dammi le anime prenditi il resto
Il primo ottobre 1960 riaprirono la scuola elementare Aristide Gabelli: quel giorno, finalmente, Pier Guido capì quanto sarebbe stata facile la sua vita. Entrava in prima classe, ma i banchi erano di legno! La prima mignin, cioè micetti, gattini, era una cosa dolcissima che univa la scuola alla famiglia in un delicato prolungamento di affetti.
Anche qui, all'imparare a leggere, scrivere e far di conto, si affiancava un'intensa educazione che tramandava di generazione in generazione le essenziali norme di vita proletaria, che di seguito riportiamo. |
- Aste dritte! O ti becchi due bacchettate sulla punta delle dita.
- La bandiera dei tre colori è sempre stata la più bella, noi vogliamo sempre quella noi vogliamo la libertà.
- L’Italia è una repubblica fondata sulla Giornata del Risparmio.
- Sono tutte belle le mamme del mondo.
- Se non mangi la minestra salti dalla finestra e resti piccolo perché ti sfracelli al suolo e ti accorci.
- La pietanza mangiata senza pane fa cadere i denti.
- Il dentista non lo passa la muta, costa caro ed è un bastardo perché può iniziare la settimana con un ponte.
- L'erba voglio non cresce neppure nel giardino del re.
- I ricchi hanno i bisogni, i poveri li fanno.
- Ringraziate Sabin che ha inventato lo zuccherino antipolio.
- Salmodiate a Edmondo De Amicis che ha inventato il Libro Cuore.
- I socilasiti vanno abbastanza bene, ma i comunisti mangiano i bambini che sbafano troppa carne.
- Era una nave che andava a vapore e innalzava la bandiera tricolore… all’isola di Ponza s’è fermata…
Poi
si imparava l’inno di Mameli, e tutti si chiedevano chi fosse Scipio e perché
avesse prestato il suo elmo all’Italia. Cosa c’entravano le guerre Puniche con
la Repubblica?
Guido, nonostante l'aspetto fisico non certo rassicurante, dimostrò un'intelligenza non comune, tanto che fu bocciato in prima elementare con la media del due, religione e intervallo compresi.
Erik, suo padre, un giorno andò su tutte le furie: “Guido hai preso di nuovo quattro!”
“Non sapevo dov’è la Svizzera.”
“Zio fa, che testa che c’hai, non ti ricordi mai dove mettono i soldi i politici! Adesso dimmi il futuro del verbo rubare”
“Tanassi andrà in prigione e Craxi in Tunisia.”
Anche Carlotta disperava: “Lo bocceranno di nuovo! Guido, dimmi cos’è … io sono bella”
“Una bugia, mamma.”
“Ma cosa perdi tempo con quella testa di mattone. Lavar la testa all’asino si perde la pena e il sapone! Se c’avesse un po’ di fosforo in quella biocca potremmo fabbricare fiammiferi, zio fa!”
Quel giorno suonarono alla porta, era il parroco, in giro per le benedizioni: “Cari, volete dare qualcosa per la parrocchia?”
“Certo, mio figlio! Il Signore sia lodato.”
Decisero così di mandarlo a ripetizione in Via Paisiello al dopo scuola dell'oratorio Michele Rua. Erik, questa volta, non si oppose al cattolicesimo. Il chierico Michele Rua fu il primo salesiano, e pronunciò i voti di povertà, castità e obbedienza davanti a Don Bosco il 25 marzo 1855.
Don Bosco diceva: "Due sono i sistemi in ogni tempo usati nell'educazione della gioventù: preventivo o repressivo. Il sistema repressivo consiste nel far conoscere la legge, poscia sorvegliare per conoscere i trasgressori ed infliggere, ove sia d'uopo, il meritato castigo... Diverso e, direi opposto è il sistema preventivo. Esso consiste nel far conoscere le prescrizioni e i regolamenti di un Istituto e poi sorvegliare in guisa che gli allievi abbiano sempre sopra di loro l'occhio vigile del Direttore e degli Assistenti, che come padri amorosi parlino, servano di guida ad ogni evento, diano consigli ed amorevolmente correggano, che è quanto dire: mettere gli allievi nella impossibilità di commettere mancanze. Questo sistema si appoggia tutto sopra la ragione, la religione, e sopra l'amorevolezza; perciò esclude ogni castigo violento e cerca di tener lontani gli stessi leggeri castighi. Sembra che questo sia preferibile..."
L’oratorio, perciò, accoglieva diseredati, bestemmiatori, ladri, balordi e teppisti del quartiere e delle zone limitrofe. L'Opera dei Luigini era retta, anche in curva, da un prete astigiano, don Martano, detto Biòca d’Asél, (Testa d’Acciaio) lo stesso che lo aveva battezzato.
I suoi metodi erano sbrigativi con i miscredenti; basti ricordare quando assoldò dei seminaristi butta dentro, che domenica mattina afferravano i passanti per il bavero costringendoli ad entrare in chiesa per assistere alla messa. Li aveva soprannominati Guardie del Corpo di Cristo.
"Bambino! Sei o non sei un soldato di Dio?!"
"Certo."
"E come mai non vieni più alle gite paramilitari catechistiche?!"
"Gli zingari musulmani alle Basse di Stura trattano meglio, mi lasciano tenere una bici rubata su quattro."
Pier Guido all’oratorio qualche amichetto lo trovò.
Un sentimento di pietà misto a simpatia spingeva gli altri ragazzetti ad accoglierlo. Miracolosamente la sua mitezza riusciva persino a placare le risse: "Bastardo, ridammi le figurine!"
"Prova a riprendertele, stronzo!"
"Ti ficco nel culo le birille, a due a due, cupio!"
"Che teste di cazzo, smettiamola di pestarci, guarda Pier Guido com'è tranquillo, sta leggendo il giornalino, sembra che studi, aiutiamolo, diamogli una bella ripassata! "
Uno spirito contemplativo non adatto alla compagnia di quegli asociali, con un padre ladro, una madre alcolizzata e una sorella sguattera.
Don Martano capì subito di aver a che fare con un bambino buono, pronto a servire il prossimo, e ne incoraggiò la dolcezza e l’inclinazione contemplativa. Ché fosse d’esempio! Iniziarono le prove.
Lo sfidò a ping pong senza racchetta, gli diede lezioni di calcetto, - e alla fine rimise a posto gli omini sulle aste -.
Gli insegnò anche a giocare a scacchi con le pedine della dama.
In quei giorni di solitudine Pier Guido trovava conforto nell’accogliente chiesa di stile neo gotico adiacente l’oratorio, dove ogni pomeriggio Don Martano li portava a pregare.
Quando si sentiva triste e rifiutato, entrava da solo in chiesa e si accostava all’altarino dedicatoa San Domenico Savio, il quindicenne allievo di Don Bosco, proclamato santo nel 1954, qualche mese prima della nascita di Pier Guido.
Fuori, in cortile, i suoi compagni correvano, tiravano calci ai palloni, scagliavano pensanti birille di ferro con le fionde, giocavano a fazzoletto sulle gamale (giostrine di ferro, con sedili tubolari che giravano come mulinelli).
Pier Guido si sedeva su una vecchia panca con l’inginocchiatoio, coperta di nomi, date e graffiti vari, e pregava, guardando il viso sereno di Domenico, in quel ritratto tanto dolce.
Ripensava alla storia del santo bambino, che entrò per la prima volta nell’oratorio di Don Bosco il 29 ottobre 1854. La prima cosa che vide fu un cartello: "Da mihi animas coetera tolle".
Don Bosco gli spiegò che era quello il suo motto: "Dammi le anime, prenditi il resto."
Domenico Savio, in compagnia del suo babbo, commentò: "Ho capito, qui si commerciano anime non denaro. Spero che anche la mia possa partecipare a tale commercio".
Pier Guido fece amico Domenico Savio e sognò di imitarlo. Volle consacrarsi alla Madonna e sperò, un giorno, di poter fondare anche lui una Compagnia dell'Immacolata, come aveva fatto il santo l'8 dicembre 1854, insieme ai migliori ragazzi dell'Oratorio.
Domenico si era chiesto: "Perché dobbiamo cercare di fare del bene agli altri da soli? Perché non unirsi, tutti i giovani più volenterosi, in una società segreta, per diventare un gruppo di piccoli apostoli tra gli altri?"
Don Bosco approvò il progetto. Domenico aveva creato il suo capolavoro: i fondatori sarebbero diventati salesiani, eccetto lui, che ancora non sapeva d‘aver solo 9 mesi di vita. La Compagnia si sarebbe trapiantata in ogni Casa salesiana per più di 100 anni, diventando dovunque un gruppo di ragazzi impegnati e di sicure vocazioni.
Così Pier Guido iniziò a strafare. Gli chiesero di servir messa: "Bambino, cosa fai con quel budino?"
"Pane e vino mi sembrava poco. Ho preparato il dessert."
Cresceva in cultura, era sempre il primo a finire i compiti al dopo scuola, e s’era fatto un collezione pazzesca di santini: don Martano li regalava a chi si impegnava a fondo nello studio del catechismo. Pier Guido lo aveva imparato a memoria. Era capace di farsi le domande previste alla fine di ogni capitolo, per poi rispondere senza sbagliare una virgola, ma la sua bruttezza non gli dava tregua neppure in confessione: "Padre, ho peccato, sono vivo."
"Nessuno è perfetto, figliolo. Tre Pater-Ave-Gloria e fatti una grappa."
"Ma... ma...padre, ho nove anni."
“Scusami, non ti avevo guardato bene. Fattene due!"
Così si chiudeva sempre di più in chiesa, e sperava di cadere in estasi come Domenico Savio, davanti al tabernacolo, per qualche ora.
Ultimati gli undici anni era ormai un ometto. Per il suo compleanno gli regalarono un oggetto che desiderava da tanto tempo: dimostrava sì e no venticinque anni, dopo essersi rasato.
Purtroppo non era soltanto bruttino ma aveva anche la pelle sensibile, tanto che in una gita a Laigueglia, durante un'eclissi di sole, gli venne l'abbronzatura a pois.
Un pomeriggio di primavera, che tendeva a far sera ma non era troppo tardi, il miracolo. Una tredicenne che bazzicava in Via Paisiello, lo vide seduto sui gradini della chiesa. Si chiamava Rossana e spesso attirava l’attenzione dei ragazzini mostrandosi seminuda sul balcone di casa, in fondo a Via Viriglio.
Aveva sempre una piccola folla di spettatori il pomeriggio, e dopo lo spettacolo scendeva con un’amica a passeggiare. Un codazzo di bambini la seguiva ovunque, come una piccola corte di allupati.
Rossana considerava strano Pier Guido, che certo l’aveva notata ma mai degnata di uno sguardo. Era troppo timido. Lei s’incuriosì e volle fare una passeggiata romantica con lui.
"Non posso crederci," le disse felice Guido "oggi mi sento un angelo!"
"E allora vola! Vola, angioletto mio!" e invece di baciarlo lo spinse giù dal cavalcavia ferroviario di Corso Sempione. Per fortuna in quel momento non passavano treni merci, diretti allo scalo di Borgo Vanchiglia.
Guido non se la prese per quella botta e pensò: "Mi vendicherò di questo destino avverso, quando sarò grande!"
Ma ciò non avvenne, visto che a quattordici anni non superava il metro e sessanta d'altezza.
Avvenne invece che i salesiani decisero fosse giunto il momento di allontanarlo dai Luigini, insomma, di cacciarlo, ma siccome non avevano una buona mira, lo mancarono d’un soffio con le freccette.
Guido, nonostante l'aspetto fisico non certo rassicurante, dimostrò un'intelligenza non comune, tanto che fu bocciato in prima elementare con la media del due, religione e intervallo compresi.
Erik, suo padre, un giorno andò su tutte le furie: “Guido hai preso di nuovo quattro!”
“Non sapevo dov’è la Svizzera.”
“Zio fa, che testa che c’hai, non ti ricordi mai dove mettono i soldi i politici! Adesso dimmi il futuro del verbo rubare”
“Tanassi andrà in prigione e Craxi in Tunisia.”
Anche Carlotta disperava: “Lo bocceranno di nuovo! Guido, dimmi cos’è … io sono bella”
“Una bugia, mamma.”
“Ma cosa perdi tempo con quella testa di mattone. Lavar la testa all’asino si perde la pena e il sapone! Se c’avesse un po’ di fosforo in quella biocca potremmo fabbricare fiammiferi, zio fa!”
Quel giorno suonarono alla porta, era il parroco, in giro per le benedizioni: “Cari, volete dare qualcosa per la parrocchia?”
“Certo, mio figlio! Il Signore sia lodato.”
Decisero così di mandarlo a ripetizione in Via Paisiello al dopo scuola dell'oratorio Michele Rua. Erik, questa volta, non si oppose al cattolicesimo. Il chierico Michele Rua fu il primo salesiano, e pronunciò i voti di povertà, castità e obbedienza davanti a Don Bosco il 25 marzo 1855.
Don Bosco diceva: "Due sono i sistemi in ogni tempo usati nell'educazione della gioventù: preventivo o repressivo. Il sistema repressivo consiste nel far conoscere la legge, poscia sorvegliare per conoscere i trasgressori ed infliggere, ove sia d'uopo, il meritato castigo... Diverso e, direi opposto è il sistema preventivo. Esso consiste nel far conoscere le prescrizioni e i regolamenti di un Istituto e poi sorvegliare in guisa che gli allievi abbiano sempre sopra di loro l'occhio vigile del Direttore e degli Assistenti, che come padri amorosi parlino, servano di guida ad ogni evento, diano consigli ed amorevolmente correggano, che è quanto dire: mettere gli allievi nella impossibilità di commettere mancanze. Questo sistema si appoggia tutto sopra la ragione, la religione, e sopra l'amorevolezza; perciò esclude ogni castigo violento e cerca di tener lontani gli stessi leggeri castighi. Sembra che questo sia preferibile..."
L’oratorio, perciò, accoglieva diseredati, bestemmiatori, ladri, balordi e teppisti del quartiere e delle zone limitrofe. L'Opera dei Luigini era retta, anche in curva, da un prete astigiano, don Martano, detto Biòca d’Asél, (Testa d’Acciaio) lo stesso che lo aveva battezzato.
I suoi metodi erano sbrigativi con i miscredenti; basti ricordare quando assoldò dei seminaristi butta dentro, che domenica mattina afferravano i passanti per il bavero costringendoli ad entrare in chiesa per assistere alla messa. Li aveva soprannominati Guardie del Corpo di Cristo.
"Bambino! Sei o non sei un soldato di Dio?!"
"Certo."
"E come mai non vieni più alle gite paramilitari catechistiche?!"
"Gli zingari musulmani alle Basse di Stura trattano meglio, mi lasciano tenere una bici rubata su quattro."
Pier Guido all’oratorio qualche amichetto lo trovò.
Un sentimento di pietà misto a simpatia spingeva gli altri ragazzetti ad accoglierlo. Miracolosamente la sua mitezza riusciva persino a placare le risse: "Bastardo, ridammi le figurine!"
"Prova a riprendertele, stronzo!"
"Ti ficco nel culo le birille, a due a due, cupio!"
"Che teste di cazzo, smettiamola di pestarci, guarda Pier Guido com'è tranquillo, sta leggendo il giornalino, sembra che studi, aiutiamolo, diamogli una bella ripassata! "
Uno spirito contemplativo non adatto alla compagnia di quegli asociali, con un padre ladro, una madre alcolizzata e una sorella sguattera.
Don Martano capì subito di aver a che fare con un bambino buono, pronto a servire il prossimo, e ne incoraggiò la dolcezza e l’inclinazione contemplativa. Ché fosse d’esempio! Iniziarono le prove.
Lo sfidò a ping pong senza racchetta, gli diede lezioni di calcetto, - e alla fine rimise a posto gli omini sulle aste -.
Gli insegnò anche a giocare a scacchi con le pedine della dama.
In quei giorni di solitudine Pier Guido trovava conforto nell’accogliente chiesa di stile neo gotico adiacente l’oratorio, dove ogni pomeriggio Don Martano li portava a pregare.
Quando si sentiva triste e rifiutato, entrava da solo in chiesa e si accostava all’altarino dedicatoa San Domenico Savio, il quindicenne allievo di Don Bosco, proclamato santo nel 1954, qualche mese prima della nascita di Pier Guido.
Fuori, in cortile, i suoi compagni correvano, tiravano calci ai palloni, scagliavano pensanti birille di ferro con le fionde, giocavano a fazzoletto sulle gamale (giostrine di ferro, con sedili tubolari che giravano come mulinelli).
Pier Guido si sedeva su una vecchia panca con l’inginocchiatoio, coperta di nomi, date e graffiti vari, e pregava, guardando il viso sereno di Domenico, in quel ritratto tanto dolce.
Ripensava alla storia del santo bambino, che entrò per la prima volta nell’oratorio di Don Bosco il 29 ottobre 1854. La prima cosa che vide fu un cartello: "Da mihi animas coetera tolle".
Don Bosco gli spiegò che era quello il suo motto: "Dammi le anime, prenditi il resto."
Domenico Savio, in compagnia del suo babbo, commentò: "Ho capito, qui si commerciano anime non denaro. Spero che anche la mia possa partecipare a tale commercio".
Pier Guido fece amico Domenico Savio e sognò di imitarlo. Volle consacrarsi alla Madonna e sperò, un giorno, di poter fondare anche lui una Compagnia dell'Immacolata, come aveva fatto il santo l'8 dicembre 1854, insieme ai migliori ragazzi dell'Oratorio.
Domenico si era chiesto: "Perché dobbiamo cercare di fare del bene agli altri da soli? Perché non unirsi, tutti i giovani più volenterosi, in una società segreta, per diventare un gruppo di piccoli apostoli tra gli altri?"
Don Bosco approvò il progetto. Domenico aveva creato il suo capolavoro: i fondatori sarebbero diventati salesiani, eccetto lui, che ancora non sapeva d‘aver solo 9 mesi di vita. La Compagnia si sarebbe trapiantata in ogni Casa salesiana per più di 100 anni, diventando dovunque un gruppo di ragazzi impegnati e di sicure vocazioni.
Così Pier Guido iniziò a strafare. Gli chiesero di servir messa: "Bambino, cosa fai con quel budino?"
"Pane e vino mi sembrava poco. Ho preparato il dessert."
Cresceva in cultura, era sempre il primo a finire i compiti al dopo scuola, e s’era fatto un collezione pazzesca di santini: don Martano li regalava a chi si impegnava a fondo nello studio del catechismo. Pier Guido lo aveva imparato a memoria. Era capace di farsi le domande previste alla fine di ogni capitolo, per poi rispondere senza sbagliare una virgola, ma la sua bruttezza non gli dava tregua neppure in confessione: "Padre, ho peccato, sono vivo."
"Nessuno è perfetto, figliolo. Tre Pater-Ave-Gloria e fatti una grappa."
"Ma... ma...padre, ho nove anni."
“Scusami, non ti avevo guardato bene. Fattene due!"
Così si chiudeva sempre di più in chiesa, e sperava di cadere in estasi come Domenico Savio, davanti al tabernacolo, per qualche ora.
Ultimati gli undici anni era ormai un ometto. Per il suo compleanno gli regalarono un oggetto che desiderava da tanto tempo: dimostrava sì e no venticinque anni, dopo essersi rasato.
Purtroppo non era soltanto bruttino ma aveva anche la pelle sensibile, tanto che in una gita a Laigueglia, durante un'eclissi di sole, gli venne l'abbronzatura a pois.
Un pomeriggio di primavera, che tendeva a far sera ma non era troppo tardi, il miracolo. Una tredicenne che bazzicava in Via Paisiello, lo vide seduto sui gradini della chiesa. Si chiamava Rossana e spesso attirava l’attenzione dei ragazzini mostrandosi seminuda sul balcone di casa, in fondo a Via Viriglio.
Aveva sempre una piccola folla di spettatori il pomeriggio, e dopo lo spettacolo scendeva con un’amica a passeggiare. Un codazzo di bambini la seguiva ovunque, come una piccola corte di allupati.
Rossana considerava strano Pier Guido, che certo l’aveva notata ma mai degnata di uno sguardo. Era troppo timido. Lei s’incuriosì e volle fare una passeggiata romantica con lui.
"Non posso crederci," le disse felice Guido "oggi mi sento un angelo!"
"E allora vola! Vola, angioletto mio!" e invece di baciarlo lo spinse giù dal cavalcavia ferroviario di Corso Sempione. Per fortuna in quel momento non passavano treni merci, diretti allo scalo di Borgo Vanchiglia.
Guido non se la prese per quella botta e pensò: "Mi vendicherò di questo destino avverso, quando sarò grande!"
Ma ciò non avvenne, visto che a quattordici anni non superava il metro e sessanta d'altezza.
Avvenne invece che i salesiani decisero fosse giunto il momento di allontanarlo dai Luigini, insomma, di cacciarlo, ma siccome non avevano una buona mira, lo mancarono d’un soffio con le freccette.