PIANOFORTE D'AMORE
“Basta con le crociere! Voglio andare in vacanza per sempre!” gridai al cielo e alle onde turbolente.
Miracolo: il telefono del Signore non era occupato come al solito e mi rispose esaudendo subito il mio desiderio! Quella notte la nave affondò in allegria, durante una serata danzante con ricchi premi e cotillon. Non si è salvato nessuno, e nessuno verrà a salvarmi su questa sperduta isola della Polinesia, dove non c'è neppure un dancing di periferia.Nell’attesa della fine, non posso far altro che dormire, pescare, assaporare dolcissime noci di cocco e scrivere i ricordi della mia vita. |
Sentivo il bisogno di comunicare con qualcuno, per ciò ho affidato al mare le mie memorie, tanto per ammazzare il tempo e lo spazio, che su questa bellissima spiaggia assolata non hanno più senso o per meglio dire sono come dovrebbe essere la vita: eterni e luminosi.
Ho infilato il manoscritto nel bottiglione vuoto di Barbera che tu, anima gentile, hai ripescato. Cerca di capire la mia disperazione! Il pensiero che un essere umano, in qualche parte del mondo, possa provare compassione e solidarietà per un pirla come me, mi fa sentire meno solo. Anima gentile, non cestinarmi, leggimi, anche se non parteciperai a nessun concorso a premi inviando il coupon, che non troverai a fondo pagina: sappi quindi che non vincerai niente!
Prima di naufragare in questo naufragio, naufragavo facendo il cameriere-pianista e servivo, era già qualcosa servire nella vita.
Ho iniziato a girare il mondo fuggendo a piedi da Ventimiglia e già a Bordighera decisi di visitare tutto il mondo, anche se detestavo viaggiare. La mia vera passione è sempre stato lo swing, abbinato a una sconsiderata venerazione per le donne.
Non sono originale: i sette mari pullulano di camerieri che attendono con trepidazione d'essere fuori servizio per suonare un pianoforte o per suonare una femmina, o volendo essere stravaganti, per suonare una femmina su un pianoforte, non sia mai il contrario! Suonare un pianoforte su una donna sarebbe alquanto scomodo, macabro e di cattivo gusto. Tutto quel sangue sulla moquette e sui tappeti persiani stai sicuro che toccherebbe a me pulirlo, come capitava sempre nel salone delle feste con il vomito dei clienti.
Il vomito... è una costante dei viaggi in mare, quasi come le docce che non funzionano e ti ustioni o geli come un ghiacciolo al Polo, nord o sud è uguale. Io in ogni modo a suonare femmine e pianoforti non ci sono mai riuscito bene: lì rispetto troppo, non sono un uomo rozzo, anche se ho fatto solo le commerciali.
I pianoforti, pur affascinandomi, mi hanno sempre messo in agitazione. Tutti quei tasti bianchi e neri mi confondono le dita; quando sono sul bianco dovrei essere sul nero, quando sono sul nero dovrei essere sul bianco. Le donne? Ho desiderato per tanti anni che una fanciulla s’innamorasse di me, ma loro, invariabilmente, frugavano con gli occhi il cavallo dei miei calzoni per cercare un segno d'assenso: tanga in piscina, scollature a tavola, minigonne in discoteca, accavallamenti di gambe in sala video, sederi attillati ovunque, ci provavano in tutti i modi possibili e immaginabili.
Ho imparato a mie spese che poesie, canzoni, margherite, languidi sorrisi e gentilezze, non sono articoli che tirano sulle navi da crociera. Inoltre sono convinto che il verbo amare mi odia, con me ha deciso d’essere irregolare e di avere un solo tempo, quello di una notte. Eppure non mi sono mai rassegnato, ho insistito fino all'ultimo baciamano, perché sono un ottimista e all'aurora vedo accendersi stelle inesistenti sulle onde del mare. Sarebbe peggio se fossi un pessimista, che di stelle proprio non ne vede e cerca anche di spegnerle.
Ecco perché viaggiavo: per dimenticare una donna nell'alcova di mille femmine. Rossana, il dolce, tremendo sogno che mi aveva dilaniato l’anima dando vita all'esodo, e guarda caso mi chiamo Mosè!
Era la moglie del mio miglior amico, la mia amante segreta. Quel giorno dovetti mettere insieme nervi saldi e corpi palestrati, da quello fisico a quello astrale, da quello emozionale a quello mentale per non soccombere. Ormai è un tempo così lontano... ipensandoci riesco a parlare di me stesso solo in terza persona, come se l'essere viscido, infido e disgustoso, quel musicista da strapazzo, io l’avessi a mala pena conosciuto.
Sì, Mosè in quelle ore terribili, cercava il coraggio di affrontare il funerale, doveva farlo: mentre stava raggiungendo la casa della sua ambigua amata e del suo miglior amico, la sua mente si tormentava, ripensando alla sventurata notte a Dolce Acqua, vicino a Ventimiglia, quando erano diventati amanti.
L’altro era in viaggio di lavoro ad Amsterdam e loro si erano concessi una cenetta coi fiocchi e una notte romantica nella villa messa a disposizione da Adelina, l’amica di Rossana, la sua più intima confidente. Dannati profumi di salsedine, intingoli e fiori di Liguria, dannato piano bar “Il Brigantino” dove si esibiva per poche lire, genitore delle sue disgrazie.
Mosè schifava i sensi di colpa, mentre la musica ed il sesso gli donavano un’euforica eccitazione, pensava… possibile che non ti renda conto di quanto poco significhi l’uccisione, seppur metaforica, di un uomo che hai tradito? Si risolve, in fin dei conti, nella più acuta consapevolezza del valore della tua vita! Peccato che quel uomo, fratello di sangue, compagno di sbronze sin dall’adolescenza, sulla spiaggia pietrosa di Vallecrosia, un anno dopo, fosse morto, mentre correva in moto a cento chilometri l’ora, sui tornanti collinare delle strade di Nizza, finendo contro un muro ostinatamente duro e impassibile.
Rossana era splendida, nonostante la sofferenza. Indossava un tailleur scuro, scarpe e calze di seta, nere. Quella cornice funesta, metteva maggiormente in risalto i suoi capelli rossi, gli occhi verdi e la pelle chiara, come quella di una madonna fiamminga. Lo ringraziò d’essere presente con un lieve bacio sulla bocca, ma da quel bacio era scomparsa ogni sensualità.
L’accompagnò, commossa, a rendere omaggio alla salma, sussurrando. “Mosè, e pensare che solo sabato sera eravamo tutti insieme nell'etroterra per la grigliata!”
L’uomo entrò nella camera ardente, pensando che le costine di maiale che aveva mangiato a Rocca Nervina erano crude e bruciacchiate e lo avevano disgustato; anche il viso dell’amico Carlo aveva un'espressione leggermente schifata, gli occhi chiusi, le labbra composte in un sorriso beffardo. L’acre odore dei fiori di Sanremo penetrò in lui, ferendolo immensamente.
Il vecchio Rinaldo, il suocero di Adelina, stava pregando sulla bara, ancora aperta, poi si alzò e impose a tutti i presenti di ritornare al piano terreno. Voleva stare con suo figlio ancora qualche minuto, prima dell’ultimo viaggio.
Rossana salì sul furgone delle pompe funebri accanto a Rinaldo. Adelina li seguì con la macchina di Rossana, anche Mosè si accodò al corteo. Al cimitero volle restare in disparte, mescolandosi alla folla, come se non li conoscesse.
Adelina consolava Rossana, cingendole la vita. Manifestavano con spontaneità il loro rapporto affettivo, stringendosi e accarezzandosi le mani di continuo, indirizzandosi a vicenda sguardi di comprensione e tenerezza.
L’orazione fu breve, commossa, e grande il dolore. Centinaia di persone erano accorse per rendere omaggio a Carlo, stimato professionista, architetto geniale, simpatico compagno di bagordi, ricco erede di una nobile dinastia, attivo collaboratore del Club Luigi Tenco. Era stato lui a trovargli vari ingaggi in riviera per l’estate. Mosè non li meritava, suonava il pianoforte jazz come un fustino di detersivo con le corde, pestato a ritmo di charleston.
La bara fu calata nella fossa e il prete scagliò la sua benedizione. I becchini lavorarono di pala qualche minuto. La gente, a poco a poco, si disperse, solo qualche ritardatario indugiava sul tumulo di terra fresca, nell’attesa che tutto finisse. Sistemarono la lapide provvisoria… Mosè guardò il ritratto di Carlo, certo che l’avrebbe portato nel cuore per sempre come il grande amico che aveva ingannato. Era rimasto solo sulla tomba. Avrebbe voluto essere sepolto con lui. Che cosa ne sarebbe stato adesso del rapporto segreto con Rossana?
Si decise ad uscire, e si diresse a passo svelto verso la sua Ford grigia, quasi nuova.
Lungo la strada del ritorno frenò di colpo, quando vide Rossana e Adelina indaffarate dinnanzi al cofano della vecchia Volvo di famiglia. Scese e sì avvicinò alle ragazze, per aiutarle: “Qualcosa non va?”
“Oh, Mosè, per fortuna…”
“Posso darvi una mano?”
“La macchina non vuol saperne di ripartire”, disse Rossana.
“C’è la benzina?” Chiese Mosè. “Vediamo se sono più fortunato di voi.”
Il motorino d’avviamento digrignò i dentini un paio di volte e si ammutolì. “Batteria scarica, signorine, niente da fare…” disse, scendendo dalla vettura.
“Torniamo a casa a piedi, gambe in spalla!” Sentenziò Adelina, con la solennità di un marine, pronto all’assalto.
“Se volete vi accompagno”, propose l’uomo.
“E lasciamo la macchina qui, sul ciglio della strada?” lamentò Rossana.
“Siete stanche, bimbe belle. Avete bisogno di riposare, mangiare qualcosa e fare un bagno caldo. Domani chiamerete il carro attrezzi.”
Rossana prese posto accanto a Mosè, Adelina sul sedile posteriore con Rinaldo. Non stavano certo tornando da una festa, ma cercò di essere vagamente simpatico, per metterle a loro agio.
“Adesso cosa vuoi fare”, disse la donna, con un filo di voce. “Torni a Milano o resti a Ventimiglia per le serate, fino a Settembre?” Nel tono si poteva leggere una sottile apprensione; forse temeva che lui avesse affatto cambiato idea, nonostante la tragica piega degli eventi. Rossana aveva paura che reclamasse apertamente, di fronte al mondo intero, l’amore che gli spettava di diritto, dopo gli amplessi travolgenti consumati non solo in casa, ma in varie località sensualmente appaganti, come la casina abbandonata sulla collina, con vista sulle sabbie bianche di Latte, la pietrosa spiaggia appartata degli Specchi, le rovine polverose del villaggio di Torri Superiore. Una notte, a Capo Mortola, erano sgusciati furtivamente nei giardini botanici di Villa Hanbury, osservati dalla luna piena e poi dai che ci dai... ricordi, al volante, dopo un funerale... accompagnato a casa il vecchio Rinaldo, lo invitarono ad entrare e gli offrirono un bicchiere di Rossese. Restò solo per qualche minuto.
Le ragazze discussero, parlando sommessamente, affinché Mosè non potesse capire quanto si stavano dicendo. Era deciso: Adelina aveva opposto scarsa resistenza alla richiesta di Rossana. Mosè avrebbe dormito nella camera degli ospiti. Era molto stanco, nonostante fossero solo le due del pomeriggio. Accettò di buon grado l’invito.
Rossana lo accompagnò nella stanza che era stata di sua madre. Si trovava al piano superiore, adiacente alla camera da letto principale.
“Se vuoi, posso darti un pigiama di Carlo, sarai più comodo…”
“No, grazie, mi sembra troppo rubargli anche il pigiama.” Rossana sorrise, mentre un paio di lacrime le scendevano rapide sulle guance.
“Il bagno sai dov’è”, disse, indicando una porta in un angolo della stanza, a fianco del letto. “Gli asciugamani sono nell’armadietto.”
“Okay, grazie di tutto, Rossana, e per quanto riguarda il nostro rapporto, beh, sì… insomma…”
“Dormi adesso, non ci pensare, vedremo, volevo solo dirti che… nonostante i sensi di colpa e la sofferenza, mi piaci tanto, Mosè.”
Si alzò in punta di piedi e lo baciò teneramente. Un bacio fugace e timoroso. “Dormi quanto vuoi, caro, anche fino a domattina, cercherò di non fare troppo rumore, per non svegliarti.”
Mosè restò solo. La stanza era illuminata dalla tenue luce pomeridiana. Era una giornata uggiosa: il sole portava il lutto, come l’intera Ventimiglia. Chiuse le imposte e si spogliò, restando in mutande e canottiera.
Sentì arrivare anche Adelina in corridoio, che disse a Rossana: “Coraggio, devi riposare, vuoi che resti con te?”
Entrarono nella camera accanto e chiusero la porta a chiave.
Le vecchie villette, spesso, non sono capaci di proteggere l’intimità di chi le abita, soprattutto se dopo una sommaria ristrutturazione i nuovi muri interni sono di cartongesso: una bella cassa di risonanza!
L’uomo aveva chiuso gli occhi, la testa immersa in un morbido cuscino di piume. I misteri di Morfeo stavano per catturarlo; immagini ribelli si susseguivano senza logica, trascinandolo nel sogno.
Stava in quel beato stato di dolce transito fra la veglia e il sonno, quando le voci delle ragazze lo ridestarono. Si sentì calamitare verso l’amplificatore naturale, che lo divideva dal loro letto. Poggiò un orecchio alla parete, augurandosi che non trattenesse neppure le parole sussurrate. Le voci di Rossana e Adelina gli giungevano chiare e distinte.
Ascoltò con curiosità i loro discorsi, non vergognandosi di quel gesto da spione. Non gli era mai capitato di poter origliare in segreto la conversazione fra due donne.
“No, Adelina, ieri notte in macchina è stata l’ultima volta, non voglio più… ma come puoi pensare a questo in un momento così triste?” Diceva Rossana, senza rabbia e risentimento. “Restiamo buone amiche, non complicarmi la vita.”
“Rossana, tesoro, devi distrarti, vedrai che dopo ti sentirai meglio, è un modo come un altro per sfogare la tristezza, come compagne ed alleate nella sfortuna, s’intende, dopo non pretenderò nulla da te. Giuro. Devi reagire, non lasciarti sopraffare dalla disperazione”.
L’astuta Adelina sussurrava, comprensiva.
Mosè si accorse che la luce della stanza vicina filtrava da una piccola fenditura sulla parete. La coprì con l’occhio destro, senza vergogna, appena in tempo per vedere le ragazze che si liberavano delle vestaglie. Si muovevano con naturalezza, con indosso i soli indumenti intimi, per nulla a disagio, come se si conoscessero da una vita.
“Vado in bagno prima io, ti spiace?”, disse Rossana.
“No, ti aspetto, e preparo l’atmosfera”, rispose Adelina.
Rossana sciolse la lunga criniera di capelli rossi, raccolti dietro alla nuca e andò verso la stanza da bagno, muovendosi con passo felino.
Adelina chiuse le imposte e accese le abat-jour sistemate sui comodini. A piedi scalzi attraversò la stanza fino alla porta e pigiò l’interruttore che comandava le luci del lampadario liberty, per spegnerle. La camera divenne una calda alcova.
Mosè si rese conto di quanto fosse stupido, non aveva mai imparato ad andare oltre le apparenze. Guardava con interesse il corpo di Adelina, che aveva sempre considerato goffo e sgraziato. Lo ammirava per la prima volta. Vestita, gli era sempre sembrata solo un maschiaccio, certo era magra ma dotata di una muscolatura strutturata e armoniosa. Ancheggiava in modo naturale, producendo leggeri sussulti all’imponente seno, risolutamente sodo.
Adelina si adagiò sul letto e rimase lì, trasognata, a guardare il soffitto, mentre il getto della doccia produceva un rumore confortante.
Rossana ritornò in camera, come mamma l’aveva fatta: “Adelina, il bagno è tutto tuo”, bisbigliò, sedendosi sulla sponda del letto.
L’operazione toilette continuò a parti invertite. Adelina ritornò e scostò le lenzuola, per coricarsi accanto all’amica.
Aveva la pelle ancora umida. Accarezzò il volto di Rossana con tenerezza, per poi sfiorarle la bocca con le labbra. Non fu un bacio fraterno: le loro lingue iniziarono a duellare voraci.
Sorpresa, inganno, frode, lo avevano preso in giro, come aveva fatto a non accorgersi di niente?! Non sapeva se irrompere nella stanza per mandarle a fare in culo o godersi prima lo spettacolo. Eh già, perché vederle insieme aveva provocato in Mosè un forte turbamento che pulsava… imprigionato negli slip. Dovette frenare la mano sinistra, che d’istinto stava scivolando verso il basso ventre.
Lo sorprendeva la spontaneità dei loro gesti, la raffinata eloquenza con cui si toccavano. Rispettose una dell’altra, si provocavano senza imbarazzo. Ascoltava i loro mugolii e si eccitava all’inverosimile, pensando che forse l’avevano fatto apposta, e sapevano di essere osservate.
I corpi nudi, erano l’uno sull’altro, al centro del letto, esposti, liberati dal lenzuolo. Le ragazze presero ad avvolgersi, a rotolare, un’infinità di volte, finché Adelina ebbe ragione di Rossana. La bloccò sotto di sé, con forza prepotente; poi cominciò a sfregarle i capezzoli con il seno. Il gioco durò a lungo. Era dannatamente piacevole vederle baloccarsi in quel modo.
Mosè cercava di non fare rumore, reprimeva rozzamente il fiato che andava ingrossandosi. Adelina decise, ad un tratto, di variare passatempo: divaricò le gambe di Rossana, che lei teneva chiuse energicamente, per strusciare il suo pube su quello dell’amichetta.
Le cosce s’incrociarono, sfregandosi all’interno, l’una contro l’altra, senza sosta. La luce morbida delle lampade da tavolo rendeva ardente la loro pelle sudata.
Mosè era estasiato dal corpo forte e flessuoso di Adelina, la padrona assoluta dell’azione. La vide calare una mano assatanata tra le candide cosce di Rossana, per rovistarne impudicamente i misteri gioiosi. I gemiti prima soffocati, divennero ingovernabili.
Rossana implorò: “Più veloce, ancora, fino in fondo, usa tutte e due le mani, sgualdrina!”
La superba rossa stava sotto, ed approfittava della sua debolezza, sollecitando l’autorità che l’altra esercitava su di lei. Le ordinò di picchiarla forte sulle natiche: così raggiunsero l’orgasmo, insieme a… Mosè, che cadde a terra, in preda a tremiti di godimento.
Passarono pochi minuti e le ragazze si rialzarono, per mettersi in ginocchio, una di fronte all’altra: presero a torcersi i capezzoli a vicenda. Dalla sua postazione Mosè osservava come si divertivano a farsi male. Continuarono ad accarezzarsi senza tregua. Accostarono, poi, i visi, tenendo le bocche vicinissime, ma senza baciarsi. Mescolavano il respiro, una di fronte all’altra, pronte a lottare come animali selvaggi. Era una sfida ipnotica che durò a lungo, finché… Adelina cedette e si lasciò cadere bocconi sul materasso. Rossana le divaricò le cosce e si sdraiò dietro di lei, tuffando la testa in quello oceano di piacere. Le mani di Rossana, si chiusero come una morsa sulle natiche di Adelina, divaricandole.
Era impossibile sfuggire alla presa delle labbra e al fervore della lingua. “Smetti, basta, basta!”, supplicò, con voce strozzata, la giovane che subiva il doppio supplizio, quello più intimo. Rossana, per vendicarsi della precedente sconfitta, continuò a darle piacere, profondamente, in ogni anfratto, senza pietà, fintanto che le fece urlare: “Basta!! Hai vinto, hai vinto, sei la più brava, ti prego, ti prego, mi fai morire…!”
Si accartocciarono una sull’altra, congiungendo i corpi esausti. Avvolte in un tenero abbraccio si addormentarono.
Non c’era niente da fare per Mosè, quelle due si amavano, lui e Carlo erano stati un incidente di percorso nel cammino di Rossana verso l’accettazione della propria natura.
Dopo quella scorpacciata da guardone, Mosè dormì saporitamente, sino al far del giorno. Era, forse, dall’alba del mondo, che non si concedeva pace per tredici ore di seguito.
Giunse il momento di mettere insieme quei pochi cocci rotti, per comporre il mosaico della sua sconfitta. I primi raggi di sole colpirono la sua faccia stropicciata, mentre Rossana entrava in camera con la colazione.
La ragazza lo guardò demoralizzata: “Ti va una brioche ed una spremuta d'arancia? La vita ci ha travolto, Mosè… cosa farò senza Carlo? Non riesco a credere che sia successo proprio a lui. Sono a pezzi: mi sento amareggiata, confusa, fragile, senza forze…”
“Lo credo…”, disse Mosè, “dopo un pomeriggio di fuoco come quello di ieri… non avete dormito molto tu e Adelina.”
“Hai sentito tutto?”
“Sentito e visto.”
“Che umiliazione…”
La donna arrossì smodatamente, come soltanto lei sapeva fare, celando la sua inclinazione al vizio dietro ad un’apparente timidezza.
“E’ stato irresistibile ed istruttivo.”
“Io ti ospito e tu mi sorvegli?!”
“Ti rendi conto che queste finte pareti di cartone sono piene di fenditure?”
“Non ci ho pensato, ma cosa credi? Io non sono una spudorata!”
“Credo che Adelina lo sappia perfettamente e l’abbia fatto apposta, per dimostrare che le appartieni.”
“Mosè, ti giuro che è solo un’affettuosa amicizia.”
“Affettuosissima, solo uno scambio di… fervori.”
“Troverò il modo di convincerla a non stuzzicare più i miei cattivi istinti.”
“Rossana, guardiamo in faccia la realtà: che cosa ci faccio io tra voi?”
“Non dire così! Adelina, per me, è sempre stata uno sfogo, una stampella nei momenti di depressione, un incidente di percorso nella mia vita, ma adesso ci sei tu.”
“Lasciamo andare. Faresti bene a confessarti con un prete o con uno psicoanalista… che ne diresti di un bel caffé nero invece della spremuta?”
Rossana, piangendo, gli versò un'abbondante tazza “Tesoro, proviamoci… Adelina non sopporta gli uomini, ma se insisto ti accetterà, per non perdermi…”
“Assurdo, un triangolo? Non può funzionare.” Rispose, inflessibile, Mosè.
”Allora… che cosa vuoi fare, adesso?”
“Devo riflettere, torno a Milano, poi vedremo”, disse l’uomo, rimettendosi la camicia.
“Resta con me, stiamo bene insieme! Metterò fino a questa storia. Lo giuro! Sarò forte e risoluta, con Adelina è finita, da tanto tempo… io amo solo te!”
“Può darsi, ma… onestamente me ne frego.”
Io, Mosè, il superstite, la baciai fugacemente, infilai la giacca e uscii, per affrontar il viale davanti a casa, dove due mesi prima tutto era iniziato.
Rossana restò lì, a guardarmi, con il bel viso triste avvolto dai lunghi capelli rossi, scarmigliati dal vento, mentre mi allontanavo a passo spedito: forse in cuor suo ingiuriò Adelina e la perversa dissolutezza che la possedeva fin da ragazza. Si sentì viziosa, immorale, corrotta, condannata alla solitudine e diede di stomaco, per rivedere tutto il menù della colazione.
Il vomito… è una costante dei viaggi in mare, quasi come le docce che non funzionano e ti ustioni o geli come un ghiacciolo al Polo, nord o sud è uguale. In ogni modo adesso sono naufrago: la nave è affondata per bene e non si è salvato nessuno, quindi nessuno verrà a salvarmi su questa sperduta isola della Polinesia, dove non c'è neppure una balera, che poi a suonare femmine e pianoforti non ci sono mai riuscito bene: forse lì rispetto troppo, non sono un uomo rozzo, anche se ho fatto solo le commerciali e in quanto a musica sono autodidatta, ma le lesbiche proprio non mi vanno giù perché... tendono ad escludermi.
Ho infilato il manoscritto nel bottiglione vuoto di Barbera che tu, anima gentile, hai ripescato. Cerca di capire la mia disperazione! Il pensiero che un essere umano, in qualche parte del mondo, possa provare compassione e solidarietà per un pirla come me, mi fa sentire meno solo. Anima gentile, non cestinarmi, leggimi, anche se non parteciperai a nessun concorso a premi inviando il coupon, che non troverai a fondo pagina: sappi quindi che non vincerai niente!
Prima di naufragare in questo naufragio, naufragavo facendo il cameriere-pianista e servivo, era già qualcosa servire nella vita.
Ho iniziato a girare il mondo fuggendo a piedi da Ventimiglia e già a Bordighera decisi di visitare tutto il mondo, anche se detestavo viaggiare. La mia vera passione è sempre stato lo swing, abbinato a una sconsiderata venerazione per le donne.
Non sono originale: i sette mari pullulano di camerieri che attendono con trepidazione d'essere fuori servizio per suonare un pianoforte o per suonare una femmina, o volendo essere stravaganti, per suonare una femmina su un pianoforte, non sia mai il contrario! Suonare un pianoforte su una donna sarebbe alquanto scomodo, macabro e di cattivo gusto. Tutto quel sangue sulla moquette e sui tappeti persiani stai sicuro che toccherebbe a me pulirlo, come capitava sempre nel salone delle feste con il vomito dei clienti.
Il vomito... è una costante dei viaggi in mare, quasi come le docce che non funzionano e ti ustioni o geli come un ghiacciolo al Polo, nord o sud è uguale. Io in ogni modo a suonare femmine e pianoforti non ci sono mai riuscito bene: lì rispetto troppo, non sono un uomo rozzo, anche se ho fatto solo le commerciali.
I pianoforti, pur affascinandomi, mi hanno sempre messo in agitazione. Tutti quei tasti bianchi e neri mi confondono le dita; quando sono sul bianco dovrei essere sul nero, quando sono sul nero dovrei essere sul bianco. Le donne? Ho desiderato per tanti anni che una fanciulla s’innamorasse di me, ma loro, invariabilmente, frugavano con gli occhi il cavallo dei miei calzoni per cercare un segno d'assenso: tanga in piscina, scollature a tavola, minigonne in discoteca, accavallamenti di gambe in sala video, sederi attillati ovunque, ci provavano in tutti i modi possibili e immaginabili.
Ho imparato a mie spese che poesie, canzoni, margherite, languidi sorrisi e gentilezze, non sono articoli che tirano sulle navi da crociera. Inoltre sono convinto che il verbo amare mi odia, con me ha deciso d’essere irregolare e di avere un solo tempo, quello di una notte. Eppure non mi sono mai rassegnato, ho insistito fino all'ultimo baciamano, perché sono un ottimista e all'aurora vedo accendersi stelle inesistenti sulle onde del mare. Sarebbe peggio se fossi un pessimista, che di stelle proprio non ne vede e cerca anche di spegnerle.
Ecco perché viaggiavo: per dimenticare una donna nell'alcova di mille femmine. Rossana, il dolce, tremendo sogno che mi aveva dilaniato l’anima dando vita all'esodo, e guarda caso mi chiamo Mosè!
Era la moglie del mio miglior amico, la mia amante segreta. Quel giorno dovetti mettere insieme nervi saldi e corpi palestrati, da quello fisico a quello astrale, da quello emozionale a quello mentale per non soccombere. Ormai è un tempo così lontano... ipensandoci riesco a parlare di me stesso solo in terza persona, come se l'essere viscido, infido e disgustoso, quel musicista da strapazzo, io l’avessi a mala pena conosciuto.
Sì, Mosè in quelle ore terribili, cercava il coraggio di affrontare il funerale, doveva farlo: mentre stava raggiungendo la casa della sua ambigua amata e del suo miglior amico, la sua mente si tormentava, ripensando alla sventurata notte a Dolce Acqua, vicino a Ventimiglia, quando erano diventati amanti.
L’altro era in viaggio di lavoro ad Amsterdam e loro si erano concessi una cenetta coi fiocchi e una notte romantica nella villa messa a disposizione da Adelina, l’amica di Rossana, la sua più intima confidente. Dannati profumi di salsedine, intingoli e fiori di Liguria, dannato piano bar “Il Brigantino” dove si esibiva per poche lire, genitore delle sue disgrazie.
Mosè schifava i sensi di colpa, mentre la musica ed il sesso gli donavano un’euforica eccitazione, pensava… possibile che non ti renda conto di quanto poco significhi l’uccisione, seppur metaforica, di un uomo che hai tradito? Si risolve, in fin dei conti, nella più acuta consapevolezza del valore della tua vita! Peccato che quel uomo, fratello di sangue, compagno di sbronze sin dall’adolescenza, sulla spiaggia pietrosa di Vallecrosia, un anno dopo, fosse morto, mentre correva in moto a cento chilometri l’ora, sui tornanti collinare delle strade di Nizza, finendo contro un muro ostinatamente duro e impassibile.
Rossana era splendida, nonostante la sofferenza. Indossava un tailleur scuro, scarpe e calze di seta, nere. Quella cornice funesta, metteva maggiormente in risalto i suoi capelli rossi, gli occhi verdi e la pelle chiara, come quella di una madonna fiamminga. Lo ringraziò d’essere presente con un lieve bacio sulla bocca, ma da quel bacio era scomparsa ogni sensualità.
L’accompagnò, commossa, a rendere omaggio alla salma, sussurrando. “Mosè, e pensare che solo sabato sera eravamo tutti insieme nell'etroterra per la grigliata!”
L’uomo entrò nella camera ardente, pensando che le costine di maiale che aveva mangiato a Rocca Nervina erano crude e bruciacchiate e lo avevano disgustato; anche il viso dell’amico Carlo aveva un'espressione leggermente schifata, gli occhi chiusi, le labbra composte in un sorriso beffardo. L’acre odore dei fiori di Sanremo penetrò in lui, ferendolo immensamente.
Il vecchio Rinaldo, il suocero di Adelina, stava pregando sulla bara, ancora aperta, poi si alzò e impose a tutti i presenti di ritornare al piano terreno. Voleva stare con suo figlio ancora qualche minuto, prima dell’ultimo viaggio.
Rossana salì sul furgone delle pompe funebri accanto a Rinaldo. Adelina li seguì con la macchina di Rossana, anche Mosè si accodò al corteo. Al cimitero volle restare in disparte, mescolandosi alla folla, come se non li conoscesse.
Adelina consolava Rossana, cingendole la vita. Manifestavano con spontaneità il loro rapporto affettivo, stringendosi e accarezzandosi le mani di continuo, indirizzandosi a vicenda sguardi di comprensione e tenerezza.
L’orazione fu breve, commossa, e grande il dolore. Centinaia di persone erano accorse per rendere omaggio a Carlo, stimato professionista, architetto geniale, simpatico compagno di bagordi, ricco erede di una nobile dinastia, attivo collaboratore del Club Luigi Tenco. Era stato lui a trovargli vari ingaggi in riviera per l’estate. Mosè non li meritava, suonava il pianoforte jazz come un fustino di detersivo con le corde, pestato a ritmo di charleston.
La bara fu calata nella fossa e il prete scagliò la sua benedizione. I becchini lavorarono di pala qualche minuto. La gente, a poco a poco, si disperse, solo qualche ritardatario indugiava sul tumulo di terra fresca, nell’attesa che tutto finisse. Sistemarono la lapide provvisoria… Mosè guardò il ritratto di Carlo, certo che l’avrebbe portato nel cuore per sempre come il grande amico che aveva ingannato. Era rimasto solo sulla tomba. Avrebbe voluto essere sepolto con lui. Che cosa ne sarebbe stato adesso del rapporto segreto con Rossana?
Si decise ad uscire, e si diresse a passo svelto verso la sua Ford grigia, quasi nuova.
Lungo la strada del ritorno frenò di colpo, quando vide Rossana e Adelina indaffarate dinnanzi al cofano della vecchia Volvo di famiglia. Scese e sì avvicinò alle ragazze, per aiutarle: “Qualcosa non va?”
“Oh, Mosè, per fortuna…”
“Posso darvi una mano?”
“La macchina non vuol saperne di ripartire”, disse Rossana.
“C’è la benzina?” Chiese Mosè. “Vediamo se sono più fortunato di voi.”
Il motorino d’avviamento digrignò i dentini un paio di volte e si ammutolì. “Batteria scarica, signorine, niente da fare…” disse, scendendo dalla vettura.
“Torniamo a casa a piedi, gambe in spalla!” Sentenziò Adelina, con la solennità di un marine, pronto all’assalto.
“Se volete vi accompagno”, propose l’uomo.
“E lasciamo la macchina qui, sul ciglio della strada?” lamentò Rossana.
“Siete stanche, bimbe belle. Avete bisogno di riposare, mangiare qualcosa e fare un bagno caldo. Domani chiamerete il carro attrezzi.”
Rossana prese posto accanto a Mosè, Adelina sul sedile posteriore con Rinaldo. Non stavano certo tornando da una festa, ma cercò di essere vagamente simpatico, per metterle a loro agio.
“Adesso cosa vuoi fare”, disse la donna, con un filo di voce. “Torni a Milano o resti a Ventimiglia per le serate, fino a Settembre?” Nel tono si poteva leggere una sottile apprensione; forse temeva che lui avesse affatto cambiato idea, nonostante la tragica piega degli eventi. Rossana aveva paura che reclamasse apertamente, di fronte al mondo intero, l’amore che gli spettava di diritto, dopo gli amplessi travolgenti consumati non solo in casa, ma in varie località sensualmente appaganti, come la casina abbandonata sulla collina, con vista sulle sabbie bianche di Latte, la pietrosa spiaggia appartata degli Specchi, le rovine polverose del villaggio di Torri Superiore. Una notte, a Capo Mortola, erano sgusciati furtivamente nei giardini botanici di Villa Hanbury, osservati dalla luna piena e poi dai che ci dai... ricordi, al volante, dopo un funerale... accompagnato a casa il vecchio Rinaldo, lo invitarono ad entrare e gli offrirono un bicchiere di Rossese. Restò solo per qualche minuto.
Le ragazze discussero, parlando sommessamente, affinché Mosè non potesse capire quanto si stavano dicendo. Era deciso: Adelina aveva opposto scarsa resistenza alla richiesta di Rossana. Mosè avrebbe dormito nella camera degli ospiti. Era molto stanco, nonostante fossero solo le due del pomeriggio. Accettò di buon grado l’invito.
Rossana lo accompagnò nella stanza che era stata di sua madre. Si trovava al piano superiore, adiacente alla camera da letto principale.
“Se vuoi, posso darti un pigiama di Carlo, sarai più comodo…”
“No, grazie, mi sembra troppo rubargli anche il pigiama.” Rossana sorrise, mentre un paio di lacrime le scendevano rapide sulle guance.
“Il bagno sai dov’è”, disse, indicando una porta in un angolo della stanza, a fianco del letto. “Gli asciugamani sono nell’armadietto.”
“Okay, grazie di tutto, Rossana, e per quanto riguarda il nostro rapporto, beh, sì… insomma…”
“Dormi adesso, non ci pensare, vedremo, volevo solo dirti che… nonostante i sensi di colpa e la sofferenza, mi piaci tanto, Mosè.”
Si alzò in punta di piedi e lo baciò teneramente. Un bacio fugace e timoroso. “Dormi quanto vuoi, caro, anche fino a domattina, cercherò di non fare troppo rumore, per non svegliarti.”
Mosè restò solo. La stanza era illuminata dalla tenue luce pomeridiana. Era una giornata uggiosa: il sole portava il lutto, come l’intera Ventimiglia. Chiuse le imposte e si spogliò, restando in mutande e canottiera.
Sentì arrivare anche Adelina in corridoio, che disse a Rossana: “Coraggio, devi riposare, vuoi che resti con te?”
Entrarono nella camera accanto e chiusero la porta a chiave.
Le vecchie villette, spesso, non sono capaci di proteggere l’intimità di chi le abita, soprattutto se dopo una sommaria ristrutturazione i nuovi muri interni sono di cartongesso: una bella cassa di risonanza!
L’uomo aveva chiuso gli occhi, la testa immersa in un morbido cuscino di piume. I misteri di Morfeo stavano per catturarlo; immagini ribelli si susseguivano senza logica, trascinandolo nel sogno.
Stava in quel beato stato di dolce transito fra la veglia e il sonno, quando le voci delle ragazze lo ridestarono. Si sentì calamitare verso l’amplificatore naturale, che lo divideva dal loro letto. Poggiò un orecchio alla parete, augurandosi che non trattenesse neppure le parole sussurrate. Le voci di Rossana e Adelina gli giungevano chiare e distinte.
Ascoltò con curiosità i loro discorsi, non vergognandosi di quel gesto da spione. Non gli era mai capitato di poter origliare in segreto la conversazione fra due donne.
“No, Adelina, ieri notte in macchina è stata l’ultima volta, non voglio più… ma come puoi pensare a questo in un momento così triste?” Diceva Rossana, senza rabbia e risentimento. “Restiamo buone amiche, non complicarmi la vita.”
“Rossana, tesoro, devi distrarti, vedrai che dopo ti sentirai meglio, è un modo come un altro per sfogare la tristezza, come compagne ed alleate nella sfortuna, s’intende, dopo non pretenderò nulla da te. Giuro. Devi reagire, non lasciarti sopraffare dalla disperazione”.
L’astuta Adelina sussurrava, comprensiva.
Mosè si accorse che la luce della stanza vicina filtrava da una piccola fenditura sulla parete. La coprì con l’occhio destro, senza vergogna, appena in tempo per vedere le ragazze che si liberavano delle vestaglie. Si muovevano con naturalezza, con indosso i soli indumenti intimi, per nulla a disagio, come se si conoscessero da una vita.
“Vado in bagno prima io, ti spiace?”, disse Rossana.
“No, ti aspetto, e preparo l’atmosfera”, rispose Adelina.
Rossana sciolse la lunga criniera di capelli rossi, raccolti dietro alla nuca e andò verso la stanza da bagno, muovendosi con passo felino.
Adelina chiuse le imposte e accese le abat-jour sistemate sui comodini. A piedi scalzi attraversò la stanza fino alla porta e pigiò l’interruttore che comandava le luci del lampadario liberty, per spegnerle. La camera divenne una calda alcova.
Mosè si rese conto di quanto fosse stupido, non aveva mai imparato ad andare oltre le apparenze. Guardava con interesse il corpo di Adelina, che aveva sempre considerato goffo e sgraziato. Lo ammirava per la prima volta. Vestita, gli era sempre sembrata solo un maschiaccio, certo era magra ma dotata di una muscolatura strutturata e armoniosa. Ancheggiava in modo naturale, producendo leggeri sussulti all’imponente seno, risolutamente sodo.
Adelina si adagiò sul letto e rimase lì, trasognata, a guardare il soffitto, mentre il getto della doccia produceva un rumore confortante.
Rossana ritornò in camera, come mamma l’aveva fatta: “Adelina, il bagno è tutto tuo”, bisbigliò, sedendosi sulla sponda del letto.
L’operazione toilette continuò a parti invertite. Adelina ritornò e scostò le lenzuola, per coricarsi accanto all’amica.
Aveva la pelle ancora umida. Accarezzò il volto di Rossana con tenerezza, per poi sfiorarle la bocca con le labbra. Non fu un bacio fraterno: le loro lingue iniziarono a duellare voraci.
Sorpresa, inganno, frode, lo avevano preso in giro, come aveva fatto a non accorgersi di niente?! Non sapeva se irrompere nella stanza per mandarle a fare in culo o godersi prima lo spettacolo. Eh già, perché vederle insieme aveva provocato in Mosè un forte turbamento che pulsava… imprigionato negli slip. Dovette frenare la mano sinistra, che d’istinto stava scivolando verso il basso ventre.
Lo sorprendeva la spontaneità dei loro gesti, la raffinata eloquenza con cui si toccavano. Rispettose una dell’altra, si provocavano senza imbarazzo. Ascoltava i loro mugolii e si eccitava all’inverosimile, pensando che forse l’avevano fatto apposta, e sapevano di essere osservate.
I corpi nudi, erano l’uno sull’altro, al centro del letto, esposti, liberati dal lenzuolo. Le ragazze presero ad avvolgersi, a rotolare, un’infinità di volte, finché Adelina ebbe ragione di Rossana. La bloccò sotto di sé, con forza prepotente; poi cominciò a sfregarle i capezzoli con il seno. Il gioco durò a lungo. Era dannatamente piacevole vederle baloccarsi in quel modo.
Mosè cercava di non fare rumore, reprimeva rozzamente il fiato che andava ingrossandosi. Adelina decise, ad un tratto, di variare passatempo: divaricò le gambe di Rossana, che lei teneva chiuse energicamente, per strusciare il suo pube su quello dell’amichetta.
Le cosce s’incrociarono, sfregandosi all’interno, l’una contro l’altra, senza sosta. La luce morbida delle lampade da tavolo rendeva ardente la loro pelle sudata.
Mosè era estasiato dal corpo forte e flessuoso di Adelina, la padrona assoluta dell’azione. La vide calare una mano assatanata tra le candide cosce di Rossana, per rovistarne impudicamente i misteri gioiosi. I gemiti prima soffocati, divennero ingovernabili.
Rossana implorò: “Più veloce, ancora, fino in fondo, usa tutte e due le mani, sgualdrina!”
La superba rossa stava sotto, ed approfittava della sua debolezza, sollecitando l’autorità che l’altra esercitava su di lei. Le ordinò di picchiarla forte sulle natiche: così raggiunsero l’orgasmo, insieme a… Mosè, che cadde a terra, in preda a tremiti di godimento.
Passarono pochi minuti e le ragazze si rialzarono, per mettersi in ginocchio, una di fronte all’altra: presero a torcersi i capezzoli a vicenda. Dalla sua postazione Mosè osservava come si divertivano a farsi male. Continuarono ad accarezzarsi senza tregua. Accostarono, poi, i visi, tenendo le bocche vicinissime, ma senza baciarsi. Mescolavano il respiro, una di fronte all’altra, pronte a lottare come animali selvaggi. Era una sfida ipnotica che durò a lungo, finché… Adelina cedette e si lasciò cadere bocconi sul materasso. Rossana le divaricò le cosce e si sdraiò dietro di lei, tuffando la testa in quello oceano di piacere. Le mani di Rossana, si chiusero come una morsa sulle natiche di Adelina, divaricandole.
Era impossibile sfuggire alla presa delle labbra e al fervore della lingua. “Smetti, basta, basta!”, supplicò, con voce strozzata, la giovane che subiva il doppio supplizio, quello più intimo. Rossana, per vendicarsi della precedente sconfitta, continuò a darle piacere, profondamente, in ogni anfratto, senza pietà, fintanto che le fece urlare: “Basta!! Hai vinto, hai vinto, sei la più brava, ti prego, ti prego, mi fai morire…!”
Si accartocciarono una sull’altra, congiungendo i corpi esausti. Avvolte in un tenero abbraccio si addormentarono.
Non c’era niente da fare per Mosè, quelle due si amavano, lui e Carlo erano stati un incidente di percorso nel cammino di Rossana verso l’accettazione della propria natura.
Dopo quella scorpacciata da guardone, Mosè dormì saporitamente, sino al far del giorno. Era, forse, dall’alba del mondo, che non si concedeva pace per tredici ore di seguito.
Giunse il momento di mettere insieme quei pochi cocci rotti, per comporre il mosaico della sua sconfitta. I primi raggi di sole colpirono la sua faccia stropicciata, mentre Rossana entrava in camera con la colazione.
La ragazza lo guardò demoralizzata: “Ti va una brioche ed una spremuta d'arancia? La vita ci ha travolto, Mosè… cosa farò senza Carlo? Non riesco a credere che sia successo proprio a lui. Sono a pezzi: mi sento amareggiata, confusa, fragile, senza forze…”
“Lo credo…”, disse Mosè, “dopo un pomeriggio di fuoco come quello di ieri… non avete dormito molto tu e Adelina.”
“Hai sentito tutto?”
“Sentito e visto.”
“Che umiliazione…”
La donna arrossì smodatamente, come soltanto lei sapeva fare, celando la sua inclinazione al vizio dietro ad un’apparente timidezza.
“E’ stato irresistibile ed istruttivo.”
“Io ti ospito e tu mi sorvegli?!”
“Ti rendi conto che queste finte pareti di cartone sono piene di fenditure?”
“Non ci ho pensato, ma cosa credi? Io non sono una spudorata!”
“Credo che Adelina lo sappia perfettamente e l’abbia fatto apposta, per dimostrare che le appartieni.”
“Mosè, ti giuro che è solo un’affettuosa amicizia.”
“Affettuosissima, solo uno scambio di… fervori.”
“Troverò il modo di convincerla a non stuzzicare più i miei cattivi istinti.”
“Rossana, guardiamo in faccia la realtà: che cosa ci faccio io tra voi?”
“Non dire così! Adelina, per me, è sempre stata uno sfogo, una stampella nei momenti di depressione, un incidente di percorso nella mia vita, ma adesso ci sei tu.”
“Lasciamo andare. Faresti bene a confessarti con un prete o con uno psicoanalista… che ne diresti di un bel caffé nero invece della spremuta?”
Rossana, piangendo, gli versò un'abbondante tazza “Tesoro, proviamoci… Adelina non sopporta gli uomini, ma se insisto ti accetterà, per non perdermi…”
“Assurdo, un triangolo? Non può funzionare.” Rispose, inflessibile, Mosè.
”Allora… che cosa vuoi fare, adesso?”
“Devo riflettere, torno a Milano, poi vedremo”, disse l’uomo, rimettendosi la camicia.
“Resta con me, stiamo bene insieme! Metterò fino a questa storia. Lo giuro! Sarò forte e risoluta, con Adelina è finita, da tanto tempo… io amo solo te!”
“Può darsi, ma… onestamente me ne frego.”
Io, Mosè, il superstite, la baciai fugacemente, infilai la giacca e uscii, per affrontar il viale davanti a casa, dove due mesi prima tutto era iniziato.
Rossana restò lì, a guardarmi, con il bel viso triste avvolto dai lunghi capelli rossi, scarmigliati dal vento, mentre mi allontanavo a passo spedito: forse in cuor suo ingiuriò Adelina e la perversa dissolutezza che la possedeva fin da ragazza. Si sentì viziosa, immorale, corrotta, condannata alla solitudine e diede di stomaco, per rivedere tutto il menù della colazione.
Il vomito… è una costante dei viaggi in mare, quasi come le docce che non funzionano e ti ustioni o geli come un ghiacciolo al Polo, nord o sud è uguale. In ogni modo adesso sono naufrago: la nave è affondata per bene e non si è salvato nessuno, quindi nessuno verrà a salvarmi su questa sperduta isola della Polinesia, dove non c'è neppure una balera, che poi a suonare femmine e pianoforti non ci sono mai riuscito bene: forse lì rispetto troppo, non sono un uomo rozzo, anche se ho fatto solo le commerciali e in quanto a musica sono autodidatta, ma le lesbiche proprio non mi vanno giù perché... tendono ad escludermi.