NATALE ELETTRICO
Io amo raccontare questa storia intima, che nasce mentre un signore incappottato tira fuori del portafogli di pelle due banconote da diecimila lire, nuove, crepitanti. Quel rumore, quella musica arcaica vecchio conio, antica come i templi d’Atlantide e la corona d’Ataualpa, mi precipita indietro nel tempo.
L’uomo con il cappello Borsalino sulle ventitrè, aveva gli occhi azzurri come i lillà, ed erano occhi che avevano perlustrato e valutato ogni prodotto in quel bel negozio.Grande vetrina, incorniciata da legni austeri di faggio chiaro, dominata da un’insegna rettangolare di vetro nero, con caratteri corsivi dorati e |
scintillanti: porta d’ingresso impreziosita da una pesante maniglia d’ottone, ad ogni ingresso il magico benvenuto di un elfo elettrico: din, don, dan…
Ecco il gran serraglio dell’immaginazione elettrica, poggiato su un pavimento di graniglia, lucidato a piombo; pezzetti di marmo bianco affondati nel nero. Nero, legno e oro, i colori dominanti di una storia piccola, inutile, che non dovrei raccontare. Scaffali incernierati ai muri con ripiani in balsa e qui radio di plastica e bachelite, simili ad astronavi, frullatori spaziali pronti al decollo per un frappé su Urano. Grosse radio in radica, radio sarcofagi che cantano Amapola.
Fonovaligie amiche, dal braccio sinuoso di pesante metallo cromato. Lucidatrici – aspirapolvere di tempra pesante, di foggia assai strana, opache o cromate: scope spaziali per raggiungere Saturno.
Lampade da terra, lucido ottone dai mille tentacoli, coperti di coni multicolori: rossi, gialli, verdi, azzurri, neri… trasmettitori di luci interstellari.
Frigoriferi di bianco smalto, bombati, maniglioni, catafalchi venusiani pronti al gelo per granite estive di menta e tamarindo.
Lavatrici grasse e brontolone, con l’occhio vitreo che guarda il mondo rotolando davanti ad occhi stupiti. E ai nuovi arrivati un benvenuto: televisori, cubi di legno dal piccolo schermo quasi circolare! Siete cassoni egizi lucidati a stoppino per sotterrare i sogni degli schiavi terrestri.
Un signore incappottato, versa la prima rata del suo televisore. Immensa festa in famiglia, questa sera, con Mario Riva.
Scusate, non avrei dovuto scrivere questa storia nostalgica per piangere un poco nel giorno che sfuma. Rimpianto di un negozio d’elettrodomestici che guardava un corso arcaico di una città, prima di Natale del 1956.
Dormono in un angolo, cumuli di vecchi dischi a settantotto giri, dove sorridono i nomi di Luciano Tajoli, Claudio Villa, Mario Del Monaco e Luciana Tebaldi.
Odore di cera, vernici e mughetto: dietro il bancone panciuto di legno, commesse bionde in camici neri, con permanenti alla Gloria Swanson, si rifanno il trucco e si ritoccano di fuoco laccato le belle unghie.
E’ ora di chiudere.
Ecco il gran serraglio dell’immaginazione elettrica, poggiato su un pavimento di graniglia, lucidato a piombo; pezzetti di marmo bianco affondati nel nero. Nero, legno e oro, i colori dominanti di una storia piccola, inutile, che non dovrei raccontare. Scaffali incernierati ai muri con ripiani in balsa e qui radio di plastica e bachelite, simili ad astronavi, frullatori spaziali pronti al decollo per un frappé su Urano. Grosse radio in radica, radio sarcofagi che cantano Amapola.
Fonovaligie amiche, dal braccio sinuoso di pesante metallo cromato. Lucidatrici – aspirapolvere di tempra pesante, di foggia assai strana, opache o cromate: scope spaziali per raggiungere Saturno.
Lampade da terra, lucido ottone dai mille tentacoli, coperti di coni multicolori: rossi, gialli, verdi, azzurri, neri… trasmettitori di luci interstellari.
Frigoriferi di bianco smalto, bombati, maniglioni, catafalchi venusiani pronti al gelo per granite estive di menta e tamarindo.
Lavatrici grasse e brontolone, con l’occhio vitreo che guarda il mondo rotolando davanti ad occhi stupiti. E ai nuovi arrivati un benvenuto: televisori, cubi di legno dal piccolo schermo quasi circolare! Siete cassoni egizi lucidati a stoppino per sotterrare i sogni degli schiavi terrestri.
Un signore incappottato, versa la prima rata del suo televisore. Immensa festa in famiglia, questa sera, con Mario Riva.
Scusate, non avrei dovuto scrivere questa storia nostalgica per piangere un poco nel giorno che sfuma. Rimpianto di un negozio d’elettrodomestici che guardava un corso arcaico di una città, prima di Natale del 1956.
Dormono in un angolo, cumuli di vecchi dischi a settantotto giri, dove sorridono i nomi di Luciano Tajoli, Claudio Villa, Mario Del Monaco e Luciana Tebaldi.
Odore di cera, vernici e mughetto: dietro il bancone panciuto di legno, commesse bionde in camici neri, con permanenti alla Gloria Swanson, si rifanno il trucco e si ritoccano di fuoco laccato le belle unghie.
E’ ora di chiudere.