ME NE LAVO LA MENTE
Noi scrittori, al massimo, siamo costretti a ripeterci: questa è la verità. Abbiamo due o tre esperienze intense e toccanti nella vita; esperienze così intense e toccanti che non sembra possibile, al momento, che qualcun altro sia mai stato così coinvolto, colpito, abbagliato, sbalordito, battuto, spezzato, riscattato, illuminato, ricompensato, avvilito.
Poi impariamo il mestiere, più o meno bene, e raccontiamo le nostre due o tre storie - ogni volta in forma diversa - forse dieci, forse cento volte, finché la gente le sta ad ascoltare. “Crepuscolo di uno scrittore” - Francis Scott Fitzgerald |
Novembre 1971, si approssimava il Natale e Piero stava diventando un ragazzo poco affidabile, che non rispettava più l’epica e la grammatica del materialismo storico dialettale, né la moda del rifiutare la moda: un po’ indossava maxicapotti, camicie attillate e capelli cotonati; un altro po’ camice militari, eskimi, blue jeans e capelli stirati. Quando decideva per le camicie attillate e la cotonatura casalinga, eseguita abilmente sfregando le ciocche con il pettine, alternava giro. Lo si poteva vedere in compagnia del John, detto anche Gino o Gigi.
Gigi stava diventando il compagno di scuola più amato, il prescelto, l’eletto, l’opposto complementare. L’aveva conosciuto ad Ottobre, il primo anno di superiori, davanti all’Istituto Professionale per il Commercio, prima che facessero l’appello per formare le classi. E subito si erano acchiappati, mettendosi a parlare di musica, fumando una sigaretta Edelweiss dopo l’altra. Che schifezza!
John suonava la “chitarra primordiale”, quello strumento gracchiante e metallico su cui è difficile mettere insieme quattro accordi sensati senza farsi sanguinare le dita per la durezza e la crudeltà delle corde metalliche, affilate come fili per tagliare la gola.
Stessi gusti in fatto di musica e donne, politicamente agli antipodi. John giocava ad essere fascista ed abitava alla Crocetta. Famiglia di commercianti. Era un’amicizia democratica, coltivata nelle più famigerate osterie come Baronetto e i Tre scalini, zeppe di pericolosi estremisti, che si facevano di vino rosso, whisky e hashish, ma anche nei disco bar diurni dei cremini, come il Caffé Borsa, La Grotta, il Mini Club, il Don Pepe, il Pop e il Voom Voom. Qui si facevano di gin fiz, spumante, brandy e hashish, ma anche di caffé irlandese. Salvo darsi appuntamento al Caffé Motta di Piazza Castello per strafogarsi di gelati e panna cotta. Nei primi ci andavano comunisti e anarchici, nei secondi liberali e fascisti. Nessuno era veramente convinto, schierarsi faceva il personaggio. In realtà, erano tutti braüv fiöjoi, (bravi ragazzi), alcuni però con coltelli e tirapugni in tasca, ma non il Piero e il Gigi.
Quei pochi attivisti (di entrambe le parti) che contavano veramente, erano in ogni caso pargoli della buona borghesia. Compiuti i fatidici diciotto si ritrovavano lo spider sotto il culo (destri) o l’R4 rossa (sinistri), la mansarda arredata con gusto zona Francia, qualche litografia d’autore ai muri, (destri), la suffia mal in arnese in corso San Maurizio, arredata coi mobili Art Deco’ della nonna, con l’impiallacciatura che veniva via (sinistri).
A loro, però, la mascherata riusciva bene, infatti, oggi, tutti vantano ottimi stipendi e occupano le migliori posizioni in fondazioni, enti pubblici e aziende: giornalisti, avvocati, commercialisti, fotografi, ingegneri, artisti, politici, editori, pubblicitari e qualche galeotto di rango (pentito).
La destra-sinistra proletaria, quella vera, era diversa. S’illudeva che le caste non esistevano, ed aveva una comune estetica di riferimento: organizzarsi ed arrangiarsi. Ognuno viveva la condizione di paria con gli stessi rovelli: fregare i danarosi per vendicarsi di paghette scarse e genitori sfruttati e incazzati per un lavoro di merda, allora… razzia di dischi e libri senza farsi cuccare, sigarette battute ai passanti per strada, trovare una crota (cantina) per suonare, mettere su un complesso… diventare celebri e gloriosi! Erano gli Arditi del Pop! Intrepidi ignoranti che ascoltavano dai Vanilla Fudge a Jimi Hendrix, dai Nomadi a Dexter Gordon, passando per Fabrizio De André, senza colpo ferire, e poi strimpellavano l'ultimo pezzo dei Creedence Clearwater Revival.
La solidarietà aveva usanze sobrie, discrete ma reali, basata su solidi sogni. La vaga coscienza del comune destino prendeva accenti di una singolare comunanza culturale.
John e Piero il mattino si ritrovavano nella bar vineria di Corso Galileo Ferraris, cappuccino, brioche e domanda di rito: “C’è sciopero?”
“Sì, solidarietà per Franco Serrantini e rispetto delle interrogazioni programmate.”
“Vuoi una mano per il picchetto?” proponeva, ridacchiando, John.
“Okay, andiamo, che mi scade l’affitto del megafono alle dieci.”
“Oh, t’avverto, mettiamo su il corteo, ce ne facciamo un pezzo e via pedalare, sgommiamo al Bar Borsa.”
“Non posso, devo farmi vedere almeno fino a Palazzo Nuovo, se no cosa pensano?! E poi devo riportare il megafono alla Euphon!”
“Allora io entro. Un amico ti da una mano a svuotare la scuola e tu lo molli da solo nel buio dei separé fra coppie limonanti?! Voi rossi siete dei cacasotto.”
”Io non sono rosso, al massimo… rosso nero.”
“L’anarchia è una stronzata, sei proprio un abbagliato.”
“Ah sì?! Allora teliamo a metà corteo.”
“Okay John. All’altezza di Via Carlo Alberto.”
“Lasciamo il mega in Euphon e tiriamo dritto al Pop.”
“Figo John, non ci avevo pensato, sarà aperto sta mattina?
“Certo, è giovedì. Speri di farti la Graziella, eh? E se non viene?”
“Viene, viene. E se no, me ne lavo la mente. E te con l’Angela?”
“Cazzo me ne frega. Mi ha messo il peso in testa col Carlo. Spero che ci sia Patrizia.”
“La biondina del Roberto? Ma quella è passiva e c’ha il ganzo che s'incazza.”
“Andiamo, magari tiriamo su qualcosa… corteo facendo.”
E andavano a braccetto verso il cancello, dove iniziavano ad arrivare i compagni di scuola, compagni di niente, per vivere una splendida giornata remota, di quelle come non se ne fanno più, con i deliri ancora intatti, prima di naufragare fra le speranze e un falso altare.
Si diplomarono entrambi. Non avevano ancora venti primavere e l’ottimismo prometteva importanti autunni, ma l’arroganza balla sui soffitti a testa in giù. Piero, come attore, John, come cantautore, si trovarono in un mondo di folli che danzavano con le tempie pulsanti di sangue, con i piedi incollati al metaforico soffitto del successo. Erano folli come lo zero dei tarocchi. In questa follia sta il peccato originale della conoscenza, dell’auto celebrazione di Caino, che può portare all’omicidio del fratello. Questa è la bassa natura umana, ma senza esibizionisti e guerrieri non ci sarebbe mai stata competizione, né perfezionamento d’arti, scienze e lettere, ne sarebbero nati artisti, poeti, esploratori, inventori e santi. Senza provetti ragazzi di bottega e operai saldatori, i più grandi artisti non avrebbero potuto realizzare dipinti e sculture per invadere il mercato. La scelta è sempre la stessa: schiavo o padrone, impiegato dell’arte o protagonista. Loro invece, sono dei poveri illusi, liberi. E’ un male. Non possono farci niente se… disobbediscono.
In quel periodo, fra il 1970 ed il 1980, di menestrelli, d.j, istrioni, fanciulle, madonne, puttane, tiranni e politici John ne vide tanti, ma pochi assursero a fama universale, neppure Roberto e Patrizia con la loro radio libera, sgangherata e pioniera, che balbettava come un abbecedario e costava un patrimonio. Comunque, facendo finta di non soffrire di modestia, cercava di stare al centro degli eventi ed osservava, stringendo la mano a tutti e lavandosene la mente, quasi sempre. Ma c’era. In questo spazio immaginato s’accendeva un’euforia tesa al giudizio: a volte all’invidia, altre al disprezzo. L’invidia era riservata a chi riusciva a fare qualunque cosa, il disprezzo a chi voleva provarci lo stesso, raccogliendo magre figure. John, comunque sia andata, non può essere paragonato.
In seguito, quando s’incontravano in qualche locale dei Murazzi e Piero lo invitava a casa, si facevano un’altra birra e gli spaghetti di mezzanotte. Piero lo guardava, lo ascoltava “stupito” suonare il pianoforte, e registrava, registrava la vita che scorreva, ma così bene che se dovesse scrivere tutta quella meraviglia non basterebbe la Treccani.
John è un grande, suo malgrado, e i cosiddetti grandi rendono titanica la vita di Piero. Ma quello che li fregò fu quel fatidico… e adesso questo che cazzo vuole?! E’ un pensiero sempre presente, a volte inespresso, nella testa di donne e uomini di successo, baccagliati da conoscenti e sconosciuti desiderosi d’aiuto. Non sì dà il caso che qualcuno li avvicini così, tanto per fare due parole. No, chi accosta agli arrivati, vuole qualcosa: subito, poco dopo o poco più in la del poco dopo. Gigi, Piero & C, si accorsero ben presto che la fatidica domanda cosa vuoi fare da grande? Aveva una precisa fisionomia per i nati nel posto sbagliato: angoscioso affanno, mille cretini che ti sbarrano la strada, compromessi ideologici e sessuali, telefonate su telefonate, appuntamenti mancati, vigliaccate... se ti danno una pacca sulla spalla non è per complimentarsi, ma per misurare bene dove ficcarti il coltello la prossima volta.
I nervi si sfasciano e ti cola il cervello dalle orecchie correndo a perdifiato tra uffici, party, spettacoli, inaugurazioni sempre piene di coglionazzi. Non hai mai un soldo in tasca, inizi a far debiti e se non reggi il ritmo… l’alcool, la droga, i tradimenti della donna che ami, ti fanno l’imboscata! E l’imboscata arrivò puntuale per entrambi, ma i mostri si combattono e si vincono sempre, avendo una "fede armonica" nel cuore. John, qualche anno dopo, canterà…
Gigi stava diventando il compagno di scuola più amato, il prescelto, l’eletto, l’opposto complementare. L’aveva conosciuto ad Ottobre, il primo anno di superiori, davanti all’Istituto Professionale per il Commercio, prima che facessero l’appello per formare le classi. E subito si erano acchiappati, mettendosi a parlare di musica, fumando una sigaretta Edelweiss dopo l’altra. Che schifezza!
John suonava la “chitarra primordiale”, quello strumento gracchiante e metallico su cui è difficile mettere insieme quattro accordi sensati senza farsi sanguinare le dita per la durezza e la crudeltà delle corde metalliche, affilate come fili per tagliare la gola.
Stessi gusti in fatto di musica e donne, politicamente agli antipodi. John giocava ad essere fascista ed abitava alla Crocetta. Famiglia di commercianti. Era un’amicizia democratica, coltivata nelle più famigerate osterie come Baronetto e i Tre scalini, zeppe di pericolosi estremisti, che si facevano di vino rosso, whisky e hashish, ma anche nei disco bar diurni dei cremini, come il Caffé Borsa, La Grotta, il Mini Club, il Don Pepe, il Pop e il Voom Voom. Qui si facevano di gin fiz, spumante, brandy e hashish, ma anche di caffé irlandese. Salvo darsi appuntamento al Caffé Motta di Piazza Castello per strafogarsi di gelati e panna cotta. Nei primi ci andavano comunisti e anarchici, nei secondi liberali e fascisti. Nessuno era veramente convinto, schierarsi faceva il personaggio. In realtà, erano tutti braüv fiöjoi, (bravi ragazzi), alcuni però con coltelli e tirapugni in tasca, ma non il Piero e il Gigi.
Quei pochi attivisti (di entrambe le parti) che contavano veramente, erano in ogni caso pargoli della buona borghesia. Compiuti i fatidici diciotto si ritrovavano lo spider sotto il culo (destri) o l’R4 rossa (sinistri), la mansarda arredata con gusto zona Francia, qualche litografia d’autore ai muri, (destri), la suffia mal in arnese in corso San Maurizio, arredata coi mobili Art Deco’ della nonna, con l’impiallacciatura che veniva via (sinistri).
A loro, però, la mascherata riusciva bene, infatti, oggi, tutti vantano ottimi stipendi e occupano le migliori posizioni in fondazioni, enti pubblici e aziende: giornalisti, avvocati, commercialisti, fotografi, ingegneri, artisti, politici, editori, pubblicitari e qualche galeotto di rango (pentito).
La destra-sinistra proletaria, quella vera, era diversa. S’illudeva che le caste non esistevano, ed aveva una comune estetica di riferimento: organizzarsi ed arrangiarsi. Ognuno viveva la condizione di paria con gli stessi rovelli: fregare i danarosi per vendicarsi di paghette scarse e genitori sfruttati e incazzati per un lavoro di merda, allora… razzia di dischi e libri senza farsi cuccare, sigarette battute ai passanti per strada, trovare una crota (cantina) per suonare, mettere su un complesso… diventare celebri e gloriosi! Erano gli Arditi del Pop! Intrepidi ignoranti che ascoltavano dai Vanilla Fudge a Jimi Hendrix, dai Nomadi a Dexter Gordon, passando per Fabrizio De André, senza colpo ferire, e poi strimpellavano l'ultimo pezzo dei Creedence Clearwater Revival.
La solidarietà aveva usanze sobrie, discrete ma reali, basata su solidi sogni. La vaga coscienza del comune destino prendeva accenti di una singolare comunanza culturale.
John e Piero il mattino si ritrovavano nella bar vineria di Corso Galileo Ferraris, cappuccino, brioche e domanda di rito: “C’è sciopero?”
“Sì, solidarietà per Franco Serrantini e rispetto delle interrogazioni programmate.”
“Vuoi una mano per il picchetto?” proponeva, ridacchiando, John.
“Okay, andiamo, che mi scade l’affitto del megafono alle dieci.”
“Oh, t’avverto, mettiamo su il corteo, ce ne facciamo un pezzo e via pedalare, sgommiamo al Bar Borsa.”
“Non posso, devo farmi vedere almeno fino a Palazzo Nuovo, se no cosa pensano?! E poi devo riportare il megafono alla Euphon!”
“Allora io entro. Un amico ti da una mano a svuotare la scuola e tu lo molli da solo nel buio dei separé fra coppie limonanti?! Voi rossi siete dei cacasotto.”
”Io non sono rosso, al massimo… rosso nero.”
“L’anarchia è una stronzata, sei proprio un abbagliato.”
“Ah sì?! Allora teliamo a metà corteo.”
“Okay John. All’altezza di Via Carlo Alberto.”
“Lasciamo il mega in Euphon e tiriamo dritto al Pop.”
“Figo John, non ci avevo pensato, sarà aperto sta mattina?
“Certo, è giovedì. Speri di farti la Graziella, eh? E se non viene?”
“Viene, viene. E se no, me ne lavo la mente. E te con l’Angela?”
“Cazzo me ne frega. Mi ha messo il peso in testa col Carlo. Spero che ci sia Patrizia.”
“La biondina del Roberto? Ma quella è passiva e c’ha il ganzo che s'incazza.”
“Andiamo, magari tiriamo su qualcosa… corteo facendo.”
E andavano a braccetto verso il cancello, dove iniziavano ad arrivare i compagni di scuola, compagni di niente, per vivere una splendida giornata remota, di quelle come non se ne fanno più, con i deliri ancora intatti, prima di naufragare fra le speranze e un falso altare.
Si diplomarono entrambi. Non avevano ancora venti primavere e l’ottimismo prometteva importanti autunni, ma l’arroganza balla sui soffitti a testa in giù. Piero, come attore, John, come cantautore, si trovarono in un mondo di folli che danzavano con le tempie pulsanti di sangue, con i piedi incollati al metaforico soffitto del successo. Erano folli come lo zero dei tarocchi. In questa follia sta il peccato originale della conoscenza, dell’auto celebrazione di Caino, che può portare all’omicidio del fratello. Questa è la bassa natura umana, ma senza esibizionisti e guerrieri non ci sarebbe mai stata competizione, né perfezionamento d’arti, scienze e lettere, ne sarebbero nati artisti, poeti, esploratori, inventori e santi. Senza provetti ragazzi di bottega e operai saldatori, i più grandi artisti non avrebbero potuto realizzare dipinti e sculture per invadere il mercato. La scelta è sempre la stessa: schiavo o padrone, impiegato dell’arte o protagonista. Loro invece, sono dei poveri illusi, liberi. E’ un male. Non possono farci niente se… disobbediscono.
In quel periodo, fra il 1970 ed il 1980, di menestrelli, d.j, istrioni, fanciulle, madonne, puttane, tiranni e politici John ne vide tanti, ma pochi assursero a fama universale, neppure Roberto e Patrizia con la loro radio libera, sgangherata e pioniera, che balbettava come un abbecedario e costava un patrimonio. Comunque, facendo finta di non soffrire di modestia, cercava di stare al centro degli eventi ed osservava, stringendo la mano a tutti e lavandosene la mente, quasi sempre. Ma c’era. In questo spazio immaginato s’accendeva un’euforia tesa al giudizio: a volte all’invidia, altre al disprezzo. L’invidia era riservata a chi riusciva a fare qualunque cosa, il disprezzo a chi voleva provarci lo stesso, raccogliendo magre figure. John, comunque sia andata, non può essere paragonato.
In seguito, quando s’incontravano in qualche locale dei Murazzi e Piero lo invitava a casa, si facevano un’altra birra e gli spaghetti di mezzanotte. Piero lo guardava, lo ascoltava “stupito” suonare il pianoforte, e registrava, registrava la vita che scorreva, ma così bene che se dovesse scrivere tutta quella meraviglia non basterebbe la Treccani.
John è un grande, suo malgrado, e i cosiddetti grandi rendono titanica la vita di Piero. Ma quello che li fregò fu quel fatidico… e adesso questo che cazzo vuole?! E’ un pensiero sempre presente, a volte inespresso, nella testa di donne e uomini di successo, baccagliati da conoscenti e sconosciuti desiderosi d’aiuto. Non sì dà il caso che qualcuno li avvicini così, tanto per fare due parole. No, chi accosta agli arrivati, vuole qualcosa: subito, poco dopo o poco più in la del poco dopo. Gigi, Piero & C, si accorsero ben presto che la fatidica domanda cosa vuoi fare da grande? Aveva una precisa fisionomia per i nati nel posto sbagliato: angoscioso affanno, mille cretini che ti sbarrano la strada, compromessi ideologici e sessuali, telefonate su telefonate, appuntamenti mancati, vigliaccate... se ti danno una pacca sulla spalla non è per complimentarsi, ma per misurare bene dove ficcarti il coltello la prossima volta.
I nervi si sfasciano e ti cola il cervello dalle orecchie correndo a perdifiato tra uffici, party, spettacoli, inaugurazioni sempre piene di coglionazzi. Non hai mai un soldo in tasca, inizi a far debiti e se non reggi il ritmo… l’alcool, la droga, i tradimenti della donna che ami, ti fanno l’imboscata! E l’imboscata arrivò puntuale per entrambi, ma i mostri si combattono e si vincono sempre, avendo una "fede armonica" nel cuore. John, qualche anno dopo, canterà…
Strade
“Cosa sono,
cosa voglio… non lo so
quattro amici in tasca
un gesto… che farò?
Qui ti cercano l’anima
ti distruggono l’anima.
Cosa vedo
cosa credo… non lo so
sono troppi i miei segreti… che dirò
quando parli dell’anima
mentre intorno vedrai… soltanto…
Strade su strade
bagnate, asfaltate
dimmi per favore… sono qua!
Strade su strade
bagnate, asfaltate
sulla pelle di una civiltà!
Cosa senti
cosa pensi… se dirò
centomila volte al giorno
…. i miei però…
qui ti cercano l’anima
ti calpestano l’anima.
Cosa illudi
che rinchiudi… cosa fai!?
le etichette dietro
te le attaccherei
Più ti vendi un po’ d’anima
più veloce sarai
sulle tue…
Strade su strade
schiacciate asfaltate
più cemento in testa
che in città.
Strade su strade
Bagnate asfaltate
Più una storia di
Tanti anni fa…
Strade…
…su strade.
“Cosa sono,
cosa voglio… non lo so
quattro amici in tasca
un gesto… che farò?
Qui ti cercano l’anima
ti distruggono l’anima.
Cosa vedo
cosa credo… non lo so
sono troppi i miei segreti… che dirò
quando parli dell’anima
mentre intorno vedrai… soltanto…
Strade su strade
bagnate, asfaltate
dimmi per favore… sono qua!
Strade su strade
bagnate, asfaltate
sulla pelle di una civiltà!
Cosa senti
cosa pensi… se dirò
centomila volte al giorno
…. i miei però…
qui ti cercano l’anima
ti calpestano l’anima.
Cosa illudi
che rinchiudi… cosa fai!?
le etichette dietro
te le attaccherei
Più ti vendi un po’ d’anima
più veloce sarai
sulle tue…
Strade su strade
schiacciate asfaltate
più cemento in testa
che in città.
Strade su strade
Bagnate asfaltate
Più una storia di
Tanti anni fa…
Strade…
…su strade.
Questi illusi, che ancora oggi, in questi giorni, in queste ore, in questi istanti, gli cresce dentro un’incontenibile impossibilità di obbedire: cantano e scrivono, sognano di tornare bambini, per non
sentirsi obbligati a frequentare le case dei puzza sotto il naso. Ah, già,
conservano sempre in un cassetto una biglia di plastica con dentro la figurina
di Ghezzi. No, forse non era Ghezzi ma Cudicini, ne avevo sempre dieci o dodici
di Cudicini, era facile da trovare nelle bustine delle figu, una vera
ossessione: che palle, di nuovo Cudicini! Belle le figu, ma va fan culo alle etichette!