SACRI BAMBINI
Un bambino solo, prigioniero, guarda oltre i vetri. E’ triste, ma nella solitudine ha imparato ad amare la sua finestra, dove si condensa il vapore dell’antico focolare, una cucina del 1950, semplice, povera, senza cappa che aspiri i profumi di minestre, verdure e miseri fritti d’uova, salsiccia e patate. Sublimi. Attaccati ai vestiti come colla.
Lui disegna fantasie sul vapore, col suo ditino: pupazzi, soli, forme geometriche, casette, omini e cani, che poco dopo scompaiono in rapide dissolvenze. Il vetro è nuovamente immacolato. Dammi il tuo amore, dimmi che hai bisogno del mio: prima chiede, poi implora, ma i baci sono attimi fuggenti. |
La mamma lavora duramente a quella maledetta macchina per cucire a pedale, nera, lucida, con i fregi dorati. La ama, poi non la ama più, e papà non c’è mai. Lei è ingarbugliata, nervosa e lontana. Papà lavora sempre. Com’è mitico papà quando non c’è. Il bimbo piange dentro, di sicuro piange lacrime profonde, vaste come l’eternità, respirando nuvole di cipolle, carote e sedano. Anche il babbo piange dentro, sulla moto che si affanna da una consegna all’altra, da uno stallaggio all’altro, nella nebbia, nel gelo, nel caldo afoso dell’estate. Forse, piange anche russando nel tiepido di un letto ritrovato, ma sempre così lontano e breve. Il bimbo non lo sa e continua a singhiozzare, nulla può consolarlo. Un vuoto e una nostalgia tremendi, un abisso di tenerezza, di mancanza lo tormentano. Il bimbo si accarezza con le lacrime. Ti voglio bene papà, stai con me, tienimi in braccio, ti amo come Dio. Un Dio che è stato evocato affinché ti sostituisca.
Il bambino aveva in Gesù e nella fatina turchina i suoi protettori, il suo babbo, la sua mammina. Come colpì il suo piccolo cuore la malattia di Pinocchio, l’amara medicina, la bara portata dai corvi, la morte per impiccagione e la sua resurrezione. Può un burattino diventare un bambino? Se questo è necessario, per essere perdonato e amato, per riavere il suo babbo, se la salvezza passa attraverso il sacrificio… eccomi, fatina! Ma io sono un bambino e per potermi liberare devo diventare un burattino! Solo così potrò finalmente ammalarmi, per morire e poi resuscitare.
Rinacque, ma quando vide per la prima volta Gesù crocefisso in televisione, capì, senza comprenderlo, l’orrore della morte e del vuoto, che già l’aveva visitato. E il vuoto lo fece tremare di paura e di disperazione: un grido lacerante gli s’impigliò in gola, soffocandolo. Anche il padre e il figlio potevano morire. Gesù è Pinocchio, l’Amore impiccato, moribondo, coperto di sangue, con la sua corona di spine a trofeo, sacrificato per pochi denari.
Quaranta anni dopo, il bambino è di legno, il bambino è una croce. Non sempre riesce a piangere, ricordando il suo antico pianto. Il babbo e la mamma, anziani, consumati dal vivere, hanno portato croci: lutti di fratelli morti, gravi malattie, sacrifici di spogliazione: per questo sono ancora poveri e remoti. Non è stato capace di riscattarli. Forse non s’incontreranno mai. Come impedirlo?
Flash back: lacrime lievi che rigano le gote, sul treno che lo riporta a casa dopo le vacanze estive. Ha lasciato sulla spiaggia dorata la sua fidanzatina di quattro anni. Mariagrazia. Le treccine, il sorriso, l’odore di pelle abbronzata e crema Nivea. Forse non la rivedrà più. Il dolore dell’amore, l’amore per il dolore dell’assenza dell’amata. Ripercorre un sentire già sentito, lo stesso che prova quando non c’è papà. L’altro da se. Padre, madre, grande amore; in cosa può sperare se tutti partono sempre? Come potrà essere uomo e vivere la vita? L’assoluto sulla terra gli sfugge, tutto il resto è piacere e dolore relativo.
Il bimbo dimenticato, però, ha il suo regno e un antico amico. E’ poca cosa, ma grandiosa, la periferia degli anni ’60 a Torino, in Via Luigi Cherubini, 63: far west, giungla, palude, Marte e le Pleiadi. E’ l’infinito da esplorare e da possedere con lo sguardo: eroico.
Lì c’è un angelo guardiano enorme, buonissimo e purissimo, è uno spirito contadino, nitido e selvaggio, amico di Dio. Lui parla con Gesù Cristo, non lo teme, ci gioca a figurine. E’ l’angelo del Padre tornato. Ora c’è. Lo spazio del sogno diventa realtà. Il bimbo sa d’essere giunto alle terra promessa, respira il colore dell’aria dall’alto del suo quinto piano: compagna, la vita.
Angelo elementale, torna da lui, che la mutazione non è ancor ultimata. Pinocchio t’aspetta vestito da ragazzino per bene. Fallo uomo selvaggio, fallo intoccabile, fallo rinascere allo stupore. Lode all’Inviolabile! Lode all’Inviolabile! Lode all’Inviolabile! Che lui sia lo stupore! Che in lui viva il Profeta. Angelo Guardiano del Giardino Indicibile, incoronato in ogni Salvatore, che fu il suo salvatore, incarnato in Cristo, Krisna, Buddha. Tu hai un nome: fratello di sangue: Domenico Savio.
Santa Terra, tu sia benedetta, riscattata dall’oppressiva libertà dell’Oppositore e dal suo odore di modernità meccanica, zolfo, elettricità e silicio. Profumo di ginestre, intensità di girasoli e campanule. Il bimbo corre nei prati, libero tra bimbi liberi.
Noi, angelo del ‘900, siamo anche questo. Il nostro cuore Merlino, sa di fado e valzer, di giri armonici ripetitivi e druidi campestri. Osanna ai sacri bambini e alle madri vestite d’energia emanata. Santa Bernardetta, Santa Lucia, San Domenico Savio, San Teresina di Lisiuex… pasturate le pecore del Signore.
Il padre è morto il 22 novembre, dopo un lungo soffrire! Santo, nel suo lungo resistere.
La madre è morta il 25 luglio, a distanza di quattro anni! Santa, nel suo lungo soffire.
Indaco era il silenzio del Grande Spirito… sul fiume Gave: “Que soy era Immaculada Councepciou”.
Indaco era il silenzio del Grande Spirito sul muro della casa di Via Cherubini, 63.
Perdonami perché non son degno.
Il bambino aveva in Gesù e nella fatina turchina i suoi protettori, il suo babbo, la sua mammina. Come colpì il suo piccolo cuore la malattia di Pinocchio, l’amara medicina, la bara portata dai corvi, la morte per impiccagione e la sua resurrezione. Può un burattino diventare un bambino? Se questo è necessario, per essere perdonato e amato, per riavere il suo babbo, se la salvezza passa attraverso il sacrificio… eccomi, fatina! Ma io sono un bambino e per potermi liberare devo diventare un burattino! Solo così potrò finalmente ammalarmi, per morire e poi resuscitare.
Rinacque, ma quando vide per la prima volta Gesù crocefisso in televisione, capì, senza comprenderlo, l’orrore della morte e del vuoto, che già l’aveva visitato. E il vuoto lo fece tremare di paura e di disperazione: un grido lacerante gli s’impigliò in gola, soffocandolo. Anche il padre e il figlio potevano morire. Gesù è Pinocchio, l’Amore impiccato, moribondo, coperto di sangue, con la sua corona di spine a trofeo, sacrificato per pochi denari.
Quaranta anni dopo, il bambino è di legno, il bambino è una croce. Non sempre riesce a piangere, ricordando il suo antico pianto. Il babbo e la mamma, anziani, consumati dal vivere, hanno portato croci: lutti di fratelli morti, gravi malattie, sacrifici di spogliazione: per questo sono ancora poveri e remoti. Non è stato capace di riscattarli. Forse non s’incontreranno mai. Come impedirlo?
Flash back: lacrime lievi che rigano le gote, sul treno che lo riporta a casa dopo le vacanze estive. Ha lasciato sulla spiaggia dorata la sua fidanzatina di quattro anni. Mariagrazia. Le treccine, il sorriso, l’odore di pelle abbronzata e crema Nivea. Forse non la rivedrà più. Il dolore dell’amore, l’amore per il dolore dell’assenza dell’amata. Ripercorre un sentire già sentito, lo stesso che prova quando non c’è papà. L’altro da se. Padre, madre, grande amore; in cosa può sperare se tutti partono sempre? Come potrà essere uomo e vivere la vita? L’assoluto sulla terra gli sfugge, tutto il resto è piacere e dolore relativo.
Il bimbo dimenticato, però, ha il suo regno e un antico amico. E’ poca cosa, ma grandiosa, la periferia degli anni ’60 a Torino, in Via Luigi Cherubini, 63: far west, giungla, palude, Marte e le Pleiadi. E’ l’infinito da esplorare e da possedere con lo sguardo: eroico.
Lì c’è un angelo guardiano enorme, buonissimo e purissimo, è uno spirito contadino, nitido e selvaggio, amico di Dio. Lui parla con Gesù Cristo, non lo teme, ci gioca a figurine. E’ l’angelo del Padre tornato. Ora c’è. Lo spazio del sogno diventa realtà. Il bimbo sa d’essere giunto alle terra promessa, respira il colore dell’aria dall’alto del suo quinto piano: compagna, la vita.
Angelo elementale, torna da lui, che la mutazione non è ancor ultimata. Pinocchio t’aspetta vestito da ragazzino per bene. Fallo uomo selvaggio, fallo intoccabile, fallo rinascere allo stupore. Lode all’Inviolabile! Lode all’Inviolabile! Lode all’Inviolabile! Che lui sia lo stupore! Che in lui viva il Profeta. Angelo Guardiano del Giardino Indicibile, incoronato in ogni Salvatore, che fu il suo salvatore, incarnato in Cristo, Krisna, Buddha. Tu hai un nome: fratello di sangue: Domenico Savio.
Santa Terra, tu sia benedetta, riscattata dall’oppressiva libertà dell’Oppositore e dal suo odore di modernità meccanica, zolfo, elettricità e silicio. Profumo di ginestre, intensità di girasoli e campanule. Il bimbo corre nei prati, libero tra bimbi liberi.
Noi, angelo del ‘900, siamo anche questo. Il nostro cuore Merlino, sa di fado e valzer, di giri armonici ripetitivi e druidi campestri. Osanna ai sacri bambini e alle madri vestite d’energia emanata. Santa Bernardetta, Santa Lucia, San Domenico Savio, San Teresina di Lisiuex… pasturate le pecore del Signore.
Il padre è morto il 22 novembre, dopo un lungo soffrire! Santo, nel suo lungo resistere.
La madre è morta il 25 luglio, a distanza di quattro anni! Santa, nel suo lungo soffire.
Indaco era il silenzio del Grande Spirito… sul fiume Gave: “Que soy era Immaculada Councepciou”.
Indaco era il silenzio del Grande Spirito sul muro della casa di Via Cherubini, 63.
Perdonami perché non son degno.