GARA PER BARBARA
(Ubu Moi)
A Torino, Piazza Ottorino Respighi ha una memoria storica che i nuovi abitanti del quartiere non conoscono. I pini ricordano ancora Guido e Carlo, gli ingenui rivoluzionari del borgo che nei primi anni ’70 vivevano in un limbo incantato, fra un film di Pasolini e tre litri di birra a testa. La sbronza del sabato sera era un rito allelujatico da ragazzi di vita, tanto che una notte Carlo accompagnò Guido in ospedale perché era svenuto. Gli esami rivelarono un tasso bassissimo di sangue nell’alcool delle sue vene. In fondo erano bravi ragazzi, tutti birra e sapone. |
Oltre alle bionde liquide, avevano un altro debole, le bionde sode, ma anche le rosse, le brune e i posti affollati: cineforum, feste dell’Unità, comizi, raduni rock-underground e perché no, le feste paesane. Volevano stare fra la gente, immergersi nel proletariato: Lina, Vanna, Caterina, Rossella, Angela, Carla... però... nel 1971 Guido divenne decisamente scontroso e guardingo: quando usciva con una ragazza non lo diceva più a Carlo, che lo curava, bravo 7+, e se n’accorse subito.
Un pomeriggio, che se l’ascoltavi bene si faceva sera, ma non era troppo tardi, Carlo indossava un elegante doppio petto principe di Galles, la cui fodera non pendeva dai bordi della giacca perché era tenuta su da un pezzo di nastro adesivo da pacchi. L’estate stava agonizzando, ma l’aria era tersa e profumata: il ragazzo si era rasato la barba lasciandosi solo i baffetti. Data la sua magrezza, le braccia dinoccolate, le gambe ossute ed un passo lungo, vagamente elegante ma in realtà affettato, non si rendeva conto di prodursi in una brutta imitazione di Massimo, allora segretario della FGCI.
Riaccendendo faticosamente la sua pipa di radica, rubata nella tabaccheria più elegante di Piazza Castello, Carlo vide in lontananza qualcosa di molto interessante. Come un segugio, accelerò il passo, attraversò deciso Corso Siccardi e lo raggiunse nei giardini della Cittadella.
Guido sbavava dietro ad una splendida rossa naturale: l’aiutava a portare i libri, una quarantina, sistemati dentro ad un carrello della spesa. Andavano a venderli al mercatino dell’usato: erano di moda i libri vissuti, e più erano laceri più ti davano un tono intellettuale. Potevi anche non leggerli, sfogliarli a caso, tanto erano già evidenziati. Forse, per questo motivo, la generazione degli anni ‘70 è cresciuta con una cultura notevole, ma di seconda mano.
Carlo, quel giorno, era di buon umore ed aggredì subito la situazione: “Ciau cazzone, che cazzo d’amico sei? Sporco borghese!”
“Oh, ci sei anche tu?” rispose Guido, irritato.
Carlo lo fulminò con un’occhiata rivoluzionaria e giustizialista, ma un po’ patafisica: “La proprietà privata è un furto, lo sai? I mezzi di produzione devono essere collettivizzati, perché sono degli operai e la donna è il maggior mezzo di produzione, no?!”
“Di... riproduzione...”, osò Guido.
“Di produzione, di riproduzione, è lo stesso. Produce i figli del proletariato, che sono i futuri rivoluzionari, le avanguardie che abbatteranno il capitalismo!”
“E allora?”
“Allora, io sono figlio d’operai, tu sei figlio d’operai, quindi, se non vuoi diventare un reazionario, dovresti condividere con i compagni, oltre il cinema, le sigarette e la birra anche le donne che conosci. Non importa, per questa volta ti perdono. Ciau bella, mi chiamo Carlo e tu?”
“Ciau, Barbara, vado nella stessa scuola di lui.”
“T’infastidisce il mio amico? Sai è un po' grezzo.”
"No, mi aiutava a portare i libri, che li vado a vendere per fare qualche cinquemila”, disse la ragazza. “Guido, lo vedi com’è pragmatica, lasciala perdere, non è come te, si vede subito che è una vera compagna, una materialista storica e dialettica.”
“Dici che io sono quella cosa lì, storica?” chiese stupefatta Barbara.
“Evidente, non ne sei ancora cosciente, ma farai grandi cose. Hai la grinta di una Rosa Luxemburg!”
“E’ vero, me lo sento bene l’antico Egitto e sta Rosa Luxor, o come si chiamava... era una faraona?”
"Sì, al forno", sussurrà Carlo.
Guido stava scoppiando di rabbia, ma sorrideva con tutti i suoi denti gialli: “Cazzo, Carlo, tu riduci tutto al materialismo, ma lei è un essere spirituale, non ama le cose ma la poesia”
“E’ vero“, riprese Barbara, “Carlo... tu hai l’automobile?”
“Sì cara... Guido, vedi, è la macchina, non lo spirito, la forza motrice del progresso. Non lo dico io ma Carlo Marx! La vita è la relazione dell’uomo con la materia, con i modi di produzione e di scambio delle merci fra le classi...”
“Io sono della terza B”, interruppe entusiasmata Barbara, rimirando il nuovo venuto.
“A che ora esci domani?” Chiese Carlo, senza nascondere sudici intenti.
“Domani ho solo quattro ore, sono esonerata da ginnastica... esco a mezzogiorno e un quarto, circa meno quasi...”, concluse ridacchiando Barbara.
“Ti aspetto davanti al cancello: ti porto a casa in macchina e la ginnastica la facciamo insieme.”
Guido sperò di sparire improvvisamente nel nulla.
“In che senso?” sospirò la rossa naturale, mentre mille efelidi le esplodevano vogliose in faccia.
“Non importa, te lo spiego poi. Vi saluto che devo andare all’Unione Culturale, c’è una mostra fotografica sui Tupamaros. Ciau, ragazzi.”
Guido proprio non se la sentiva di farci la figura del cretino totale, così mollò Barbara in mezzo al giardino e se la svignò, seguendo l’amico come un cagnolino.
Carlo divenne più comprensivo: “Guido, a me va bene che vieni anche tu, ma ci fai proprio la figura del tamarro a lasciarla lì da sola, con tutti quei libri da tirarsi dietro.“
“Ormai, cosa me ne frega, tanto te le fai su te.”
“E se anche fosse, se anche mi andasse bene? Barbara non è mia. Non parlo a cazzo io. Fra oggi e domani avevi tutto il tempo per provarci: non sono mica geloso! Questo è materialismo storico!”
“A me più che materialismo storico mi sembra un’altra delle tue fregature...”
“Ingrato. Voglio solo farti capire che l’importante è l’atto sessuale in sé, e non tutte quelle romanticherie sull’amore, la fedeltà e il rapporto fisso. Ricordati: le donne confondono le lettere. Spesso quando parlano di matrimonio, pensano a patrimonio. Non entrerai mai nel giro dei veri marxisti.”
Guido rifiutò di vedere Carlo per due settimane, poi lui gli telefonò, disperato, piangendo e abilmente imitando le cascate del Velino. Si era preso una cotta mostruosa per Barbara, che nel frattempo aveva perfettamente compreso il concetto di materialismo da palestra, ed aveva altri due ganzi.
“Non meriti la mia comprensione” disse Guido, “ma avresti bisogno di giocare un po'. Mi piacerebbe chiuderti dentro una biglia di plastica con dentro la figurina di Ghezzi e farti rotolare giù da Superga. Però, forse, non era Ghezzi, ma Cudicini, ne avevo sempre dieci o dodici di Cudicini, era facile da trovare nelle bustine delle figu, una vera ossessione: che palle, di nuovo Cudicini! Me lo ricordo... con quella faccia da King Kong con la maglia della Roma! No, sto dicendo una sciocchezza, Cudicini viene dopo, verso il 1962, non mi sopporto quando m’interrompo sempre: per piacere, non mi interrompere più, okay?!"
Un pomeriggio, che se l’ascoltavi bene si faceva sera, ma non era troppo tardi, Carlo indossava un elegante doppio petto principe di Galles, la cui fodera non pendeva dai bordi della giacca perché era tenuta su da un pezzo di nastro adesivo da pacchi. L’estate stava agonizzando, ma l’aria era tersa e profumata: il ragazzo si era rasato la barba lasciandosi solo i baffetti. Data la sua magrezza, le braccia dinoccolate, le gambe ossute ed un passo lungo, vagamente elegante ma in realtà affettato, non si rendeva conto di prodursi in una brutta imitazione di Massimo, allora segretario della FGCI.
Riaccendendo faticosamente la sua pipa di radica, rubata nella tabaccheria più elegante di Piazza Castello, Carlo vide in lontananza qualcosa di molto interessante. Come un segugio, accelerò il passo, attraversò deciso Corso Siccardi e lo raggiunse nei giardini della Cittadella.
Guido sbavava dietro ad una splendida rossa naturale: l’aiutava a portare i libri, una quarantina, sistemati dentro ad un carrello della spesa. Andavano a venderli al mercatino dell’usato: erano di moda i libri vissuti, e più erano laceri più ti davano un tono intellettuale. Potevi anche non leggerli, sfogliarli a caso, tanto erano già evidenziati. Forse, per questo motivo, la generazione degli anni ‘70 è cresciuta con una cultura notevole, ma di seconda mano.
Carlo, quel giorno, era di buon umore ed aggredì subito la situazione: “Ciau cazzone, che cazzo d’amico sei? Sporco borghese!”
“Oh, ci sei anche tu?” rispose Guido, irritato.
Carlo lo fulminò con un’occhiata rivoluzionaria e giustizialista, ma un po’ patafisica: “La proprietà privata è un furto, lo sai? I mezzi di produzione devono essere collettivizzati, perché sono degli operai e la donna è il maggior mezzo di produzione, no?!”
“Di... riproduzione...”, osò Guido.
“Di produzione, di riproduzione, è lo stesso. Produce i figli del proletariato, che sono i futuri rivoluzionari, le avanguardie che abbatteranno il capitalismo!”
“E allora?”
“Allora, io sono figlio d’operai, tu sei figlio d’operai, quindi, se non vuoi diventare un reazionario, dovresti condividere con i compagni, oltre il cinema, le sigarette e la birra anche le donne che conosci. Non importa, per questa volta ti perdono. Ciau bella, mi chiamo Carlo e tu?”
“Ciau, Barbara, vado nella stessa scuola di lui.”
“T’infastidisce il mio amico? Sai è un po' grezzo.”
"No, mi aiutava a portare i libri, che li vado a vendere per fare qualche cinquemila”, disse la ragazza. “Guido, lo vedi com’è pragmatica, lasciala perdere, non è come te, si vede subito che è una vera compagna, una materialista storica e dialettica.”
“Dici che io sono quella cosa lì, storica?” chiese stupefatta Barbara.
“Evidente, non ne sei ancora cosciente, ma farai grandi cose. Hai la grinta di una Rosa Luxemburg!”
“E’ vero, me lo sento bene l’antico Egitto e sta Rosa Luxor, o come si chiamava... era una faraona?”
"Sì, al forno", sussurrà Carlo.
Guido stava scoppiando di rabbia, ma sorrideva con tutti i suoi denti gialli: “Cazzo, Carlo, tu riduci tutto al materialismo, ma lei è un essere spirituale, non ama le cose ma la poesia”
“E’ vero“, riprese Barbara, “Carlo... tu hai l’automobile?”
“Sì cara... Guido, vedi, è la macchina, non lo spirito, la forza motrice del progresso. Non lo dico io ma Carlo Marx! La vita è la relazione dell’uomo con la materia, con i modi di produzione e di scambio delle merci fra le classi...”
“Io sono della terza B”, interruppe entusiasmata Barbara, rimirando il nuovo venuto.
“A che ora esci domani?” Chiese Carlo, senza nascondere sudici intenti.
“Domani ho solo quattro ore, sono esonerata da ginnastica... esco a mezzogiorno e un quarto, circa meno quasi...”, concluse ridacchiando Barbara.
“Ti aspetto davanti al cancello: ti porto a casa in macchina e la ginnastica la facciamo insieme.”
Guido sperò di sparire improvvisamente nel nulla.
“In che senso?” sospirò la rossa naturale, mentre mille efelidi le esplodevano vogliose in faccia.
“Non importa, te lo spiego poi. Vi saluto che devo andare all’Unione Culturale, c’è una mostra fotografica sui Tupamaros. Ciau, ragazzi.”
Guido proprio non se la sentiva di farci la figura del cretino totale, così mollò Barbara in mezzo al giardino e se la svignò, seguendo l’amico come un cagnolino.
Carlo divenne più comprensivo: “Guido, a me va bene che vieni anche tu, ma ci fai proprio la figura del tamarro a lasciarla lì da sola, con tutti quei libri da tirarsi dietro.“
“Ormai, cosa me ne frega, tanto te le fai su te.”
“E se anche fosse, se anche mi andasse bene? Barbara non è mia. Non parlo a cazzo io. Fra oggi e domani avevi tutto il tempo per provarci: non sono mica geloso! Questo è materialismo storico!”
“A me più che materialismo storico mi sembra un’altra delle tue fregature...”
“Ingrato. Voglio solo farti capire che l’importante è l’atto sessuale in sé, e non tutte quelle romanticherie sull’amore, la fedeltà e il rapporto fisso. Ricordati: le donne confondono le lettere. Spesso quando parlano di matrimonio, pensano a patrimonio. Non entrerai mai nel giro dei veri marxisti.”
Guido rifiutò di vedere Carlo per due settimane, poi lui gli telefonò, disperato, piangendo e abilmente imitando le cascate del Velino. Si era preso una cotta mostruosa per Barbara, che nel frattempo aveva perfettamente compreso il concetto di materialismo da palestra, ed aveva altri due ganzi.
“Non meriti la mia comprensione” disse Guido, “ma avresti bisogno di giocare un po'. Mi piacerebbe chiuderti dentro una biglia di plastica con dentro la figurina di Ghezzi e farti rotolare giù da Superga. Però, forse, non era Ghezzi, ma Cudicini, ne avevo sempre dieci o dodici di Cudicini, era facile da trovare nelle bustine delle figu, una vera ossessione: che palle, di nuovo Cudicini! Me lo ricordo... con quella faccia da King Kong con la maglia della Roma! No, sto dicendo una sciocchezza, Cudicini viene dopo, verso il 1962, non mi sopporto quando m’interrompo sempre: per piacere, non mi interrompere più, okay?!"