POESIA
Vetustà
Balla lo slow del dopo guerra, anima mia, dancing Le Roi, alita il vento dei ricordi nel tuo quartetto di fiati, persa sul divano sfondato tra calchi e gessi, sogno di etrusco, ombra dell’estrema sera. Oziosa giramondo, randagia vai lungo la Senna, ti chiama il vento freddo di Bretagna, foglie migranti, gialle e nere vorticano pazze nel gorgo muto. La Torre amica, ferrigna meta, livida e triste, ormai s’appressa e già ti chiama. L’artica luce piove e ti impressiona. Ma tu cammina vaga, e indaga… le risaie, terre d’acqua, specchi di cielo, cigolano le rane nell’epoca lontana, in quel mattino chiaro che il ferro regalava merletti al novecento, chinino e zanzare bocce e aerei postali, con eliche leggère ma tu cammina vaga, e indaga… fantasma, godi il vino e la trebbia, e vola sui binari scuri dello scalo padano, nella notte estiva, odor di Marte e Cerere di pioggia, terra e rovi: fragrante luce stilla e ti impressiona, ma copri il viso e voli… Venezia dei selciati, dei Frari e di San Polo, siedi al tramonto e guardi i muri sbertucciati, poi passi ponti e calli, e i mattoni liberati, le rondini garriscono, ai cieli rosa e azzurri dal Veronese tinti. Alle Fondamenta Nuove, chiamata da San Lazzaro dove si estingue il tempo, appesa al cielo invano, l’ultima luce brilla dietro a una nuvola ormai da dam, da dam, da dam... |