CONCEPIMENTO DEL PRINCIPE D'INIQUITA'
Nel 1600 l’Abate Ladino scriveva: "Giunti al terzo Millennio vedrete sorgere un mostro senza cuore, che parlerà ogni lingua, ma non quella dell’amore. Sarà svezzato in una culla d’oro e d’argento, ma la sua nascita sarà segnata dal sigillo di Serug.
Nel tempo in cui chi non è, si farà chiamare dio, solo la fede vi potrà salvare. E quando il suo regno sarà finito, il mondo avrà conosciuto il fuoco purificatore che precederà la civiltà degli angeli, senza alcuna radice nel passato, ma prima… il deserto abbraccerà la terra… |
La monaca Shagal aveva deciso di fuggire da Gerusalemme per salvare la pelle. Perseguitata, cercava di far perdere le proprie tracce. Aveva raggiunto prima Damasco in autobus, poi Amman, la capitale giordana, su un lussuoso treno dell’antica linea dell’Hejaz, splendidamente restaurata per i turisti. In altri tempi sarebbe stato un sacrilegio vedere trasformata in navetta di lusso la santa ferrovia, che nacque nel 1900 per opera del Sultano Abdul Hamid. Egli, in virtù del suo ruolo di Califfo (Colui che mantiene la fede), inviò un appello per ottenere contributi da tutte le nazioni islamiche. Il treno doveva condurre i pellegrini musulmani alle città sante di Medina e la Mecca, fino allora raggiungibili solo in carovana. La linea ferroviaria iniziò nel 1901 grazie ad un team internazionale d’ingegneri, capitanati dal tedesco Meissner, per poi legarsi indissolubilmente al mito di Lawrence d’Arabia ed alla lotta d'indipendenza araba contro i turchi. Dopo il recupero delle carrozze di un tempo, ogni giorno i vecchi vagoni, trainati da motrici diesel o a vapore, percorrevano la tratta Damasco – Amman, pieni zeppi di pellegrini e di turisti. Il viaggio durava circa 11 ore.
Shagal si sarebbe rifugiata da un lontano parente, nella riserva naturale di Dana, un territorio perfetto per nascondere il peccato, tra gole e montagne che si estendono dall’alta valle del Rift ai bassopiani desertici del Wadi Araba.
Sentiva un bisogno di paradiso, lei, che nel cuore covava i tormenti dell’inferno. Sapeva di non meritare quell’eden incantevole, tranquillo, dedito alle tradizioni artigianali ed agricole. Ma quella, era solo una tappa del suo viaggio verso la libertà. Prese un torpedone per la città d’Al-Qaddisiyyen, lungo la Strada dei Re, e da qui raggiunse Dana. Indugiò qualche minuto fra le modeste bancarelle del piccolo mercato, beandosi d’intensi colori e profumi speziati: tappeti, vasellame, gioielli, frutta fresca, datteri succulenti... ma il suo cuore era spezzato, sordo, arso, in ogni istante riportato agli amori blasfemi nelle segrete del convento, con quei religiosi che n’avevano profanato i voti e le carni d’adolescente, che l’avevano comprata con una fortuna, in denari, preziosi, titoli ed azioni. Questo, nel disegno del Fato, era il modo più consono per ripagare la frustrazione d’essere nata miserabile ma dotata d’ardente bellezza. Ora i suoi giorni futuri sarebbero stati colmi di lussi, oppure non sarebbero stati. Aveva sempre con se un acuminato pugnale, il solo confidente ed amico di cui si fidasse veramente, al quale desiderava regalare le sue vene, traviate dall’impossibilità di scegliere il suo destino.
La luna era alta nel cielo e Shagal non riusciva a prendere sonno. Abbandonato il giaciglio di giunchi e stuoie, uscì dalla bianca casa in pietra. Anche a notte fonda il villaggio di Dana offriva dall’alto di un dirupo, un panorama sbalorditivo: la donna camminava lentamente, lasciandosi sedurre dalle candide e materne braccia di Selene. Unica compagnia la solitudine, il pugnale vibrante e le sue perversioni inconfessabili.
Senza meta, assorta nel suo errare, ignara d’essere predestinata a mettere al mondo l’ultima discendenza d’Israele, Shagal, giunse senza accorgersene alle antiche miniere di rame del Wadi Fayan, e sospirando forte, lasciò che ancora la luna le facesse strada, illuminando il sentiero fra le rocce… lontani ululati di lupi tristi componevano una melodia perfetta per quella notte d’incanti…
Un rosso ambrato intenso impregnava le rocce ferrose, trasudanti un caldo molle e afoso. Shagal, stordita dal torpore, fu riportata alla realtà da un suono insistente, che sembrava quello di un telefono cellulare. La ragazza iniziò ad agitarsi; istintivamente frugò vesti e borsa, per porre fine a quel bip lancinante. Chi poteva cercarla a quella ora della notte? Forse la batteria si stava scaricando, ma il telefono… era spento! Il suono era diverso dal solito, molto più sottile, rapido, intenso… Shagal scagliò il cellulare contro una roccia per farlo a pezzi: desiderava disperatamente che il segnale provenisse dall’oggetto muto, ma non era così. S’accorse d’essere a pochi passi da un ingresso delle miniere, buio, minaccioso, inquietante… meglio tornare indietro. Non ebbe il tempo di completare il pensiero che una sfera di luce comparve nella fenditura, levitando.
Un raggio arancione la colpì al petto, facendola sobbalzare, senza provocarle alcun dolore. Quello scontro di particelle produsse però una luce abbacinante che l’accecò per qualche momento, illuminando a giorno la scena. La donna, presa dal terrore, si accasciò a terra, fra sabbia e rocce, difendendo il viso con le braccia. Rimase lì, umiliata, attendendo la fine.
La splendente violenza, progressivamente dileguò. Shagal alzò la testa e nel chiarore diffuso, distinse una figura che, silenziosamente, muoveva verso di lei. Era un uomo imponente, straordinariamente alto, avvolto in un lungo manto rosso, vestito di una tunica bianca. Lei restò immobile, tremante. Lui si piegò e l’abbraccio, in segno d’amicizia, invitandola ad alzarsi: “Non temere, donna. Sei stata scelta fra molte per compiere una missione vitale per la Terra e la nostra stirpe.”
Shagal non capì: “Chi è lei? Se deve farlo, lo faccia presto, ho molti soldi in borsa, prenda tutto e non mi risparmi: io desidero soltanto morire.”
“Come puoi pensare a morire, quando ciò che ti circonda è pieno di vita, quando vi è ancora tanta parte d’esistenza innanzi a te? Alzati, te lo ordino”, disse l’uomo. La sua voce e il suo sembiante avevano qualcosa d’antico e sovrumano. Aspetto fiero, viso scavato da rughe profonde, reso ancor più austero da una lunga barba nera che gli copriva il petto. Avrebbe potuto avere cinquanta o cinquantamila anni.
“Guarda: alberi, cespugli, stelle infinite e la valle… dove la sabbia, le balze, le oasi, i torrenti, la rada vegetazione si abbracciano in un amplesso infinito di silenzi. E questo tappeto di fiori selvaggi, l’orizzonte, la luce ancora vaga del sole che sta per nascere?! La sola sensazione d'esistere, di vedere, sentire, toccare, muoverti, respirare in questa dimensione è qualcosa che deve renderti felice!”
“Forse, ma io non posso più essere felice, io non posso più pensare!”
“I pensieri che nascono dalla contemplazione non possono non essere che sereni.”
“Lei non conosce gli abissi del pensiero, né le sue torture.”
L’uomo prese a ridere, ironico e beffardo. I sui lineamenti ondeggiarono, scossi da un’inafferrabile energia interna e per qualche istante lei vide il volto del drago… pelle squamosa, labbra sottili, occhi taglienti, che sprigionavano un’ambigua luce rossastra.
“Io non conosco gli abissi del pensiero?!” La sua risata divenne un ghigno bollente ma scuro e doloroso.
“Io conosco gli abissi dell’infelicità assoluta”, disse Shagal, balbettando, “per questo non ti temo, Satana!”
“Non dire sciocchezze, Satana non esiste, almeno come lo immagini tu.”
“Sei forse un eremita?”
“Forse… qualcosa di simile, e tu, forse, sei ingiusta a temermi. Non vi è assoluta infelicità, né felicità assoluta. L'eredità di beni e di mali che ci lega alla natura, può eccedere o difettare nella misura di questi o di quelli, ma ciascun uomo ne ha una parte, piccola o grande, non vi è esistenza che non sia allietata da un baleno di felicità... ad esempio, per una monaca, i piaceri della fantasia.”
“Altro è immaginare, illudersi; altro è aver coscienza e sentimento di un bene reale. Vi fu un tempo in cui avrei accettato la miseria della clausura, della perversa attesa di uomini e donne eccitati al pensiero di entrare in me, avrei accettato qualunque spasimo, a patto di sognare tutte le notti, di sognar sempre, di non esistere che in questa vita di illusioni. Allora non ero ancora malata. I miei stessi mali mi stanno esaudendo; la mia infermità mi procura ogni notte sonni convulsivi e visioni come questa: chi sei tu?”
“Considerami un assopimento febbrile, nel mondo sconfinato dei sogni.”
“Ebbene, lo crederesti? Ormai mi disgustano, mi tediano, i sogni. Viviamo in un mondo reale, dobbiamo afferrare il reale, il concreto.”
“Il reale? Cosa è reale? Quello che tu credi reale è sempre inferiore all'ideale, Chagal!” L’uomo rise di nuovo.
“Non importa. Chi non preferirebbe all'immagine di un bene smisurato, il possesso di un bene minimo?”
“Tutto ciò è relativo; gli aspetti e le sorgenti della felicità sono molteplici, chi si reputa avventurato in una maniera, chi in un'altra; la maggior parte degli uomini lo sono in modi opposti o diversissimi. Non vi è che un mezzo comune, facile, sicuro di essere felici.”
“Quale?”
“Amare e odiare, senza scegliere l’uno o l’altro. La distruzione, la guerra, l’orrore, la civiltà, il bene, nascono da questi sentimenti primordiali.
E tacque, Shagal, mentre il braccio dell’uomo pesò con maggior abbandono sulla sua spalla. La mano scese, frugò, strinse i seni floridi, accarezzo il ventre, e scese ancora, aprendosi come un fiore che sboccia, per cogliere il fiore più intimo e rugiadoso del creato. Le bocche si unirono, le vesti caddero, le gambe tremanti della donna si aprirono timidamente, ma subito furono invase da una virilità prepotente e incontenibile, che le forzò ad allargarsi per ricevere ancora una volta la pienezza. La penetrò subito, ed entrambe godettero sino all’alba. “Te lo ripeto: tu sei maledetta fra le donne, maledetto sarà il frutto del tuo ventre, anche se con un atto d’amore sei stata scelta fra molte.”
Fu quella l’unica frase che Chagal ricordò, quando il sole invase la sua stanza spoglia, nella casa di pietra bianca a Dana. Pensò di aver ecceduto d’immaginazione quella notte, nel suo modo immaginario di fantasmi. Ma poche settimane dopo la vita scalpitava nel suo ventre.
Dana, Dana, da te sarebbe uscito Il principe d'iniquità! Hanno confuso il tuo nome carezzevole con quello della perduta tribù ebraica di Dan! Giacobbe maledirebbe, forse, gli imprudenti profeti cristiani? Il patriarca lo annunciò nel suo testamento spirituale: Gad, Aser, Ruben, Simeone, Levi, Giuda, Isaccar, Zabulon, Giuseppe, Beniamino, Neftali e… Dan, figlio della schiava Bila. Dan, figlio della meretrice Chagal. Dan, fra i dodici nati da Israele, il reietto, giudice nascosto nella storia del suo popolo: come serpe velenosa morderai al calcagno i fratelli, sul cammino polveroso dell’avvenire!
Dan! Figlio del Drago e della meretrice Chagal! Quando il tuo regno sarà finito, il mondo avrà conosciuto il fuoco purificatore, che precederà la civiltà degli angeli, ma prima… il deserto abbraccerà la terra… Sì, l’anticristo, il principe della fine era stato concepito proprio nel deserto, a Dana.
Shagal si sarebbe rifugiata da un lontano parente, nella riserva naturale di Dana, un territorio perfetto per nascondere il peccato, tra gole e montagne che si estendono dall’alta valle del Rift ai bassopiani desertici del Wadi Araba.
Sentiva un bisogno di paradiso, lei, che nel cuore covava i tormenti dell’inferno. Sapeva di non meritare quell’eden incantevole, tranquillo, dedito alle tradizioni artigianali ed agricole. Ma quella, era solo una tappa del suo viaggio verso la libertà. Prese un torpedone per la città d’Al-Qaddisiyyen, lungo la Strada dei Re, e da qui raggiunse Dana. Indugiò qualche minuto fra le modeste bancarelle del piccolo mercato, beandosi d’intensi colori e profumi speziati: tappeti, vasellame, gioielli, frutta fresca, datteri succulenti... ma il suo cuore era spezzato, sordo, arso, in ogni istante riportato agli amori blasfemi nelle segrete del convento, con quei religiosi che n’avevano profanato i voti e le carni d’adolescente, che l’avevano comprata con una fortuna, in denari, preziosi, titoli ed azioni. Questo, nel disegno del Fato, era il modo più consono per ripagare la frustrazione d’essere nata miserabile ma dotata d’ardente bellezza. Ora i suoi giorni futuri sarebbero stati colmi di lussi, oppure non sarebbero stati. Aveva sempre con se un acuminato pugnale, il solo confidente ed amico di cui si fidasse veramente, al quale desiderava regalare le sue vene, traviate dall’impossibilità di scegliere il suo destino.
La luna era alta nel cielo e Shagal non riusciva a prendere sonno. Abbandonato il giaciglio di giunchi e stuoie, uscì dalla bianca casa in pietra. Anche a notte fonda il villaggio di Dana offriva dall’alto di un dirupo, un panorama sbalorditivo: la donna camminava lentamente, lasciandosi sedurre dalle candide e materne braccia di Selene. Unica compagnia la solitudine, il pugnale vibrante e le sue perversioni inconfessabili.
Senza meta, assorta nel suo errare, ignara d’essere predestinata a mettere al mondo l’ultima discendenza d’Israele, Shagal, giunse senza accorgersene alle antiche miniere di rame del Wadi Fayan, e sospirando forte, lasciò che ancora la luna le facesse strada, illuminando il sentiero fra le rocce… lontani ululati di lupi tristi componevano una melodia perfetta per quella notte d’incanti…
Un rosso ambrato intenso impregnava le rocce ferrose, trasudanti un caldo molle e afoso. Shagal, stordita dal torpore, fu riportata alla realtà da un suono insistente, che sembrava quello di un telefono cellulare. La ragazza iniziò ad agitarsi; istintivamente frugò vesti e borsa, per porre fine a quel bip lancinante. Chi poteva cercarla a quella ora della notte? Forse la batteria si stava scaricando, ma il telefono… era spento! Il suono era diverso dal solito, molto più sottile, rapido, intenso… Shagal scagliò il cellulare contro una roccia per farlo a pezzi: desiderava disperatamente che il segnale provenisse dall’oggetto muto, ma non era così. S’accorse d’essere a pochi passi da un ingresso delle miniere, buio, minaccioso, inquietante… meglio tornare indietro. Non ebbe il tempo di completare il pensiero che una sfera di luce comparve nella fenditura, levitando.
Un raggio arancione la colpì al petto, facendola sobbalzare, senza provocarle alcun dolore. Quello scontro di particelle produsse però una luce abbacinante che l’accecò per qualche momento, illuminando a giorno la scena. La donna, presa dal terrore, si accasciò a terra, fra sabbia e rocce, difendendo il viso con le braccia. Rimase lì, umiliata, attendendo la fine.
La splendente violenza, progressivamente dileguò. Shagal alzò la testa e nel chiarore diffuso, distinse una figura che, silenziosamente, muoveva verso di lei. Era un uomo imponente, straordinariamente alto, avvolto in un lungo manto rosso, vestito di una tunica bianca. Lei restò immobile, tremante. Lui si piegò e l’abbraccio, in segno d’amicizia, invitandola ad alzarsi: “Non temere, donna. Sei stata scelta fra molte per compiere una missione vitale per la Terra e la nostra stirpe.”
Shagal non capì: “Chi è lei? Se deve farlo, lo faccia presto, ho molti soldi in borsa, prenda tutto e non mi risparmi: io desidero soltanto morire.”
“Come puoi pensare a morire, quando ciò che ti circonda è pieno di vita, quando vi è ancora tanta parte d’esistenza innanzi a te? Alzati, te lo ordino”, disse l’uomo. La sua voce e il suo sembiante avevano qualcosa d’antico e sovrumano. Aspetto fiero, viso scavato da rughe profonde, reso ancor più austero da una lunga barba nera che gli copriva il petto. Avrebbe potuto avere cinquanta o cinquantamila anni.
“Guarda: alberi, cespugli, stelle infinite e la valle… dove la sabbia, le balze, le oasi, i torrenti, la rada vegetazione si abbracciano in un amplesso infinito di silenzi. E questo tappeto di fiori selvaggi, l’orizzonte, la luce ancora vaga del sole che sta per nascere?! La sola sensazione d'esistere, di vedere, sentire, toccare, muoverti, respirare in questa dimensione è qualcosa che deve renderti felice!”
“Forse, ma io non posso più essere felice, io non posso più pensare!”
“I pensieri che nascono dalla contemplazione non possono non essere che sereni.”
“Lei non conosce gli abissi del pensiero, né le sue torture.”
L’uomo prese a ridere, ironico e beffardo. I sui lineamenti ondeggiarono, scossi da un’inafferrabile energia interna e per qualche istante lei vide il volto del drago… pelle squamosa, labbra sottili, occhi taglienti, che sprigionavano un’ambigua luce rossastra.
“Io non conosco gli abissi del pensiero?!” La sua risata divenne un ghigno bollente ma scuro e doloroso.
“Io conosco gli abissi dell’infelicità assoluta”, disse Shagal, balbettando, “per questo non ti temo, Satana!”
“Non dire sciocchezze, Satana non esiste, almeno come lo immagini tu.”
“Sei forse un eremita?”
“Forse… qualcosa di simile, e tu, forse, sei ingiusta a temermi. Non vi è assoluta infelicità, né felicità assoluta. L'eredità di beni e di mali che ci lega alla natura, può eccedere o difettare nella misura di questi o di quelli, ma ciascun uomo ne ha una parte, piccola o grande, non vi è esistenza che non sia allietata da un baleno di felicità... ad esempio, per una monaca, i piaceri della fantasia.”
“Altro è immaginare, illudersi; altro è aver coscienza e sentimento di un bene reale. Vi fu un tempo in cui avrei accettato la miseria della clausura, della perversa attesa di uomini e donne eccitati al pensiero di entrare in me, avrei accettato qualunque spasimo, a patto di sognare tutte le notti, di sognar sempre, di non esistere che in questa vita di illusioni. Allora non ero ancora malata. I miei stessi mali mi stanno esaudendo; la mia infermità mi procura ogni notte sonni convulsivi e visioni come questa: chi sei tu?”
“Considerami un assopimento febbrile, nel mondo sconfinato dei sogni.”
“Ebbene, lo crederesti? Ormai mi disgustano, mi tediano, i sogni. Viviamo in un mondo reale, dobbiamo afferrare il reale, il concreto.”
“Il reale? Cosa è reale? Quello che tu credi reale è sempre inferiore all'ideale, Chagal!” L’uomo rise di nuovo.
“Non importa. Chi non preferirebbe all'immagine di un bene smisurato, il possesso di un bene minimo?”
“Tutto ciò è relativo; gli aspetti e le sorgenti della felicità sono molteplici, chi si reputa avventurato in una maniera, chi in un'altra; la maggior parte degli uomini lo sono in modi opposti o diversissimi. Non vi è che un mezzo comune, facile, sicuro di essere felici.”
“Quale?”
“Amare e odiare, senza scegliere l’uno o l’altro. La distruzione, la guerra, l’orrore, la civiltà, il bene, nascono da questi sentimenti primordiali.
E tacque, Shagal, mentre il braccio dell’uomo pesò con maggior abbandono sulla sua spalla. La mano scese, frugò, strinse i seni floridi, accarezzo il ventre, e scese ancora, aprendosi come un fiore che sboccia, per cogliere il fiore più intimo e rugiadoso del creato. Le bocche si unirono, le vesti caddero, le gambe tremanti della donna si aprirono timidamente, ma subito furono invase da una virilità prepotente e incontenibile, che le forzò ad allargarsi per ricevere ancora una volta la pienezza. La penetrò subito, ed entrambe godettero sino all’alba. “Te lo ripeto: tu sei maledetta fra le donne, maledetto sarà il frutto del tuo ventre, anche se con un atto d’amore sei stata scelta fra molte.”
Fu quella l’unica frase che Chagal ricordò, quando il sole invase la sua stanza spoglia, nella casa di pietra bianca a Dana. Pensò di aver ecceduto d’immaginazione quella notte, nel suo modo immaginario di fantasmi. Ma poche settimane dopo la vita scalpitava nel suo ventre.
Dana, Dana, da te sarebbe uscito Il principe d'iniquità! Hanno confuso il tuo nome carezzevole con quello della perduta tribù ebraica di Dan! Giacobbe maledirebbe, forse, gli imprudenti profeti cristiani? Il patriarca lo annunciò nel suo testamento spirituale: Gad, Aser, Ruben, Simeone, Levi, Giuda, Isaccar, Zabulon, Giuseppe, Beniamino, Neftali e… Dan, figlio della schiava Bila. Dan, figlio della meretrice Chagal. Dan, fra i dodici nati da Israele, il reietto, giudice nascosto nella storia del suo popolo: come serpe velenosa morderai al calcagno i fratelli, sul cammino polveroso dell’avvenire!
Dan! Figlio del Drago e della meretrice Chagal! Quando il tuo regno sarà finito, il mondo avrà conosciuto il fuoco purificatore, che precederà la civiltà degli angeli, ma prima… il deserto abbraccerà la terra… Sì, l’anticristo, il principe della fine era stato concepito proprio nel deserto, a Dana.