DANCING TENNESSEE
Era penosamente sposato con una donna bambina, che non riuscì mai a superare la paura della prima notte. Niente figli, niente rapporti, solo qualche carezza prolungata, bassa e audace, i primi tempi, mai con la bocca… perché fa schifo. Poi… più nulla, neanche il divorzio, che allora non esisteva.
Rinunciò a corteggiarla per poterla finalmente considerare un’ottima collaboratrice domestica. Sposa in bianco, riso in bianco, notti in bianco dentro lenzuola candeggiate, fino alla fine delle notti. |
Lo sapeva perfettamente. Queste erano le premesse. Nino, decise di consolarsi, travestendosi da elegantone dal fascino irresistibile. A partire dal 1970 iniziò le danze, ogni giovedì pomeriggio, predando fianchi e sederi opulenti. La sala da ballo si riempiva d’amiche del liscio, sempre in coppia come Testimoni di Geova in tailleur. Erano tutte oltre i cinquanta, eternamente in restauro, stuccate a nuovo come Palazzo Reale o Moira Orfei.
Verso le ore quindici, plotoni di reginette di bellezza, stile Rimini al tramonto, Caffé Smeraldo di Piazza Tripoli, scendevano da taxi e tram, prendendo d’assalto la biglietteria del dancing. Qualcuna si fermava al chiosco del Pino, per un bel gelatone crema e cioccolato amaro.
Prevalevano le taglie forti brevi linee, che il tacco a spillo slanciava verso altezze medie. I pois, caini, aggiungevano l’effetto snellente, soprattutto su fondo blu di taffettà. Era difficile scegliere l’insieme più gioviale e giovanile nel vociare appetitoso delle tarde promesse romantiche, che sognavano improbabili fidanzamenti extra coniugali con brutte copie di Carry Grant e Clark Gable. La commedia umana.
I signori, sempre in minoranza, cercavano di non deluderle, ispirandosi ai divi di celluloide: giacche della festa, troppo nuove, fresche di Facis, taglie casuali, spalle cadenti, calzoni troppo vecchi, lisi, corti, stretti, larghi, parrucchini e riporti per celare calvizie inconfutabili, tinture immonde che disegnavano chiome rosse come carote o nere come la pece. Camicie stiracchiate ma con i colletti inamidati che mozzavano il fiato, facendo concorrenza al boia di Londra. Molte erano orfane di bottoni, smarriti nel buio profondo di qualche cassetto. I busti e le pancere schiacciavano le trippe, ripiene di spaghetti, polpettoni e patate, ingurgitate a pranzo.
Nino era il migliore. L’ispezione avveniva dall’alto di uno sgabello dell’american bar, di quelli scomodi e pericolanti, che se cadi ti rompi una caviglia. Nascosto dietro ad un bicchiere di cedrata o tamarindo, il bel tenebroso ispezionava un mare di ghiaia bianca punteggiato di tavolini e ombrelloni. Gli occhi socchiusi da grand viveur sembravano gonfi di pianto… complice il fumo della sigaretta king size, con il filtro bianco, stretta fra le labbra nervose, inchiodata sull’angolo sinistro della bocca.
Aspirava il fumo con voluttà, tossiva, inspirava e cercava l’ispirazione, o il coraggio per coprire elegantemente la distanza che lo separava dalla prossima scommessa d’amore, perché anche nel corteggiamento era un giocatore d’azzardo, campione di poker e biliardo.
Scrivo di questo bel Marcantonio e delle sue Cleopatre, ma è un pretesto: a me interessa più che tutto il luogo, il tempo e l’atmosfera. Il Dancing Tennessee aveva visto tempi radiosi nell’immediato dopo guerra. Era stato inaugurato nel 1951, con gran disappunto dei boss del liscio. I proprietari delle sale più in voga dicevano: “Troppo moderno, è un’americanata, non può durare!”
Tremavano, giacché s’era verificata un’autentica migrazione di massa: i dancing più a la pàge, avevano accusato il colpo, echeggiando di nulla per almeno una stagione, anche la domenica pomeriggio.
Il Tennessee era la meta più chic, frequentata da professionisti, impiegati, bottegai e salumieri, ma anche da qualche raro operaio specializzato della Pininfarina, con tendenze suicide in fatto di stipendi: ingresso lire mille senza consumazione. Ne valeva la pena, perché vi suonavano orchestre di pregio, dirette dai nuovi swinger italici: Gino Filippini, Cinico Angelini, Gorni Kramer, Bruno Canfora… un sabato sera, a giugno, si esibì, addirittura, la mitica formazione di Persey Sledge. Direttamente da Las Vegas! Un successo insidiato solo dall’arrivo di Savie Cougat ed Abbie Lane. Commedie d’un jour.
Il Tennessee estivo poggiava su un gran prato all’inglese, sulle rive del fiume Po. Era un regno umbratile di luce ed ombre, creato ad arte, mescolando betulle, salici piangenti, cespugli, siepi di bosso, fontanelle e divisori di legno coperti d’oleandri e campanule. Al centro del boschetto magico solcato da vaghi percorsi obbligati, vicino al laghetto dei cigni, regnava la pista: una spianata circolare di cemento rosa antico, raggiungibile solo attraversando graziosi ponticelli di legno. Era circondata da un canaletto d’acqua corrente e sovrastata da un gazebo titanico. Pareva una pagoda orientale, coperta di fioriture variegate. Cespi di rose rampicanti abbracciavano i piloncini di sostegno. Quale romantica atmosfera, impregnata di fresca gioventù sudista, ante guerra di secessione! Rossella è in festa nella tenuta di Tara!
Dal palco, ricco di stucchi raffiguranti Diane cacciatrici, cervi e palmizi, sax e trombe andavano via col vento, ritmato dal contrabbasso. Le scarpe nere di vernice dei camerieri correvano, affondando nella ghiaia dei viali, niente grasse schiave negre in grembiulini da Mamy, solo Blue Moon e qualche rara cover di Gilbert Becaud.
Tutto questo era il passato. Nino viveva in un prosaico 1971 ed era infelicemente sposato… quel giovedì poteva andare bene la finta rossa longilinea, tinta di fresco. La vecchia gallinella abbronzata, aveva un fisico da ragazza, conservato nel dopo sole. Quel pomeriggio si era infilata a sproposito un vestito nero attillato, disseminato di lustrini, tipico abbigliamento da sera. Difficile da indossare, facile da togliere, pensò Nino. Consegnandogli la chiave della 3, la solita doppia, il portiere dell’Hotel Venezia lo invidiò per l’ennesima volta: quell’elegantone dal fascino impareggiabile, ogni settimana gli portava, un bottino diverso, fumandogli in faccia come un bastardo. Proprio a lui faceva questo, che era solo come un cane e aveva dovuto smettere il vizio per una bronchite che quasi lo portava dall'altra parte della scena!
Così il portiere si fece coraggio. Decise di provarci anche lui, almeno una volta. Entrò nel dancing, mentre tutti tentavano di divertirsi, con la disperazione nei cocktail: immonde pozioni color provette da laboratorio. Farsi le droghe non è difficile, meglio comprarsele pronte.
Il silenzio taceva, mentre lui, imbarazzato, si avvicinava ad una quarantacinquenne, stretta in un completino stile marinaro. Osò. Ballarono per un'ora... e poi la baciò. Era così bruttina, lontana e sciupata. Un tenero fiore avvizzito rimasto solo, da consolare, e lui sarebbe voluto scivolare nel taschino della sua giacca blu con l'ancora ricamata, per restare lì, sul fondo, al sicuro per sempre, ma... questa è solo una delle mille storie che nacquero in quei giorni meravigliosi e lontani: i giorni del Dancing Tennesee.
Verso le ore quindici, plotoni di reginette di bellezza, stile Rimini al tramonto, Caffé Smeraldo di Piazza Tripoli, scendevano da taxi e tram, prendendo d’assalto la biglietteria del dancing. Qualcuna si fermava al chiosco del Pino, per un bel gelatone crema e cioccolato amaro.
Prevalevano le taglie forti brevi linee, che il tacco a spillo slanciava verso altezze medie. I pois, caini, aggiungevano l’effetto snellente, soprattutto su fondo blu di taffettà. Era difficile scegliere l’insieme più gioviale e giovanile nel vociare appetitoso delle tarde promesse romantiche, che sognavano improbabili fidanzamenti extra coniugali con brutte copie di Carry Grant e Clark Gable. La commedia umana.
I signori, sempre in minoranza, cercavano di non deluderle, ispirandosi ai divi di celluloide: giacche della festa, troppo nuove, fresche di Facis, taglie casuali, spalle cadenti, calzoni troppo vecchi, lisi, corti, stretti, larghi, parrucchini e riporti per celare calvizie inconfutabili, tinture immonde che disegnavano chiome rosse come carote o nere come la pece. Camicie stiracchiate ma con i colletti inamidati che mozzavano il fiato, facendo concorrenza al boia di Londra. Molte erano orfane di bottoni, smarriti nel buio profondo di qualche cassetto. I busti e le pancere schiacciavano le trippe, ripiene di spaghetti, polpettoni e patate, ingurgitate a pranzo.
Nino era il migliore. L’ispezione avveniva dall’alto di uno sgabello dell’american bar, di quelli scomodi e pericolanti, che se cadi ti rompi una caviglia. Nascosto dietro ad un bicchiere di cedrata o tamarindo, il bel tenebroso ispezionava un mare di ghiaia bianca punteggiato di tavolini e ombrelloni. Gli occhi socchiusi da grand viveur sembravano gonfi di pianto… complice il fumo della sigaretta king size, con il filtro bianco, stretta fra le labbra nervose, inchiodata sull’angolo sinistro della bocca.
Aspirava il fumo con voluttà, tossiva, inspirava e cercava l’ispirazione, o il coraggio per coprire elegantemente la distanza che lo separava dalla prossima scommessa d’amore, perché anche nel corteggiamento era un giocatore d’azzardo, campione di poker e biliardo.
Scrivo di questo bel Marcantonio e delle sue Cleopatre, ma è un pretesto: a me interessa più che tutto il luogo, il tempo e l’atmosfera. Il Dancing Tennessee aveva visto tempi radiosi nell’immediato dopo guerra. Era stato inaugurato nel 1951, con gran disappunto dei boss del liscio. I proprietari delle sale più in voga dicevano: “Troppo moderno, è un’americanata, non può durare!”
Tremavano, giacché s’era verificata un’autentica migrazione di massa: i dancing più a la pàge, avevano accusato il colpo, echeggiando di nulla per almeno una stagione, anche la domenica pomeriggio.
Il Tennessee era la meta più chic, frequentata da professionisti, impiegati, bottegai e salumieri, ma anche da qualche raro operaio specializzato della Pininfarina, con tendenze suicide in fatto di stipendi: ingresso lire mille senza consumazione. Ne valeva la pena, perché vi suonavano orchestre di pregio, dirette dai nuovi swinger italici: Gino Filippini, Cinico Angelini, Gorni Kramer, Bruno Canfora… un sabato sera, a giugno, si esibì, addirittura, la mitica formazione di Persey Sledge. Direttamente da Las Vegas! Un successo insidiato solo dall’arrivo di Savie Cougat ed Abbie Lane. Commedie d’un jour.
Il Tennessee estivo poggiava su un gran prato all’inglese, sulle rive del fiume Po. Era un regno umbratile di luce ed ombre, creato ad arte, mescolando betulle, salici piangenti, cespugli, siepi di bosso, fontanelle e divisori di legno coperti d’oleandri e campanule. Al centro del boschetto magico solcato da vaghi percorsi obbligati, vicino al laghetto dei cigni, regnava la pista: una spianata circolare di cemento rosa antico, raggiungibile solo attraversando graziosi ponticelli di legno. Era circondata da un canaletto d’acqua corrente e sovrastata da un gazebo titanico. Pareva una pagoda orientale, coperta di fioriture variegate. Cespi di rose rampicanti abbracciavano i piloncini di sostegno. Quale romantica atmosfera, impregnata di fresca gioventù sudista, ante guerra di secessione! Rossella è in festa nella tenuta di Tara!
Dal palco, ricco di stucchi raffiguranti Diane cacciatrici, cervi e palmizi, sax e trombe andavano via col vento, ritmato dal contrabbasso. Le scarpe nere di vernice dei camerieri correvano, affondando nella ghiaia dei viali, niente grasse schiave negre in grembiulini da Mamy, solo Blue Moon e qualche rara cover di Gilbert Becaud.
Tutto questo era il passato. Nino viveva in un prosaico 1971 ed era infelicemente sposato… quel giovedì poteva andare bene la finta rossa longilinea, tinta di fresco. La vecchia gallinella abbronzata, aveva un fisico da ragazza, conservato nel dopo sole. Quel pomeriggio si era infilata a sproposito un vestito nero attillato, disseminato di lustrini, tipico abbigliamento da sera. Difficile da indossare, facile da togliere, pensò Nino. Consegnandogli la chiave della 3, la solita doppia, il portiere dell’Hotel Venezia lo invidiò per l’ennesima volta: quell’elegantone dal fascino impareggiabile, ogni settimana gli portava, un bottino diverso, fumandogli in faccia come un bastardo. Proprio a lui faceva questo, che era solo come un cane e aveva dovuto smettere il vizio per una bronchite che quasi lo portava dall'altra parte della scena!
Così il portiere si fece coraggio. Decise di provarci anche lui, almeno una volta. Entrò nel dancing, mentre tutti tentavano di divertirsi, con la disperazione nei cocktail: immonde pozioni color provette da laboratorio. Farsi le droghe non è difficile, meglio comprarsele pronte.
Il silenzio taceva, mentre lui, imbarazzato, si avvicinava ad una quarantacinquenne, stretta in un completino stile marinaro. Osò. Ballarono per un'ora... e poi la baciò. Era così bruttina, lontana e sciupata. Un tenero fiore avvizzito rimasto solo, da consolare, e lui sarebbe voluto scivolare nel taschino della sua giacca blu con l'ancora ricamata, per restare lì, sul fondo, al sicuro per sempre, ma... questa è solo una delle mille storie che nacquero in quei giorni meravigliosi e lontani: i giorni del Dancing Tennesee.