BILANCIO IN PAREGGIO
Ted Villata credeva fosse molto romantico fissare l’ultimo appuntamento con una donna fragile in Galleria del Corso, per lasciarla.
“Jasmine farebbe qualsiasi cosa pur di imprigionarmi”, pensava, “ma io ne ho le palle piene, è noiosa e prevedibile come una cozza. Peggio della mia ex moglie!” Non la amava, ma gli piaceva. L’aveva esplorata e provata in tutti modi, obbligandola a svariati compromessi d’ordine morale, sessuale e politico. Lui si diceva nazista e alzava spesso le mani, lei era romantica e amava le poesie e la letteratura francese. Jasmine obbediva. Aveva imparato a sniffare la coca |
e lo seguiva persino in discoteca, un posto che odiava. Avrebbe fatto follie per quel macaco, elegante, irresponsabile, arrogante, egoista ed insensibile. Sì, per lui avrebbe dato la vita, perché era bellissimo, scontroso e infedele. Pensare che le sue amiche non glielo invidiavano neppure.
La stava aspettando; sarebbe scesa entro breve dal tram di Porta Cica, camminando a passo svelto, nervoso e leggero, con il solito libro sotto il braccio. La ricordava così: viso grazioso, occhi e capelli neri, cortissimi. Era piccola, minuta, timida, graziosa, elegante. Aveva un bel seno e un sederino proporzionato, però voleva sempre andare al cine a vedere film schifosamente intellettuali e si vestita di stracci: scarpe di vernice nera senza tacco, camicie di seta o maglioncini di pura lana color panna, gilet scuri di taglio maschile e lunghe gonne grigie, sempre abbondanti. Pensò che rivederla, in quell’occasione, avrebbe avuto uno strano effetto, anche se… erano trascorsi solo due giorni dall’ultimo incontro. Il suo profumo di cipria e sandalo lo inebriava e poteva giocargli brutti scherzi… no, l’avrebbe lasciata all’ora di pranzo!
Sabato sera, però, l’aveva trovava deliziosa come una danza azzurra, mentre si spogliava in quella misera camera d’albergo del Giambellino, dietro a Piazza Napoli. La luce complice delle lampade da tavolo scassate, accarezzava quella biancheria intima un po’ antiquata, di un celeste tenue e garbato, senza pizzi, né fronzoli.
“Questa storia non posso togliermela dalla testa”, pensava, aspettando. Guardò il quadrante del suo Rolex taroccato. Sempre in ritardo, quella imitazione di ragazza giapponese con i tratti occidentali. Jasmine era un ronzio continuo, una larva che lo rodeva e voleva cibo, ma doveva proprio essere lui la carcassa da spolpare? Stavano insieme da un anno, ed ormai sentiva il deserto addosso, nelle scarpe, nelle calze, nei pantaloni. Il bruciore della conquista gli ardeva dentro come sabbia infuocata portata dal vento, gonfiandogli gli occhi, le mani, la bocca e la pelle; Jasmine era fatalmente intrigante, ma anche straordinariamente angusta e scomoda, come un semplice tavolino di legno, un vecchio armadio o una branda invece di un letto sontuoso, con un materasso ortopedico di lattice, comodissimo.
“Non voglio che il futuro appassisca ora, solo perché lei mi ha stregato e vuole possedermi come un languido spettro”, si disse.
“Darei due mesi di vita per andare alle Antille, e altrettanti per avere un paio di donnine come quelle della fotografia nell’agenzia di viaggi, lì all’angolo di casa. Per dimenticare Jasmine ci vorrebbe proprio una bella vacanza in una villa fra magnolie e piante esotiche, per sgranocchiarmi in pace due puttanelle, fra cocktail e frutta esotica. Poi me le farei anche sulla spiaggia di sabbia bianchissima, fra il verde delle palme e il turchino del mare… mi sento proprio uno straccio”, pensò il playboy, passeggiando davanti al Duomo, compresso nel suo vestito griffato Armani, ma con svariati difettucci di confezione. Lo aveva comprato in un outlet in provincia di Varese.
Una Ferrari ultimo modello passò svelta e rombante a pochi metri da lui, in Via Torino. Ted Villata sussurrò fra se e se: “Ecco, darei tre mesi di vita per possedere una macchina come quella. I pensieri lo distraevano e stava dimenticando l’appuntamento con Jasmine. Si ritrovò all’interno della Galleria. Pensieroso, camminava lentamente, passò davanti ad un noto ristorante, dove il candore delle stoviglie si perdeva fra i fiori sparsi sulla tovaglia dei tavoli. Giungeva il suono di un’orchestrina e un profumino delizioso… pensò: “Darei una settimana di vita per mangiare risotto ai tartufi, ostriche, caviale e un’aragosta fresca, innaffiata con champagne di marca.”
Improvvisamente, un distinto signore di mezza età, alto, austero, viso scarno pelle scura, da arabo, folte sopracciglia, occhi neri e penetranti, naso aquilino, gli si parò innanzi.
Ted Villata rinvenne, evitando per un soffio di scontrarsi con lui.
L’uomo non s’innervosì, anzi, lo guardò divertito e sorrise. Ghignò come un satiro, sotto i baffetti ottocenteschi: “Salve, caro ragazzo, tutto bene? La vedo assorto in pensieri, come dire… allettanti?”
“Ci conosciamo?”
“Permetta che mi presenti: Lucent Temptation!”
“Inglese, eh? Non mi pare d’averla mai vista, signor…”
“Mi chiami pure Luciano, vedrà che… ci capiremo.”
“Va bene, va bene, non ho spiccioli, tieni un euro…”
“Che miseria, giovanotto… io posso darti molto di più… poco fa, se non erro, dicevi di sentire il deserto addosso, il bruciore della conquista che arde...”
“E tu come lo sai?”
“Anche io sento il calore della voluttà. Devo radermi tutte le mattine, perché se no le fiamme mi carbonizzano le punte dei peli… posso invitarti a pranzo? Vorrei presentarti le mie nipotine, due perfette amiche per un tipo come te.”
Erano venticinquenni mulatte, sedute ad un tavolo del locale: gli fecero cenno di accomodarsi sulla quarta sedia. Troppo sexy, incredibilmente belle, parevano uscite dalle pagine di una rivista di moda.
L’uomo di mezza età e le due ragazze sembravano intimi, come se si conoscessero da tempo immemorabile, quasi provenissero da qualche bordello turco. Lo fecero subito sentire a suo agio. “Caro Ted, ti presento Samantha e Roxana.”
Davanti ad un piatto d’ostriche accompagnate da un ottimo Don Perignon, il ragazzo divenne un’incontenibile cascata di parole: “Una vera figata questi molluschi, oh, io me ne intendo, non sarò ricco da fare schifo, ma me lo sento quando una cozza è fresca…”
“Ti piacerebbe diventare ricco?” chiese una delle due ragazze, con una voce di velluto che traspirava carnalità scatenata, come un ritmo di salsa.
“Darei un anno di vita per un milione d’euro in banca, ma poi mi vergognerei dei miei genitori, rimasti poveri, allora gli compro un ammezzato in Brianza, vicino alla mia villa nuova. A Natale gli faccio una sorpresa: - basta con quella cantina umida, vi ho portato delle lumache, così tirate su un allevamento, che almeno vi guadagnate da vivere.” Tutti risero, divertiti.
“Sei veramente generoso, ragazzo mio, un po’ sgrammaticato ma divertente”, disse l’azzimato nobil uomo, lisciandosi i baffi, e continuò “dunque, per un milione di euro daresti un anno della tua vita, sei certo di quel che dici?”
“Certissimo, a che mi serve un anno di vita se non hai i soldi per godertelo? Io devo fare i salti mortali per passarmela alla grande, sono cresciuto in discoteca, ci vado per le pubbliche relazioni.”
“Tutta gente per bene, zio, io li conosco: politici, strozzini, puttane d’alto bordo, cubiste pronte a darla via nei cessi, spacciatori, d.j che menano le mani e si drogano come maiali”, sussurrò la seconda ragazza, accavallando le gambe in modo tale da mettere ben in risalto la muscolatura, abbronzata fino all’inguine.
“E’ vero, ma ci sono anche i p.r. dei partiti. Io li evito, sempre che non devo cambiare il telefonino o il computer. Ne hanno sempre di taroccati, a metà prezzo. Insomma, sono nato in discoteca perché mi piace il sound… dei dollaroni. Per me la musica si divide in leggera e pesante. Ma secondo voi, prima che inventassero la musica da camera, dal dentista mettevano quella da anticamera?”
“Sei veramente una sagoma, Ted”, disse Samantha. “Ti andrebbe di passare con noi una settimana favolosa nelle Antille francesi?”
“State scherzando, chissà quanto mi costa.”
La ragazza aprì la borsetta e tirò fuori dei biglietti aerei: “Guarda caso… abbiamo un biglietto ed una prenotazione in più. Un’amica ha dovuto rinunciare all’ultimo momento.”
“E quando si parte?”
“Domani sera alle otto, da Malpensa. Vero, zio?” disse Roxana. Il signore distinto annuì, con un semplice cenno del capo.
“E perché no… se è tutto gratis. Io sono un uomo semplice, non faccio filosofie, prendete Pitagora, a forza di fare il filosofo ha dato i numeri.”
“Che simpatico, saremo felici di portarti con noi, non lasciarti sfuggire quest’occasione, dolcezza”, sibilò Roxana. Il ragazzo guardò quelle labbra tornite, inebrianti, e immaginò come avrebbero potuto darsi da fare sulle sue parti intime.
“Sei fortunato ad averci incontrato”, disse Luciano, “sarà un piacere infinito… hai presente cosa significa infinito?”
“E chi non lo sa oggi in Italia, siamo costretti a comprare a credito anche il pane e il latte, fra un po’ si fan le rate per entrare in discoteca. Chi se ne frega, io non ci vado più… ormai i locali sono pieni di baristi che, quando sono di riposo… affittano il Porsche, i vestiti firmati, l’orologio di moda… e vai col recital! Ma ci hanno sempre i nervi scoperti, perché i danè non gli bastano anche per la coca… sai quanti caffé in più devono fare per pagarsela.”
“L’Italia è piena d’impiegati e magazzinieri che dicono d’essere cantanti, ballerini, cabarettisti, manager…”, decretò Samantha.
“Già, ma se li rivolti gli è rimasta solo qualche fiche del casinò. Non ridergli in faccia o ti diventano violenti ed esibiscono una raffica d’affumicatura giallastra, da solarium!”
“Come se l’abbronzatura artificiale fosse una credenziale sufficiente. La verità è che non hanno voglia di lavorare, preferiscono rubare e prostituirsi, per me… fanno bene”, disse l’elegante signore di mezza età, aggiustandosi il fazzolettino di seta nel taschino della giacca. “Ted, gradisci del patè di fois gras?”
“Sì, grazie, e sti sbarchi di clandestini a manetta? Facciamo venir su gente di colore, escluse le presenti, s’intende, ché non vorrei offendere. Ma dov’è sto colore? O neri o gialli, monocromatici, tristi. Io, al posto del Grande Architetto, questa è cultura, ci avrei messo più fantasia.”
“Vuoi mettere un bel vù cumprà fucsia?” disse Roxana, ridendo.
“Se è di colore che faccia colore… bello fosforescente, così anche se c’è una nebbia dell’ostia col fuoristrada non lo manchi. T’è capì l’antifona? È un gioco, sono tristi, che si divertano! E noi, noi europei saremmo benestanti?!! Noi abbiamo tutto, e loro non hanno niente? Non è vero che non hanno niente in Africa, c’hanno un casino d’aids. Comunque io sono progressista. Se avrei quel cazzo di milione d’euro, ti assumo un extracomunitario che mi verrebbe al poligono di tiro con i suoi accendini colorati. Li lancia in aria e io: pull! Mi prendo a cuore i problemi dei poco ambienti.”
Mentre conversavano amabilmente, sciorinando uno sconfinato catalogo delle più scontate affermazioni razziste, entrò nel locale un Mustafà magrissimo, con gli occhi spiritati e il suo banchetto ambulante fornito di specchietti, fazzoletti di carta e lustrini! Stavano per cacciarlo in malo modo, ma il signor Temptation lo chiamò e gli regalò venti euro. Il marocchino era felice. Ted commentò: “Ringrazia questo santo e fai qualcosa per il tuo fisico, dai l’acconto per una racchetta da tennis!”, poi riprese a blaterare, per farsi ammirare dalle ragazze, ”io al tennis non ci vado più, è da metalmeccanici. L’operaio diserta la sua bella bocciofila, solo che al tennis fa una fatica dell’ostia a finire il set, con le palle di bronzo!” Rise sguaiatamente, attirando l’attenzione di tutti gli altri avventori.
Una settimana in paradiso: pochi minuti dopo lo sbarco, il playboy da strapazzo sedeva al volante di un’auto costosissima, non credendo ai suoi occhi. Le ragazze, in bikini e pareo, salirono accanto a lui, tirandosi dietro lo sportello. L’agile bolide si lanciò a duecento chilometri l’ora su per una strada in lieve salita, verso una villa, fra il verde del monte e il turchino dell’oceano.
“No, non è un sogno”, si disse il Villata, “questi due bocconcini sono veri e la Ferrari è mia! Guarda qua, sull’atto di compravendita c’è il mio nome; regolarmente acquistata con i soldi di quel cretino di Luciano, che ha pagato anche l’aereo e il soggiorno. Spero solo che lo zietto non vorrebbe partecipare al festino; mi fa un po’ schifo, anche se… potrei pensarci un attimo.”
Per convincersi di non sognare, poggiò pesantemente la mano destra sulla coscia sinistra di Samantha, che sedeva accanto a lui, e iniziò ad accarezzarla. Poi pensò: “Darei tre mesi di vita perché una bella ragazza mi amasse veramente.”
Il Ferrari si fermò davanti ai cancelli della villa. Il mare era più turchese che mai, il sole dava spettacolo, ardendo in un tramonto di passione infernale, le ragazze non vedevano l’ora di entrare, per fare l’amore in tutti i modi possibili. Fu il tizio dalle sopracciglia folte ad aprire il cancello, vestito come un impeccabile maggiordomo inglese.
“Goditi la vacanza, ragazzo e dacci dentro con le topine. Ti regalo una bustona di coca, della migliore. E’ un omaggio, caro, perché non devi fermarti mai a riposare, godi e sfruttale fino in fondo. Puoi avere il cibo e le bevande più costose. La suite ha l’accesso diretto alla spiaggia privata con boschetto di palme. Per il resto, basta suonare ed io arriverò. Sono a vostro completo servizio.”
“Okay, noi si va, amico.”
“Un momento, quanta fretta! Prima, facciamo un po’ di conti…”
“Lo sapevo che c’era il trucco”, protestò il Villata, “ma tanto io non ho un centesimo!”
“Tutto ha un prezzo, amico mio, però… non ho detto che dovrai sborsare denaro, anzi, questo è il tuo estratto conto, ti ho versato un milione di euro. Allora… hai dato due mesi di vita per sgranocchiare ragazze come queste, altri sessanta giorni per una vacanza alle Antille e ben tre mesi per avere un Ferrari, infine una settimana per un trattamento gastronomico imperiale e un anno per avere in banca un milione d’euro. I conti tornano?”
“Mi pare di sì.”
“Fa un anno, sette mesi e una settimana, poi hai buttato lì tre mesi, per avere una donna che ti ami veramente. Jasmine ti amava davvero tanto.”
“Come fai a saperlo?”
“Sì è buttata giù dalla Torre Velasca, quando ha saputo che l’hai lasciata per venire nelle Antille a farti scopare da noi ragazze”, disse Roxana, divertita.
“Peggio per lei.”
“Ted, complimenti, hai un cuore grande come un granello di sabbia: fanno, in ogni caso, un anno, dieci mesi e una settimana. Ti spiace mettere una firma qui? E’ un contratto pro forma… ecco la tua ricevuta”, disse il signor Luciano.
“Okay, adesso possiamo andare?”
“Certo, vai e prenditi quanto si spetta, ma ricordati che mi hai ceduto un anno, dieci mesi e una settimana della tua vita.”
“Stai scherzando?”
“Io non scherzo mai, quando si tratta di indicare la cattiva strada e distribuire premi ai peggiori elementi.”
“Ma chi sei, si può sapere?”
“Non l’hai ancora capito? Lucent Temptation… all’opera!” L’essere vibrò come un fulmine, avvolgendosi in scariche elettriche, scagliò un paio di saette al cielo, rise a crepapelle e poi scomparve in un vortice di fuoco e fumo, inghiottito dalla voragine che si era formata sotto di lui.
Gridava con voce cavernosa e gutturale: “Chiama, se ti serve qualcosa, ma soprattutto, scopatele per bene, perché non avrai più una simile occasione. Goditi questa vacanza, è il tempo che ti resta, poi staremo insieme per l’eternità! Potevi vivere ancora un anno, dieci mesi e quattordici giorni, quando hai firmato. Ora sono miei.”
Ted Villata, incredulo, si sforzava di fare i conti sulle punte delle dita, che iniziavano a bruciare e ad irrigidirsi: il numero dei giorni gli moriva sulle labbra: era uno scherzo, di certo era un scherzo, un illusionista pazzo, però tremava nel più profondo d'ogni cellula... che cosa ci avrebbe fatto con un milione di euro sua moglie?! Porca miseria, si erano separati da poche settimane! Questo non l'aveva previsto.
La stava aspettando; sarebbe scesa entro breve dal tram di Porta Cica, camminando a passo svelto, nervoso e leggero, con il solito libro sotto il braccio. La ricordava così: viso grazioso, occhi e capelli neri, cortissimi. Era piccola, minuta, timida, graziosa, elegante. Aveva un bel seno e un sederino proporzionato, però voleva sempre andare al cine a vedere film schifosamente intellettuali e si vestita di stracci: scarpe di vernice nera senza tacco, camicie di seta o maglioncini di pura lana color panna, gilet scuri di taglio maschile e lunghe gonne grigie, sempre abbondanti. Pensò che rivederla, in quell’occasione, avrebbe avuto uno strano effetto, anche se… erano trascorsi solo due giorni dall’ultimo incontro. Il suo profumo di cipria e sandalo lo inebriava e poteva giocargli brutti scherzi… no, l’avrebbe lasciata all’ora di pranzo!
Sabato sera, però, l’aveva trovava deliziosa come una danza azzurra, mentre si spogliava in quella misera camera d’albergo del Giambellino, dietro a Piazza Napoli. La luce complice delle lampade da tavolo scassate, accarezzava quella biancheria intima un po’ antiquata, di un celeste tenue e garbato, senza pizzi, né fronzoli.
“Questa storia non posso togliermela dalla testa”, pensava, aspettando. Guardò il quadrante del suo Rolex taroccato. Sempre in ritardo, quella imitazione di ragazza giapponese con i tratti occidentali. Jasmine era un ronzio continuo, una larva che lo rodeva e voleva cibo, ma doveva proprio essere lui la carcassa da spolpare? Stavano insieme da un anno, ed ormai sentiva il deserto addosso, nelle scarpe, nelle calze, nei pantaloni. Il bruciore della conquista gli ardeva dentro come sabbia infuocata portata dal vento, gonfiandogli gli occhi, le mani, la bocca e la pelle; Jasmine era fatalmente intrigante, ma anche straordinariamente angusta e scomoda, come un semplice tavolino di legno, un vecchio armadio o una branda invece di un letto sontuoso, con un materasso ortopedico di lattice, comodissimo.
“Non voglio che il futuro appassisca ora, solo perché lei mi ha stregato e vuole possedermi come un languido spettro”, si disse.
“Darei due mesi di vita per andare alle Antille, e altrettanti per avere un paio di donnine come quelle della fotografia nell’agenzia di viaggi, lì all’angolo di casa. Per dimenticare Jasmine ci vorrebbe proprio una bella vacanza in una villa fra magnolie e piante esotiche, per sgranocchiarmi in pace due puttanelle, fra cocktail e frutta esotica. Poi me le farei anche sulla spiaggia di sabbia bianchissima, fra il verde delle palme e il turchino del mare… mi sento proprio uno straccio”, pensò il playboy, passeggiando davanti al Duomo, compresso nel suo vestito griffato Armani, ma con svariati difettucci di confezione. Lo aveva comprato in un outlet in provincia di Varese.
Una Ferrari ultimo modello passò svelta e rombante a pochi metri da lui, in Via Torino. Ted Villata sussurrò fra se e se: “Ecco, darei tre mesi di vita per possedere una macchina come quella. I pensieri lo distraevano e stava dimenticando l’appuntamento con Jasmine. Si ritrovò all’interno della Galleria. Pensieroso, camminava lentamente, passò davanti ad un noto ristorante, dove il candore delle stoviglie si perdeva fra i fiori sparsi sulla tovaglia dei tavoli. Giungeva il suono di un’orchestrina e un profumino delizioso… pensò: “Darei una settimana di vita per mangiare risotto ai tartufi, ostriche, caviale e un’aragosta fresca, innaffiata con champagne di marca.”
Improvvisamente, un distinto signore di mezza età, alto, austero, viso scarno pelle scura, da arabo, folte sopracciglia, occhi neri e penetranti, naso aquilino, gli si parò innanzi.
Ted Villata rinvenne, evitando per un soffio di scontrarsi con lui.
L’uomo non s’innervosì, anzi, lo guardò divertito e sorrise. Ghignò come un satiro, sotto i baffetti ottocenteschi: “Salve, caro ragazzo, tutto bene? La vedo assorto in pensieri, come dire… allettanti?”
“Ci conosciamo?”
“Permetta che mi presenti: Lucent Temptation!”
“Inglese, eh? Non mi pare d’averla mai vista, signor…”
“Mi chiami pure Luciano, vedrà che… ci capiremo.”
“Va bene, va bene, non ho spiccioli, tieni un euro…”
“Che miseria, giovanotto… io posso darti molto di più… poco fa, se non erro, dicevi di sentire il deserto addosso, il bruciore della conquista che arde...”
“E tu come lo sai?”
“Anche io sento il calore della voluttà. Devo radermi tutte le mattine, perché se no le fiamme mi carbonizzano le punte dei peli… posso invitarti a pranzo? Vorrei presentarti le mie nipotine, due perfette amiche per un tipo come te.”
Erano venticinquenni mulatte, sedute ad un tavolo del locale: gli fecero cenno di accomodarsi sulla quarta sedia. Troppo sexy, incredibilmente belle, parevano uscite dalle pagine di una rivista di moda.
L’uomo di mezza età e le due ragazze sembravano intimi, come se si conoscessero da tempo immemorabile, quasi provenissero da qualche bordello turco. Lo fecero subito sentire a suo agio. “Caro Ted, ti presento Samantha e Roxana.”
Davanti ad un piatto d’ostriche accompagnate da un ottimo Don Perignon, il ragazzo divenne un’incontenibile cascata di parole: “Una vera figata questi molluschi, oh, io me ne intendo, non sarò ricco da fare schifo, ma me lo sento quando una cozza è fresca…”
“Ti piacerebbe diventare ricco?” chiese una delle due ragazze, con una voce di velluto che traspirava carnalità scatenata, come un ritmo di salsa.
“Darei un anno di vita per un milione d’euro in banca, ma poi mi vergognerei dei miei genitori, rimasti poveri, allora gli compro un ammezzato in Brianza, vicino alla mia villa nuova. A Natale gli faccio una sorpresa: - basta con quella cantina umida, vi ho portato delle lumache, così tirate su un allevamento, che almeno vi guadagnate da vivere.” Tutti risero, divertiti.
“Sei veramente generoso, ragazzo mio, un po’ sgrammaticato ma divertente”, disse l’azzimato nobil uomo, lisciandosi i baffi, e continuò “dunque, per un milione di euro daresti un anno della tua vita, sei certo di quel che dici?”
“Certissimo, a che mi serve un anno di vita se non hai i soldi per godertelo? Io devo fare i salti mortali per passarmela alla grande, sono cresciuto in discoteca, ci vado per le pubbliche relazioni.”
“Tutta gente per bene, zio, io li conosco: politici, strozzini, puttane d’alto bordo, cubiste pronte a darla via nei cessi, spacciatori, d.j che menano le mani e si drogano come maiali”, sussurrò la seconda ragazza, accavallando le gambe in modo tale da mettere ben in risalto la muscolatura, abbronzata fino all’inguine.
“E’ vero, ma ci sono anche i p.r. dei partiti. Io li evito, sempre che non devo cambiare il telefonino o il computer. Ne hanno sempre di taroccati, a metà prezzo. Insomma, sono nato in discoteca perché mi piace il sound… dei dollaroni. Per me la musica si divide in leggera e pesante. Ma secondo voi, prima che inventassero la musica da camera, dal dentista mettevano quella da anticamera?”
“Sei veramente una sagoma, Ted”, disse Samantha. “Ti andrebbe di passare con noi una settimana favolosa nelle Antille francesi?”
“State scherzando, chissà quanto mi costa.”
La ragazza aprì la borsetta e tirò fuori dei biglietti aerei: “Guarda caso… abbiamo un biglietto ed una prenotazione in più. Un’amica ha dovuto rinunciare all’ultimo momento.”
“E quando si parte?”
“Domani sera alle otto, da Malpensa. Vero, zio?” disse Roxana. Il signore distinto annuì, con un semplice cenno del capo.
“E perché no… se è tutto gratis. Io sono un uomo semplice, non faccio filosofie, prendete Pitagora, a forza di fare il filosofo ha dato i numeri.”
“Che simpatico, saremo felici di portarti con noi, non lasciarti sfuggire quest’occasione, dolcezza”, sibilò Roxana. Il ragazzo guardò quelle labbra tornite, inebrianti, e immaginò come avrebbero potuto darsi da fare sulle sue parti intime.
“Sei fortunato ad averci incontrato”, disse Luciano, “sarà un piacere infinito… hai presente cosa significa infinito?”
“E chi non lo sa oggi in Italia, siamo costretti a comprare a credito anche il pane e il latte, fra un po’ si fan le rate per entrare in discoteca. Chi se ne frega, io non ci vado più… ormai i locali sono pieni di baristi che, quando sono di riposo… affittano il Porsche, i vestiti firmati, l’orologio di moda… e vai col recital! Ma ci hanno sempre i nervi scoperti, perché i danè non gli bastano anche per la coca… sai quanti caffé in più devono fare per pagarsela.”
“L’Italia è piena d’impiegati e magazzinieri che dicono d’essere cantanti, ballerini, cabarettisti, manager…”, decretò Samantha.
“Già, ma se li rivolti gli è rimasta solo qualche fiche del casinò. Non ridergli in faccia o ti diventano violenti ed esibiscono una raffica d’affumicatura giallastra, da solarium!”
“Come se l’abbronzatura artificiale fosse una credenziale sufficiente. La verità è che non hanno voglia di lavorare, preferiscono rubare e prostituirsi, per me… fanno bene”, disse l’elegante signore di mezza età, aggiustandosi il fazzolettino di seta nel taschino della giacca. “Ted, gradisci del patè di fois gras?”
“Sì, grazie, e sti sbarchi di clandestini a manetta? Facciamo venir su gente di colore, escluse le presenti, s’intende, ché non vorrei offendere. Ma dov’è sto colore? O neri o gialli, monocromatici, tristi. Io, al posto del Grande Architetto, questa è cultura, ci avrei messo più fantasia.”
“Vuoi mettere un bel vù cumprà fucsia?” disse Roxana, ridendo.
“Se è di colore che faccia colore… bello fosforescente, così anche se c’è una nebbia dell’ostia col fuoristrada non lo manchi. T’è capì l’antifona? È un gioco, sono tristi, che si divertano! E noi, noi europei saremmo benestanti?!! Noi abbiamo tutto, e loro non hanno niente? Non è vero che non hanno niente in Africa, c’hanno un casino d’aids. Comunque io sono progressista. Se avrei quel cazzo di milione d’euro, ti assumo un extracomunitario che mi verrebbe al poligono di tiro con i suoi accendini colorati. Li lancia in aria e io: pull! Mi prendo a cuore i problemi dei poco ambienti.”
Mentre conversavano amabilmente, sciorinando uno sconfinato catalogo delle più scontate affermazioni razziste, entrò nel locale un Mustafà magrissimo, con gli occhi spiritati e il suo banchetto ambulante fornito di specchietti, fazzoletti di carta e lustrini! Stavano per cacciarlo in malo modo, ma il signor Temptation lo chiamò e gli regalò venti euro. Il marocchino era felice. Ted commentò: “Ringrazia questo santo e fai qualcosa per il tuo fisico, dai l’acconto per una racchetta da tennis!”, poi riprese a blaterare, per farsi ammirare dalle ragazze, ”io al tennis non ci vado più, è da metalmeccanici. L’operaio diserta la sua bella bocciofila, solo che al tennis fa una fatica dell’ostia a finire il set, con le palle di bronzo!” Rise sguaiatamente, attirando l’attenzione di tutti gli altri avventori.
Una settimana in paradiso: pochi minuti dopo lo sbarco, il playboy da strapazzo sedeva al volante di un’auto costosissima, non credendo ai suoi occhi. Le ragazze, in bikini e pareo, salirono accanto a lui, tirandosi dietro lo sportello. L’agile bolide si lanciò a duecento chilometri l’ora su per una strada in lieve salita, verso una villa, fra il verde del monte e il turchino dell’oceano.
“No, non è un sogno”, si disse il Villata, “questi due bocconcini sono veri e la Ferrari è mia! Guarda qua, sull’atto di compravendita c’è il mio nome; regolarmente acquistata con i soldi di quel cretino di Luciano, che ha pagato anche l’aereo e il soggiorno. Spero solo che lo zietto non vorrebbe partecipare al festino; mi fa un po’ schifo, anche se… potrei pensarci un attimo.”
Per convincersi di non sognare, poggiò pesantemente la mano destra sulla coscia sinistra di Samantha, che sedeva accanto a lui, e iniziò ad accarezzarla. Poi pensò: “Darei tre mesi di vita perché una bella ragazza mi amasse veramente.”
Il Ferrari si fermò davanti ai cancelli della villa. Il mare era più turchese che mai, il sole dava spettacolo, ardendo in un tramonto di passione infernale, le ragazze non vedevano l’ora di entrare, per fare l’amore in tutti i modi possibili. Fu il tizio dalle sopracciglia folte ad aprire il cancello, vestito come un impeccabile maggiordomo inglese.
“Goditi la vacanza, ragazzo e dacci dentro con le topine. Ti regalo una bustona di coca, della migliore. E’ un omaggio, caro, perché non devi fermarti mai a riposare, godi e sfruttale fino in fondo. Puoi avere il cibo e le bevande più costose. La suite ha l’accesso diretto alla spiaggia privata con boschetto di palme. Per il resto, basta suonare ed io arriverò. Sono a vostro completo servizio.”
“Okay, noi si va, amico.”
“Un momento, quanta fretta! Prima, facciamo un po’ di conti…”
“Lo sapevo che c’era il trucco”, protestò il Villata, “ma tanto io non ho un centesimo!”
“Tutto ha un prezzo, amico mio, però… non ho detto che dovrai sborsare denaro, anzi, questo è il tuo estratto conto, ti ho versato un milione di euro. Allora… hai dato due mesi di vita per sgranocchiare ragazze come queste, altri sessanta giorni per una vacanza alle Antille e ben tre mesi per avere un Ferrari, infine una settimana per un trattamento gastronomico imperiale e un anno per avere in banca un milione d’euro. I conti tornano?”
“Mi pare di sì.”
“Fa un anno, sette mesi e una settimana, poi hai buttato lì tre mesi, per avere una donna che ti ami veramente. Jasmine ti amava davvero tanto.”
“Come fai a saperlo?”
“Sì è buttata giù dalla Torre Velasca, quando ha saputo che l’hai lasciata per venire nelle Antille a farti scopare da noi ragazze”, disse Roxana, divertita.
“Peggio per lei.”
“Ted, complimenti, hai un cuore grande come un granello di sabbia: fanno, in ogni caso, un anno, dieci mesi e una settimana. Ti spiace mettere una firma qui? E’ un contratto pro forma… ecco la tua ricevuta”, disse il signor Luciano.
“Okay, adesso possiamo andare?”
“Certo, vai e prenditi quanto si spetta, ma ricordati che mi hai ceduto un anno, dieci mesi e una settimana della tua vita.”
“Stai scherzando?”
“Io non scherzo mai, quando si tratta di indicare la cattiva strada e distribuire premi ai peggiori elementi.”
“Ma chi sei, si può sapere?”
“Non l’hai ancora capito? Lucent Temptation… all’opera!” L’essere vibrò come un fulmine, avvolgendosi in scariche elettriche, scagliò un paio di saette al cielo, rise a crepapelle e poi scomparve in un vortice di fuoco e fumo, inghiottito dalla voragine che si era formata sotto di lui.
Gridava con voce cavernosa e gutturale: “Chiama, se ti serve qualcosa, ma soprattutto, scopatele per bene, perché non avrai più una simile occasione. Goditi questa vacanza, è il tempo che ti resta, poi staremo insieme per l’eternità! Potevi vivere ancora un anno, dieci mesi e quattordici giorni, quando hai firmato. Ora sono miei.”
Ted Villata, incredulo, si sforzava di fare i conti sulle punte delle dita, che iniziavano a bruciare e ad irrigidirsi: il numero dei giorni gli moriva sulle labbra: era uno scherzo, di certo era un scherzo, un illusionista pazzo, però tremava nel più profondo d'ogni cellula... che cosa ci avrebbe fatto con un milione di euro sua moglie?! Porca miseria, si erano separati da poche settimane! Questo non l'aveva previsto.