fare invidia alla Strega Nocciola. La sua pelle era incartapecorita, ingiallita, mentre lui ambiva ad un’eterna gioventù; si badi bene, non l’adolescenza, la giovinezza, che regala anche alle persone con un fisico non proprio perfetto una bellezza egualmente piacevole, desiderabile, elegante. Lei, invece, voleva solo che lui contribuisse all’economia della convivenza, trovando un lavoro vero, diceva, uno qualsiasi.
Doveva finirla di fare il direttore di una televisione di serie b! Smetterla di giocare d’azzardo, inseguendo affari improbabili! Carlo, combattuto tra dovere, amore ed appagamento estetico, non riusciva a trovare un modo per unificare i pensieri e i giudizi che gli trapassavano la mente come frecce. La meditazione non serviva. La sua consapevolezza voleva pensieri. Sapeva che la conclusione cui giunge ogni mistico è la rimozione di Dio. Dio non è un Altro da amare, da temere o da adorare. Dio è dentro di te: non ci sono broker. E’ così anche per il lavoro. Il lavoro non è una cosa da amare o da temere o da adorare. Il lavoro è dentro di te, senza intermediari; se non l’hai dentro, il lavoro, proprio non puoi capirlo. Fa parte della natura umana aver paura di ciò che non si capisce. L’accettazione del dovere giunge dopo aver completamente rimosso l'Io psicologico. In sintesi, per mantenere vivo il rapporto, non avrebbe dovuto domandarsi se Dio esiste, né chiedersi perché si debba lavorare, ma lavorare, perché così esigeva Rosalba, e non rompere i coglioni.
Perché Carlo, a quaranta anni suonati, rimpiangeva il quartiere della sua adolescenza e continuava a corteggiare d’istinto ogni donna carina? Non era normale. Era un segno d’infantilismo vivere nel passato e credere d’avere possibilità e risorse illimitate.
“Forse negli universi paralleli”, pensò sorseggiando il Rossese, “c'è un altro me stesso che vive un’eterna giovinezza ed infiniti amori; è questa la genialità del Grande Architetto. Ha costruito un Super Mercato delle Vite, suddiviso in infiniti saloni non comunicanti. Diversi Big Bang, il tempo immaginario, le ipotesi sui mondi possibili in base alla meccanica quantistica, e perché non applicare la metempsicosi agli universi paralleli? Questo è un Universo, in tutti gli altri io non esisto e non sono esistiti tutti gli amplessi vissuti sino ad oggi. Lì… io non c’entro niente, è solo una struttura temporale di portata… ecco gli agnolotti al salmone.”
Terminato il Rossese ordinò finalmente un Pigato, bianco come i denti giallognoli della quarantacinquenne volpina, che ora lo guardava eccome, diritto negli occhi. Sperò che fosse ligure, magari di Ventimiglia come Rosalba, per fare pendant con i vini. Una luce sinistra brillava sul quel viso misterioso, avvolto nel fard. Ebbe un sussulto: l’universo si stava ancora espandendo, per milioni di chilometri, si stava gonfiando come il suo stomaco, come l’impotente superbia di Dalì. Il bisogno di far rutti diventava forte. Ricordò Guido e i suoi flati pazzeschi. Ridacchiò sotto i baffetti, pensando alle donne che il suo amico aveva cercato di farsi su, quando ancora si frequentavano. Quasi tutte avrebbero indotto Alberoni a scrivere "Innamoramento e Pentimento".
Arrivò il pesce, mentre la volta celeste continuava a muoversi. Orione s’adagiava mollemente sul nulla: bella e tetra, come l’orata. Gli occhi bruciacchiati di quella “povera ragazza”, lo guardavano imploranti ma privi di vita: era uno sguardo spento, artico, perfettamente in simbiosi con le gambe incipriate da un collant tinta cenere, che la bionda teneva dischiuse sotto il tavolo. Il suo corpo, non tra i più freschi ed elastici del mondo, prometteva grandi emozioni a chi avesse saputo leggere tra le rughe. Un cadavere delizioso.
Nonostante l’approccio lontano ma inequivocabile, il 1995 era in fin di vita, ed entro quattro anni sarebbe finito il secolo delle guerre, il millennio delle crociate, dei roghi, dell’inquisizione, del genocidio dei popoli. Sapeva che nel ventunesimo secolo non sarebbe cambiato niente. Era inutile commuoversi tanto, pensando a Sacco e Vanzetti, Pinelli, Valpreda, alla guerra di Spagna, al Vietnam, a Che Guevara e Malcom X, al Cile d’Allende ed a Victor Hara. Nel secolo a venire, milioni di scemi avrebbero pensato, detto, fatto e comprato le stesse cose in tutto il mondo, invocando sicurezza e manette.
Meglio concentrarsi sul vino, sul pesce, sul contorno di porcini. Il Pigato gli sembrò soave e pensò: “Che assurdità!” Al trentesimo sorso le voci femminili divennero nebulose, l’universo non era lontano. Un’adolescente si alzò per andare in bagno, nel suo abito da sera corredato da scollatura vorticante, che mostrava la schiena sino all’attacco dei glutei. Buchi neri celati. Antichi ricordi.
Sentì salire dallo stomaco alla testa un vento di fuoco che preludeva ad una tempesta ormonale. Un riverbero fossile filtrava dal volto sgualcito del marito della sua preda. Si era accorto che lei emanava fotoni in fase dagli occhi, cercando di colpirlo all’inguine. Il gioco diventava intrigante e il vecchio amico di Guido decise di ostentare superiorità per conquistarla. Gli venne in mente quella festa a Parigi, dove un noto personaggio prese del caviale e lo mise in un’ostrica, poi la riempì di Don Perignon fino all’orlo e la ingurgitò. Così decise di fare. Ma prima di ordinare gli ingredienti necessari per quella dimostrazione di stile, si chiese se l’effetto sarebbe stato migliore, aggiungendo tartufi bianchi d’Alba conditi con aceto balsamico di Modena.
“Un meticciato gastronomico troppo volgare?” si chiese. E si rispose: “Quest’anno di merda muore, l’ora ictus arriva inesorabile, come l’ebbrezza stellare negli amplessi delle coppiette con la biancheria intima rossa. Chi non scopa a capodanno non scopa tutto l’anno! La bionda sembra allegra e dondola la testa pericolosamente. La durata della mia vita, il volume e la massa del mio corpo, sono una frazione dell’Universo, troppo vicina allo zero! E’ inutile aprire una discussione col cameriere sul caviale o una diatriba sul tartufo. E’ preferibile alzarsi dalla sedia, ora, a cinque minuti da mezzanotte, e invitarla a ballare, sprezzante dell’adulto che l’affianca.”
Lo fece.
Lei non accettò ma sorrise, inumidendosi le labbra con due graziosi giri di lingua. Solo la punta. Carlo tornò al tavolo, soddisfatto del suo coraggio ordinò il premio: una bottiglia di champagne, lenticchie e cotechino. L’anno di merda schiattava, finalmente. Le donne si alzavano, seguite da mariti e fidanzati, iniziava l’era dei brindisi, il momento clown dell’universo. I passeggeri di quell’astronave volevano divertirsi con la disperazione nei cocktail champagne, pozioni sabbatiche che dopo qualche calice danno alla testa e fanno vedere le stelle.
Barcollò verso il centro del salone, stringendo gelosamente il collo della bottiglia. Qualcuno cominciò il conteggio degli ultimi secondi del 1995, pronto ad esultare per il suo trapasso. Meno dieci, nove, otto… sette milioni di neutrini stavano vibrando? Meno sei, cinque, quanti fotoni stavano rimbalzando sul suo corpo? Forse era l’alcool. Meno quattro, tre, due, quanti capodanni dovrò ancora sorbirmi? pensò Carlo: uno, il botto collettivo fu tremendo! Carlo si vide fuggire terrorizzato, cacciato dal Paradiso Terrestre, sentì l’affanno della corsa nella foresta primigenia, con le lacrime negli occhi astrali, mentre s’andava formando un corpo fisico. Oltretutto… nevicava un casino, allora sperò che Lui concedesse un po’ di ritardo al figliol prodigo e che il vitello grasso si fosse messo a dieta. Nei giorni successivi sarebbe tornato al suo frigo, o meglio a quell’archivio in cui smarriva con metodo gli avanzi dei cibi cotti da settimane, accanto a verdure marce, croste di formaggio ammuffite e calzini.
Segue
L’uomo in livrea gli illustra diligentemente il menù. Ma sì, a Capodanno ci sta bene un antipasto di mare, orata alla griglia con porcini in umido. Come primo un bel piatto d’agnolotti al salmone, grazie.
La carta dei vini. L’anziano cameriere impettito avvertì il dovere di proporgli un ottimo Pigato, ma lui no: Rossese di Dolceacqua. Il rosso è perfetto col pesce. Uno schiaffo al bon ton gastronomico! Era soddisfatto d’aver portato la contestazione enologica sotto le nobili volte di quel ristorante storico.
La bionda, sottintesa nel maquillage, evitava il suo sguardo, e lui si concentrava pigramente sul digiuno esistenziale, carico di debiti. Eppure lo aveva giurato: dopo l’esame di maturità va dove vuoi, ma non in quella direzione. Mentiva a se stesso, le auto sportive non gli piacevano, come le palestre, i cocktail, le cene malevole, il golf, la tecnologia, gli orologi di lusso, le vacanze alle Barbados e le gite a Lugano.
Le ultime ore agonizzavano e nonostante fosse costretto a passare San Silvestro da solo, non era voluto restare a casa. Il 1995, anno di merda, da gettare. Rosalba lo aveva mollato lì, come un ritardato, per passare capodanno in Kenya con un’amica: - Devo prendermi una pausa, rilassarmi un po’. Dopo, forse, potrò decidere se continuare questa storia assurda… aveva detto. Se l’amica era fornita di un bel manico e tanti soldi, lui avrebbe perso… tutto.
Carlo faceva il gradasso, ma in realtà spendeva i quattrini degli altri e suo padre era malato: più che l’inizio del nuovo, festeggiava la fine del vecchio.
La sua mente ripensò alla vacanza in luglio con lei, in Spagna, e ad un articolo che aveva letto su una rivista scientifica, seduto in un caffé di Cadaquès: L’ultima ipotesi cosmologica sulla vita dell’Universo.
Il cosmo era come un Dalì. Spaventoso numero di dipinti, disegni, sculture, suddivisibili in ere. All’inizio c’è un puntino con i baffetti, che s’incazza, esplode e inizia a pitturare all’infinito. Poi? Le opere abbandonano l’autore, il loro centro di gravità, escono dalle orbite e vagabondano per la galassia delle gallerie d’arte, delle case, dei musei, infine scompaiono nelle casseforti, in profondi sotterranei: i buchi neri.
I buchi neri inghiottono tutto: Dalì, Catalogna, Rosalba, stelle e pianeti. È la salvezza! I buchi neri stellari sono inglobati da quelli super stellari e questi da quelli galattici che vanno a sommarsi all’immenso buco nero universale. Ed esso si comprime sino a formare il Big Crunch, lo stesso puntino di partenza, che è incazzato al contrario e rivuole tutto indietro. Dalì era un padre eterno assai egocentrico, diciamocelo francamente.
Se andasse così, il ciclo ricomincerebbe e l’eterno ritorno attuerebbe la sua profezia. E invece no! Cosa decidono di fare queste opere d’arte nere, densissime, imprevedibili, accentratrici, identiche a Dalì? Evaporano e decadono, inarrestabili. Si giungerà così all’ultimo atto, nel quale tutto tornerà al geniale zero assoluto: Dalì, appunto.
Ricordò queste considerazioni, fatte cercando di non giudicare troppo il volto di Rosalba, che beveva gaspacho, continuando ad orientare la faccia verso il sole, come un girasole esagerato. Carlo non accettava il passare del tempo e il radicarsi dei difetti estetici e morali sul viso e sul corpo di Rosalba. Lei si ostinava a prendere troppo sole, ovunque e sempre, possibilmente nuda anche sulle spiagge dove era vietato, con i seni rinsecchiti e il culo enorme. Era felice di poter mostrare una corona di solchi e di zampe di gallina attorno agli occhi, da fare invidia alla Strega Nocciola. La sua pelle era incartapecorita, ingiallita, mentre lui ambiva ad un’eterna gioventù; si badi bene, non l’adolescenza, la giovinezza, che regala anche alle persone con un fisico non proprio perfetto una bellezza egualmente piacevole, desiderabile, elegante. Lei, invece, voleva solo che lui contribuisse all’economia della convivenza, trovando un lavoro vero, diceva, uno qualsiasi.
Doveva finirla di fare il direttore di una televisione di serie b! Smetterla di giocare d’azzardo, inseguendo affari improbabili! Carlo, combattuto tra dovere, amore ed appagamento estetico, non riusciva a trovare un modo per unificare i pensieri e i giudizi che gli trapassavano la mente come frecce. La meditazione non serviva. La sua consapevolezza voleva pensieri. Sapeva che la conclusione cui giunge ogni mistico è la rimozione di Dio. Dio non è un Altro da amare, da temere o da adorare. Dio è dentro di te: non ci sono broker. E’ così anche per il lavoro. Il lavoro non è una cosa da amare o da temere o da adorare. Il lavoro è dentro di te, senza intermediari; se non l’hai dentro, il lavoro, proprio non puoi capirlo. Fa parte della natura umana aver paura di ciò che non si capisce. L’accettazione del dovere giunge dopo aver completamente rimosso l'Io psicologico. In sintesi, per mantenere vivo il rapporto, non avrebbe dovuto domandarsi se Dio esiste, né chiedersi perché si debba lavorare, ma lavorare, perché così esigeva Rosalba, e non rompere i coglioni.
Perché Carlo, a quaranta anni suonati, rimpiangeva il quartiere della sua adolescenza e continuava a corteggiare d’istinto ogni donna carina? Non era normale. Era un segno d’infantilismo vivere nel passato e credere d’avere possibilità e risorse illimitate.
“Forse negli universi paralleli”, pensò sorseggiando il Rossese, “c'è un altro me stesso che vive un’eterna giovinezza ed infiniti amori; è questa la genialità del Grande Architetto. Ha costruito un Super Mercato delle Vite, suddiviso in infiniti saloni non comunicanti. Diversi Big Bang, il tempo immaginario, le ipotesi sui mondi possibili in base alla meccanica quantistica, e perché non applicare la metempsicosi agli universi paralleli? Questo è un Universo, in tutti gli altri io non esisto e non sono esistiti tutti gli amplessi vissuti sino ad oggi. Lì… io non c’entro niente, è solo una struttura temporale di portata… ecco gli agnolotti al salmone.”
Terminato il Rossese ordinò finalmente un Pigato, bianco come i denti giallognoli della quarantacinquenne volpina, che ora lo guardava eccome, diritto negli occhi. Sperò che fosse ligure, magari di Ventimiglia come Rosalba, per fare pendant con i vini. Una luce sinistra brillava sul quel viso misterioso, avvolto nel fard. Ebbe un sussulto: l’universo si stava ancora espandendo, per milioni di chilometri, si stava gonfiando come il suo stomaco, come l’impotente superbia di Dalì. Il bisogno di far rutti diventava forte. Ricordò Guido e i suoi flati pazzeschi. Ridacchiò sotto i baffetti, pensando alle donne che il suo amico aveva cercato di farsi su, quando ancora si frequentavano. Quasi tutte avrebbero indotto Alberoni a scrivere "Innamoramento e Pentimento".
Arrivò il pesce, mentre la volta celeste continuava a muoversi. Orione s’adagiava mollemente sul nulla: bella e tetra, come l’orata. Gli occhi bruciacchiati di quella “povera ragazza”, lo guardavano imploranti ma privi di vita: era uno sguardo spento, artico, perfettamente in simbiosi con le gambe incipriate da un collant tinta cenere, che la bionda teneva dischiuse sotto il tavolo. Il suo corpo, non tra i più freschi ed elastici del mondo, prometteva grandi emozioni a chi avesse saputo leggere tra le rughe. Un cadavere delizioso.
Nonostante l’approccio lontano ma inequivocabile, il 1995 era in fin di vita, ed entro quattro anni sarebbe finito il secolo delle guerre, il millennio delle crociate, dei roghi, dell’inquisizione, del genocidio dei popoli. Sapeva che nel ventunesimo secolo non sarebbe cambiato niente. Era inutile commuoversi tanto, pensando a Sacco e Vanzetti, Pinelli, Valpreda, alla guerra di Spagna, al Vietnam, a Che Guevara e Malcom X, al Cile d’Allende ed a Victor Hara. Nel secolo a venire, milioni di scemi avrebbero pensato, detto, fatto e comprato le stesse cose in tutto il mondo, invocando sicurezza e manette.
Meglio concentrarsi sul vino, sul pesce, sul contorno di porcini. Il Pigato gli sembrò soave e pensò: “Che assurdità!” Al trentesimo sorso le voci femminili divennero nebulose, l’universo non era lontano. Un’adolescente si alzò per andare in bagno, nel suo abito da sera corredato da scollatura vorticante, che mostrava la schiena sino all’attacco dei glutei. Buchi neri celati. Antichi ricordi.
Sentì salire dallo stomaco alla testa un vento di fuoco che preludeva ad una tempesta ormonale. Un riverbero fossile filtrava dal volto sgualcito del marito della sua preda. Si era accorto che lei emanava fotoni in fase dagli occhi, cercando di colpirlo all’inguine. Il gioco diventava intrigante e il vecchio amico di Guido decise di ostentare superiorità per conquistarla. Gli venne in mente quella festa a Parigi, dove un noto personaggio prese del caviale e lo mise in un’ostrica, poi la riempì di Don Perignon fino all’orlo e la ingurgitò. Così decise di fare. Ma prima di ordinare gli ingredienti necessari per quella dimostrazione di stile, si chiese se l’effetto sarebbe stato migliore, aggiungendo tartufi bianchi d’Alba conditi con aceto balsamico di Modena.
“Un meticciato gastronomico troppo volgare?” si chiese. E si rispose: “Quest’anno di merda muore, l’ora ictus arriva inesorabile, come l’ebbrezza stellare negli amplessi delle coppiette con la biancheria intima rossa. Chi non scopa a capodanno non scopa tutto l’anno! La bionda sembra allegra e dondola la testa pericolosamente. La durata della mia vita, il volume e la massa del mio corpo, sono una frazione dell’Universo, troppo vicina allo zero! E’ inutile aprire una discussione col cameriere sul caviale o una diatriba sul tartufo. E’ preferibile alzarsi dalla sedia, ora, a cinque minuti da mezzanotte, e invitarla a ballare, sprezzante dell’adulto che l’affianca.”
Lo fece.
Lei non accettò ma sorrise, inumidendosi le labbra con due graziosi giri di lingua. Solo la punta. Carlo tornò al tavolo, soddisfatto del suo coraggio ordinò il premio: una bottiglia di champagne, lenticchie e cotechino. L’anno di merda schiattava, finalmente. Le donne si alzavano, seguite da mariti e fidanzati, iniziava l’era dei brindisi, il momento clown dell’universo. I passeggeri di quell’astronave volevano divertirsi con la disperazione nei cocktail champagne, pozioni sabbatiche che dopo qualche calice danno alla testa e fanno vedere le stelle.
Barcollò verso il centro del salone, stringendo gelosamente il collo della bottiglia. Qualcuno cominciò il conteggio degli ultimi secondi del 1995, pronto ad esultare per il suo trapasso. Meno dieci, nove, otto… sette milioni di neutrini stavano vibrando? Meno sei, cinque, quanti fotoni stavano rimbalzando sul suo corpo? Forse era l’alcool. Meno quattro, tre, due, quanti capodanni dovrò ancora sorbirmi? pensò Carlo: uno, il botto collettivo fu tremendo! Carlo si vide fuggire terrorizzato, cacciato dal Paradiso Terrestre, sentì l’affanno della corsa nella foresta primigenia, con le lacrime negli occhi astrali, mentre s’andava formando un corpo fisico. Oltretutto… nevicava un casino, allora sperò che Lui concedesse un po’ di ritardo al figliol prodigo e che il vitello grasso si fosse messo a dieta. Nei giorni successivi sarebbe tornato al suo frigo, o meglio a quell’archivio in cui smarriva con metodo gli avanzi dei cibi cotti da settimane, accanto a verdure marce, croste di formaggio ammuffite e calzini.
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