Carnevale feroce
Il giorno del giudizio è a Venezia. Carnevale. L'appuntamento per combinargli lo scherzetto, davanti alla Chiesa dei Frari. Il bersaglio è Erminio Lorenzi, il viziatissimo pupillo del noto petroliere che ha fregato gli americani. Purtroppo era una cifra troppo pesante perché passasse sotto silenzio.
Le logge della finanza internazionale non perdonano. Possono diventare molto sgarbate, se qualcuno gli pesta i calli. Il contatto mi aspetta all'angolo con Rio Terà, uno dei tanti rivi interrati dagli urbanisti nel corso degli anni, che hanno contribuito ad avvelenare le acque della Serenissima. |
E’ vicino ad una tra le calli più trafficate. Dopo il lavoro voglio proprio andare a vedere il cenotafio del Canova, avvolto dalla piramide di marmo bianco. Troneggia nella Chiesa dei Frari quel segno pagano.
Le maschere non sono tante come un anno fa, ma c'è abbastanza ressa e animazione da perdersi, che a Venezia se giri a piedi senza cartina è facilissimo! Riconosco subito quella voce: è della ragazza che mi chiama al telefono. Temeraria a volermi rivelare, sfacciatamente, il suo aspetto. La fretta, la sfiducia. Questa volta deve controllare personalmente che fili liscio: e così sia. E’ una bella brunetta: ventisette anni, capelli ricci lunghi, occhi chiari, viso angelico, bocca rossa, ben disegnata. "Benvenuto al carnevale di Venezia", sussurra, sensuale, con la sua inconfondibile r rotolante. Saluto con un inchino. Baciamano. Voglio recitare la parte di Casanova. Non s'è mai visto un incarico che si conclude a letto con il cliente. C'è sempre una prima volta. "Mi segua", il tono è cambiato. Illuso.
Solo pochi passi ed entriamo in un dedalo di calli deserte. La folla dei turisti è scomparsa: incrociamo alcune maschere sperdute, fantasmi emersi da chissà quale locanda. Camminiamo parecchio. Scorriamo vari ponti, l’ultimo è quello dell’Accademia di Belle Arti: poche centinaia di metri ed eccoci davanti ad un palazzo padronale fatiscente. Mi spiega che è un luogo di grande interesse storico, dove s’incontrarono principi, dogi, dignitari veneziani, turchi, russi e francesi. Parla svelta, a mitraglia. La residenza è in stato d’abbandono, divelta, sfatta, sbertucciata, con l’intonaco a pezzi, i mattoni a vista e le gronde lacerate: - un grigiore che non rende giustizia al sito. Dice. Entriamo. L’antico portone è spalancato. L'andito maleodorante è carico di fumi e odori inverecondi. Scalone. Saliamo. Avanziamo tranquilli e silenziosi, mantenendo il profilo basso di una perlustrazione. Porta principale; si ode un grido, un vociare concitato di festa. Passi rapidi, imposte sbattute. Entriamo. La mia spia ha la chiave.
Restiamo nascosti in un angolo scuro del corridoio, mentre mi spiega dove siamo: “E’ la sede di un circolo, frequentato esclusivamente da studenti. In apparenza nulla di strano, invece è il luogo dei luoghi, la scuderia dei satiri. Il bosco urbano dei rituali d’Evverroè, timor panico ed Euforìa. “Sai, si radunano nelle ore libere, alcuni per studiare, altri per far musica, la maggior parte… per incontrare il complice ideale a sfogare ogni desiderio.” Quel giorno, nelle grandi sale decrepite del club, regnava un’atmosfera anomala. C'era stata una gran festa in onore del Professor Massimo, sposo felice di Luciana, assidua frequentatrice del posto. La coppia era partita da mezz’ora per la luna di miele, e subito s’era accesa un’orgia sfrenata. Sbirciamo dalle porte socchiuse. In un angolo, appartato, Erminio gioca con Claudia e Morena, due biondine, una più bella dell'altra. I giovani si spogliano lentamente e si accarezzano le parti intime. Morena, la ragazzina dai capelli lunghi, tinti d’azzurrino, sembra gradire le attenzioni d’Erminio. Claudia è restia a farsi baciare in profondità dalla sua compagna, ma poi cede e inizia a provarci piacere. Gli animi si riscaldano, Erminio si toglie gli slip e sguaina il suo peccatore. Claudia, con uno scatto felino, si offre, per baciarlo avidamente. Il giovane sa quello che fa e allontana con non curanza la bocca di Claudia, invitando Morena a sostituirla. Vuole portarle al massimo desiderio, approfittando della loro velata rivalità. Morena accarezza con la lingua il gladio del ragazzo, mentre Claudia decide per l’autoerotismo, mettendo lealmente in mostra le sue grazie. E' un attimo, la mano di Morena sostituisce quella di Claudia, e quella di Claudia cerca disperatamente le grandi labbra della compagna. Claudia sembra impazzita ed anche lei si butta sulla verga d’Erminio: due lingue lo lustrano severamente, gareggiando fra loro per farlo spasimare.
All’esterno della villa… altri innocenti si dividevano i favori di Giorgia, Ilaria e Silvia. L'anziano custode, comparso all’improvviso in giardino con un rastrello in mano, decide di barattare il suo silenzio con qualche attenzione a più mani. Si sa, gli uomini si dividono in due categorie, chi colleziona donne e che si fa collezionare, ma che spettacolo ridicolo una massa di genitali che folleggia! Io mi chiedo come sia possibile impazzire per il sesso fino a diventare così temerari! Entrai nel salone, risoluto, marziale, come un mercenario dei corpi speciali pronto a liberare gli ostaggi. Quelli erano veramente prigionieri del loro piacere e non mi degnarono di uno sguardo. Ero un fantasma per quelle giovani carni gaudenti. Avvertii un grumo alla gola, un senso di nausea e claustrofobia in quell’aria densa di fumo e d’umori. Giuda falso, perché, perché, perché proprio io? Avrei preferito buttarmi con un paracadute difettoso sul Monte Rosa. Perché? Non potevo tornare indietro, rifiutare. Lo avrebbe fatto la mia guida o un altro organismo, anomalo quanto me. Nessuna possibilità di scelta. Il boss ha sempre ragione, per ogni Golem che si rispetti. Il lavoro deve essere portato a termine.
Sparai, non prima di aver montato il silenziatore. Un solo colpo: diretto, preciso. Il fulmine arrestò il tempo d’Erminio, prima che il ragazzo potesse rendersene conto. Il suo cuore smise di battere, mentre la mia affascinante accompagnatrice era turbata. Non potevo vederla, era alle mie spalle, ma percepivo nettamente in lei un desiderio sessuale imbavagliato, che gemeva di fronte all’ammucchiata. Forse, stava cedendo alla tentazione di usare le armi per minacciare tutti ed entrare nel gioco erotico da aguzzina, alzando incredibilmente la posta. Mi voltai di scatto, con il sorriso più dolce e comprensivo del mondo. “Ti capisco, chissà da quanto non fai l’amore, vero?”
Le conficcai una pallottola precisa, proprio in mezzo agli occhi. Cadde, con un tonfo sordo, senza nome: perché Io, sono il Golem, simulazione di materia animata, portatrice del delirio d’onnipotenza del suo creatore. E’ un artefice che non mi ama, che mi crede in suo potere come un oggetto. Arrogante, incauto, mi lascia crescere senza soccorso, abbandonandomi a me stesso. Necessariamente, d’ora in ora, divento sempre più anarchico, autarchico, rilassato. Incontrollabile. È ridicolo credere che qualcuno possa, ormai, decidere al mio posto, sorvegliarmi, distruggermi: per questo, neppure il mio creatore merita di sopravvivere. Tanto meno i suoi assistenti. Sono la caricatura del male supremo, l’ombra del potere. Sono la deformazione del Fato, la necessità comica della morte, che cammina barcollando per le strade e colpisce, ridendo.
È assurdo pensare di trovare la soluzione della mia esistenza nelle parole che un altro dice o scrive sulla mia fronte, nella mia anima. I lemmi pronunciati sono incancellabili come i corpi uccisi, migliaia di nomi e di persone ignote, che mi precipitano nel mistero, come in una foresta sconosciuta. Io, devo compiere l'Atto e basta, anche oggi. Io, devo ucciderli tutti, per non avere testimoni.
Erano disorientati, arruffati, nudi, assiderati, inorriditi, parevano conigli selvatici paralizzati dal sangue e dalle urla: qualcuno provò a fuggire, ma la caccia durò poco. Sostituii i caricatori delle pistole una sola volta. Poi, tornai indietro, lentamente, per l’inventario.
La deliziosa Morena, sfinita, sazia, era abbandonata su una poltrona di raso giallo, sfondata.
La povera Patrizia, sorella di Morena, una brunetta leggermente sciancata, ma dalle forme ferme, stava bocconi, in un angolo, con il viso poggiato sulla coscia di un giovane vestito, sanguinante come una fontana, ma col pene ancora turgido.
La coppia più tragica aveva esaurito i suoi giorni prima di porre fine ad un sessantanove in stato avanzato. La piccola aveva ancora indosso calze autoreggenti rosso fuoco e la minigonna, oscenamente sollevata. Un tenue raggio di sole accarezzò quelle natiche non eccessive, rilassate, mentre il suo pube ed il bacino pressavano il viso di un quarantenne baffuto, deformandolo in una smorfia grottesca. Probabilmente uno dei professori, che per la prima volta non riuscì ad urlare, per reprimere l’indisciplina. Erminio, la vittima sacrificale, giaceva fra le cosce di Claudia, ormai floscio in tutti i sensi.
No, il mestiere di killer sciamano non è facile, sbarbatelli. Scordate ogni romantica visione d’accesso al trascendente, perché chi decide di vedere, non sa cosa vedrà. E’ colpa vostra, se di colpa possiamo parlare. Potevate restare a casa a fare i compiti. Erminio l'avrei pizzicato da solo, in qualche angolo della città. Sarebbe stata tutta altra cosa. Maledizione. Siete stati imprudenti, pasticcioni, distratti, ma niente sensi di colpa fra noi! Non avete forse approfittato della bocca di Nadia, che soffriva di un terribile complesso d’inferiorità per l'orribile apparecchio correttivo che le serrava i denti?!
Voi non avete provato pietà per la compagna sfortunata, che accettava tutto da tutti per farsi accettare! Io, il Golem, non vi giudico. Consolatevi, senza paura di chi può uccidere il corpo ma non lo spirito. E’ un'illusione. Qualsiasi strada decide di percorrere, l’essere umano giunge sempre all'assurdo, nonostante le premesse razionali, o grazie alle stesse.
Queste nudità lascive, tenere, floride, imbrattate di sangue, rivelano l’immane portata dell’insensata realtà.
Mi chinai sul mio contatto, che avrebbe preferito portarmi a letto, piuttosto che farsi uccidere. Povera cara, aveva gli occhi aperti, sbarrati, sbalorditi, increduli, ma anche divertiti. Non aspettava un finale a sorpresa. Glieli chiusi, mentre aprivo la sua borsa per pagarmi. I soldi erano in una busta grigia. Tutti. Contati. Prevedibile, troppo prevedibile.
Io, il Golem, scesi in strada, soddisfatto per il dovere compiuto, e puntai dritto sul Caffé Florian. Mi attendeva un’ottima cioccolata calda e un’orchestrina al tramonto. Lì avrei caricato la mia pipa preferita ed atteso un’altra chiamata.
Le maschere non sono tante come un anno fa, ma c'è abbastanza ressa e animazione da perdersi, che a Venezia se giri a piedi senza cartina è facilissimo! Riconosco subito quella voce: è della ragazza che mi chiama al telefono. Temeraria a volermi rivelare, sfacciatamente, il suo aspetto. La fretta, la sfiducia. Questa volta deve controllare personalmente che fili liscio: e così sia. E’ una bella brunetta: ventisette anni, capelli ricci lunghi, occhi chiari, viso angelico, bocca rossa, ben disegnata. "Benvenuto al carnevale di Venezia", sussurra, sensuale, con la sua inconfondibile r rotolante. Saluto con un inchino. Baciamano. Voglio recitare la parte di Casanova. Non s'è mai visto un incarico che si conclude a letto con il cliente. C'è sempre una prima volta. "Mi segua", il tono è cambiato. Illuso.
Solo pochi passi ed entriamo in un dedalo di calli deserte. La folla dei turisti è scomparsa: incrociamo alcune maschere sperdute, fantasmi emersi da chissà quale locanda. Camminiamo parecchio. Scorriamo vari ponti, l’ultimo è quello dell’Accademia di Belle Arti: poche centinaia di metri ed eccoci davanti ad un palazzo padronale fatiscente. Mi spiega che è un luogo di grande interesse storico, dove s’incontrarono principi, dogi, dignitari veneziani, turchi, russi e francesi. Parla svelta, a mitraglia. La residenza è in stato d’abbandono, divelta, sfatta, sbertucciata, con l’intonaco a pezzi, i mattoni a vista e le gronde lacerate: - un grigiore che non rende giustizia al sito. Dice. Entriamo. L’antico portone è spalancato. L'andito maleodorante è carico di fumi e odori inverecondi. Scalone. Saliamo. Avanziamo tranquilli e silenziosi, mantenendo il profilo basso di una perlustrazione. Porta principale; si ode un grido, un vociare concitato di festa. Passi rapidi, imposte sbattute. Entriamo. La mia spia ha la chiave.
Restiamo nascosti in un angolo scuro del corridoio, mentre mi spiega dove siamo: “E’ la sede di un circolo, frequentato esclusivamente da studenti. In apparenza nulla di strano, invece è il luogo dei luoghi, la scuderia dei satiri. Il bosco urbano dei rituali d’Evverroè, timor panico ed Euforìa. “Sai, si radunano nelle ore libere, alcuni per studiare, altri per far musica, la maggior parte… per incontrare il complice ideale a sfogare ogni desiderio.” Quel giorno, nelle grandi sale decrepite del club, regnava un’atmosfera anomala. C'era stata una gran festa in onore del Professor Massimo, sposo felice di Luciana, assidua frequentatrice del posto. La coppia era partita da mezz’ora per la luna di miele, e subito s’era accesa un’orgia sfrenata. Sbirciamo dalle porte socchiuse. In un angolo, appartato, Erminio gioca con Claudia e Morena, due biondine, una più bella dell'altra. I giovani si spogliano lentamente e si accarezzano le parti intime. Morena, la ragazzina dai capelli lunghi, tinti d’azzurrino, sembra gradire le attenzioni d’Erminio. Claudia è restia a farsi baciare in profondità dalla sua compagna, ma poi cede e inizia a provarci piacere. Gli animi si riscaldano, Erminio si toglie gli slip e sguaina il suo peccatore. Claudia, con uno scatto felino, si offre, per baciarlo avidamente. Il giovane sa quello che fa e allontana con non curanza la bocca di Claudia, invitando Morena a sostituirla. Vuole portarle al massimo desiderio, approfittando della loro velata rivalità. Morena accarezza con la lingua il gladio del ragazzo, mentre Claudia decide per l’autoerotismo, mettendo lealmente in mostra le sue grazie. E' un attimo, la mano di Morena sostituisce quella di Claudia, e quella di Claudia cerca disperatamente le grandi labbra della compagna. Claudia sembra impazzita ed anche lei si butta sulla verga d’Erminio: due lingue lo lustrano severamente, gareggiando fra loro per farlo spasimare.
All’esterno della villa… altri innocenti si dividevano i favori di Giorgia, Ilaria e Silvia. L'anziano custode, comparso all’improvviso in giardino con un rastrello in mano, decide di barattare il suo silenzio con qualche attenzione a più mani. Si sa, gli uomini si dividono in due categorie, chi colleziona donne e che si fa collezionare, ma che spettacolo ridicolo una massa di genitali che folleggia! Io mi chiedo come sia possibile impazzire per il sesso fino a diventare così temerari! Entrai nel salone, risoluto, marziale, come un mercenario dei corpi speciali pronto a liberare gli ostaggi. Quelli erano veramente prigionieri del loro piacere e non mi degnarono di uno sguardo. Ero un fantasma per quelle giovani carni gaudenti. Avvertii un grumo alla gola, un senso di nausea e claustrofobia in quell’aria densa di fumo e d’umori. Giuda falso, perché, perché, perché proprio io? Avrei preferito buttarmi con un paracadute difettoso sul Monte Rosa. Perché? Non potevo tornare indietro, rifiutare. Lo avrebbe fatto la mia guida o un altro organismo, anomalo quanto me. Nessuna possibilità di scelta. Il boss ha sempre ragione, per ogni Golem che si rispetti. Il lavoro deve essere portato a termine.
Sparai, non prima di aver montato il silenziatore. Un solo colpo: diretto, preciso. Il fulmine arrestò il tempo d’Erminio, prima che il ragazzo potesse rendersene conto. Il suo cuore smise di battere, mentre la mia affascinante accompagnatrice era turbata. Non potevo vederla, era alle mie spalle, ma percepivo nettamente in lei un desiderio sessuale imbavagliato, che gemeva di fronte all’ammucchiata. Forse, stava cedendo alla tentazione di usare le armi per minacciare tutti ed entrare nel gioco erotico da aguzzina, alzando incredibilmente la posta. Mi voltai di scatto, con il sorriso più dolce e comprensivo del mondo. “Ti capisco, chissà da quanto non fai l’amore, vero?”
Le conficcai una pallottola precisa, proprio in mezzo agli occhi. Cadde, con un tonfo sordo, senza nome: perché Io, sono il Golem, simulazione di materia animata, portatrice del delirio d’onnipotenza del suo creatore. E’ un artefice che non mi ama, che mi crede in suo potere come un oggetto. Arrogante, incauto, mi lascia crescere senza soccorso, abbandonandomi a me stesso. Necessariamente, d’ora in ora, divento sempre più anarchico, autarchico, rilassato. Incontrollabile. È ridicolo credere che qualcuno possa, ormai, decidere al mio posto, sorvegliarmi, distruggermi: per questo, neppure il mio creatore merita di sopravvivere. Tanto meno i suoi assistenti. Sono la caricatura del male supremo, l’ombra del potere. Sono la deformazione del Fato, la necessità comica della morte, che cammina barcollando per le strade e colpisce, ridendo.
È assurdo pensare di trovare la soluzione della mia esistenza nelle parole che un altro dice o scrive sulla mia fronte, nella mia anima. I lemmi pronunciati sono incancellabili come i corpi uccisi, migliaia di nomi e di persone ignote, che mi precipitano nel mistero, come in una foresta sconosciuta. Io, devo compiere l'Atto e basta, anche oggi. Io, devo ucciderli tutti, per non avere testimoni.
Erano disorientati, arruffati, nudi, assiderati, inorriditi, parevano conigli selvatici paralizzati dal sangue e dalle urla: qualcuno provò a fuggire, ma la caccia durò poco. Sostituii i caricatori delle pistole una sola volta. Poi, tornai indietro, lentamente, per l’inventario.
La deliziosa Morena, sfinita, sazia, era abbandonata su una poltrona di raso giallo, sfondata.
La povera Patrizia, sorella di Morena, una brunetta leggermente sciancata, ma dalle forme ferme, stava bocconi, in un angolo, con il viso poggiato sulla coscia di un giovane vestito, sanguinante come una fontana, ma col pene ancora turgido.
La coppia più tragica aveva esaurito i suoi giorni prima di porre fine ad un sessantanove in stato avanzato. La piccola aveva ancora indosso calze autoreggenti rosso fuoco e la minigonna, oscenamente sollevata. Un tenue raggio di sole accarezzò quelle natiche non eccessive, rilassate, mentre il suo pube ed il bacino pressavano il viso di un quarantenne baffuto, deformandolo in una smorfia grottesca. Probabilmente uno dei professori, che per la prima volta non riuscì ad urlare, per reprimere l’indisciplina. Erminio, la vittima sacrificale, giaceva fra le cosce di Claudia, ormai floscio in tutti i sensi.
No, il mestiere di killer sciamano non è facile, sbarbatelli. Scordate ogni romantica visione d’accesso al trascendente, perché chi decide di vedere, non sa cosa vedrà. E’ colpa vostra, se di colpa possiamo parlare. Potevate restare a casa a fare i compiti. Erminio l'avrei pizzicato da solo, in qualche angolo della città. Sarebbe stata tutta altra cosa. Maledizione. Siete stati imprudenti, pasticcioni, distratti, ma niente sensi di colpa fra noi! Non avete forse approfittato della bocca di Nadia, che soffriva di un terribile complesso d’inferiorità per l'orribile apparecchio correttivo che le serrava i denti?!
Voi non avete provato pietà per la compagna sfortunata, che accettava tutto da tutti per farsi accettare! Io, il Golem, non vi giudico. Consolatevi, senza paura di chi può uccidere il corpo ma non lo spirito. E’ un'illusione. Qualsiasi strada decide di percorrere, l’essere umano giunge sempre all'assurdo, nonostante le premesse razionali, o grazie alle stesse.
Queste nudità lascive, tenere, floride, imbrattate di sangue, rivelano l’immane portata dell’insensata realtà.
Mi chinai sul mio contatto, che avrebbe preferito portarmi a letto, piuttosto che farsi uccidere. Povera cara, aveva gli occhi aperti, sbarrati, sbalorditi, increduli, ma anche divertiti. Non aspettava un finale a sorpresa. Glieli chiusi, mentre aprivo la sua borsa per pagarmi. I soldi erano in una busta grigia. Tutti. Contati. Prevedibile, troppo prevedibile.
Io, il Golem, scesi in strada, soddisfatto per il dovere compiuto, e puntai dritto sul Caffé Florian. Mi attendeva un’ottima cioccolata calda e un’orchestrina al tramonto. Lì avrei caricato la mia pipa preferita ed atteso un’altra chiamata.