L'ANGELO VIAGGIATORE
La notte chiara, stellata. Il torrente Dora, in secca, non gorgogliava come in primavera.
I lampioni illuminavano di luce arancione le spalliere di ferro del ponte: oltre, Corso Palermo si apriva scenograficamente, attorniato dal monumentale boccascena dei palazzi in stile fascista. Clara riconobbe subito Toni Sabbia, anche se erano trascorsi almeno quattro anni. Quel fagotto di stracci, capelli grigi e barba incolta, era il partner della sua amica, Anna, scomparsa nel nulla da tempo. Rallentò, frenò, accostò al marciapiede. |
Spense il motore della macchina nuova e uscì rapidamente, sbattendo la portiera; tanto, ormai, era a poche centinaia di metri da casa, e un posteggio valeva l’altro. Prese a seguirlo, fino a raggiungerlo. Restò alle sue spalle a pochi metri. Non osava avvicinarlo, perché parlava da solo, lentamente, a testa bassa. Camminava barcollando, quasi che la stanchezza, in combutta con la forza di gravità, stesse per attirarlo verso il gelido asfalto o direttamente oltre la spalliera, sul greto del fiume. Ricordava con inquietudine il giovane violoncellista che aveva perso il senno come Orlando, non per Angelica ma per Anna: dunque era vivo e stava ancora viaggiando verso la luna! E viaggiando sarebbe passato proprio sotto casa sua.
Lo pedinò, faticando molto a stargli dietro; non era abituata a camminare così lentamente, troppo lentamente. Toni Sabbia continuava a farfugliare, barcollò, si appoggiò alla palina di un divieto di sosta. Accarezzò lievemente l’asta fredda e rise, rise forte, come un bambino divertito da un giocattolo bizzarro. L’agguantò e iniziò a girare in tondo, sempre più velocemente.
Lo spettacolo acrobatico non era per loro, ma all’ingresso del caffé Rio Negro i periferici gli lanciarono occhiate di condanna. Nicchiavano, i perditempo domenicali, pronti a dargli quattro calci nello stomaco. C’erano operai con boccali di birra in mano, tifosi juventini, ornati di sciarpe e cappellini, coatti feroci, con giubbotti di pelle nera e stecche di biliardo in mano, ragazzine in minigonna che masticavano gomme americane recitando la parte di pupa del gangster. Gli spacciatori calabresi, vestiti con eleganza cafonesca, affondavano le braccia in tasca sino ai gomiti, stropicciando nervosamente le banconote dell’ultimo pizzo. Facce dure, ottuse, arroganti, vanitose, tristi.
Aspettavano di infierire sul più debole, ridendo furbi sotto i baffi. Trattenevano le ghignate animalesche, le frasi sconce, gli insulti scontati, per la fine dello spettacolo, sperando che al termine di quella giravolta, Toni Sabbia stramazzasse al suolo. Erano certi che il ventre molle del barbone fosse zeppo di birra. Prese coraggio e fermò l’uomo. Lui la guardò stupito, ondeggiando, con due occhi innocenti come l’alba. Clara lo prese sotto braccio, si fece largo tra i caini dei suburbi e superarono l’ingresso del bar.
Eh sì, Toni Sabbia puzzava come una capra, ma non aveva toccato un goccio d’alcol, quell’ubriachezza era causata da una sostanza tossica ben più potente e distruttiva: l’odio del mondo. Prima di decidersi a seguirla l’aveva osservata, cercando di ricordare chi era quella ragazza che diceva di conoscerlo da tanto tempo, che sembrava mendicare qualcosa proprio da lui. Clara?
Non gli diceva nulla quel nome: era soltanto una stangona più alta di lui, che indossava un abito elegante. Aveva capelli neri a caschetto e un volto regolare, leggermente truccato ed abbronzato, sul quale risplendevano due occhi veri, infelici ed agitati. Attirava la sua curiosità fanciullesca.
Entrarono nell’appartamento, mentre la sigla finale di un noto telequiz proveniva da una stanza in fondo al corridoio d’ingresso. Clara chiese al suo ospite di aspettarla e scomparve in salotto.
Sullo schermo l’annunciatrice ammiccava, riassumendo i programmi della serata. Un uomo con i capelli brizzolati, di una quarantina d'anni era seduto in poltrona: “Ciao, sei arrivata finalmente?”. Disse, aspirando l’ultima boccata di fumo, prima di spegnere la sigaretta. Indossava una tuta sportiva chiazzata d'unto qua e là.
“Ti preparo qualcosa per cena?” domandò, cortesemente. “Mi sono fatto due panini e una birra, non rompere adesso, c’è la partita. Mangia pure da sola.”
Clara tornò in corridoio, con un risolino soddisfatto sulle labbra.
Non ci furono preliminari. Lo condusse in camera da letto e si liberò del vestito, lasciandolo cadere sulla moquette, mentre il barbone la guardava interdetto, piantato in mezzo alla stanza, con le braccia inerti, distese lungo i fianchi e la schiena curva. Era leggermente frastornato, ma capì cosa stava succedendo. Lei si sdraiò e divaricò le gambe, offrendogli licenziosamente la gemma. Il vecchio amico di gioventù, Toni Sabbia, valutò attentamente la lusinga. L’unica cosa che lo disturbava era quella puzza di Chanel n°5, che mal si adattava al naturale profumo del suo pellegrinare, ma aveva voglia di fare l’amore. Erano un secolo che non posava le sue manacce nere sul corpo di una femmina. Si tolse solo il cappotto troppo grande, d’almeno una taglia in più, sostando per decenza nei vestiti luridi. Clara gli aprì la patta dei calzoni sdruciti e liberò il giocoliere inturgidito, giostrandoselo fra le mani. Le lunghe dita affusolate, armeggiarono per qualche istante con un preservativo, poi la sua bocca avida di calore umano conquistò il compenso. Le labbra, cariche d’impudenza, si entusiasmarono e la lingua guizzò per vederlo zampillare … Toni si ritrasse appena in tempo, la prese e la girò carponi, ginocchia e mani poggiate sul letto, poi le divaricò le cosce. Sul fondo schiena, appena sopra l'attaccatura dei glutei, Clara esibiva un tatuaggio sontuoso: la figura di una creatura celeste dalle grandi ali. L’uomo rimase sorpreso da quell’opera d’arte multicolore, ed ammirandola… la penetrò, per poi muoversi lentamente in lei. Teneva le mani strette attorno ai fianchi opulenti e gli occhi puntati sull'angelo, che sembrava scuotere le ali, al ritmo imposto dal cigolio del letto. Non fu un rapido svago; nonostante la lunga astinenza, Toni Sabbia sapeva ancora aspettare. Mezz’ora dopo l’estasi li colse.
Clara tornò in salotto; suo marito stringeva nella mano destra un bicchiere di whisky. La partita di calcio esitava, sul pareggio, ma il loro matrimonio non era più a reti inviolate. Mancavano due minuti alla fine del primo tempo.
La povera donna sedette accanto al marito, ma sentiva un’ansia intrisa di rabbia: Toni se n’era andato senza darle un bacio, senza prometterle nulla, l’aveva trattata come un’estranea, come una prostituta qualunque, che accettava anche la sodomia pur di soddisfare i suoi clienti. L’aveva abbracciata e si era congedato stringendole le natiche far le mani! Lei che era stata così buona, caritatevole, l’aveva accolto nel suo letto e persino ringraziato, regalandogli cento euro… ormai era un caso disperato! Toni si era rovinato per Anna la crudele! Viveva ancora per quell’irresponsabile, che l’aveva abbandonato scomparendo nel nulla, lasciandogli in eredità il grande appartamento dove si erano amati, una casa vuota, sbarrata, zeppa di mobili polverosi e di silenzio, che Toni si era rifiutato di abitare dopo la fuga della sua amata. Era stata una vigliacca generosa, ripagando l’amore con una cambiale falsa: forse per vendicarsi inconsciamente di un padre padrone, forse per liberare Toni di un peso o per farlo sentire colpevole, per spingerlo al suicidio o alla follia. E c’era riuscita. In fondo a che cosa servivano tante domande? Era semplicemente così. Molte vite si rompono come bicchieri, l'uno contro l'altro, senza che alcuno abbia potuto leggervi la marca di fabbrica, o indovinare chi verrà a raccoglierne i cocci.
Averlo incontrato casualmente, averlo posseduto intenzionalmente, per gioco, per vendetta, perché gli piaceva fin da ragazza… non poteva bastare. Doveva ritrovarlo, per parlare, per capire, per aiutarlo… non l’aveva fatto prima, quando Toni aveva rifiutato la donazione d’Anna, davanti a suo marito, lo stimato notaio Franco Pizzi, che si era addormentato in poltrona e russava, mentre l’Italia segnava il primo goal.
Corso Palermo era deserto. Toni Sabbia riprese il suo cammino, ripensando al tatuaggio che raffigurava una figura alata sulla schiena di quella donna, come si chiamava? Chiara? Carla? Carmen? In ogni caso aveva un sedere succulento, tutto subito stretto, ma ben presto accogliente; ripensandoci si trovò d’accordo con quanto avevano sostenuto quelli che da ragazzi erano stati con lei. Camminava, barcollando, quasi che la forza di gravità, in combutta con la stanchezza per l’inatteso match erotico, volesse attirarlo verso l’asfalto. Avrebbe voluto farsi tatuare un disegno come quello, battezzandolo… l’angelo dell’angelo viaggiatore, ma chissà se Anna avrebbe approvato? Doveva chiederglielo. Doveva trovarla! Avrebbe camminato ancora un po’, per il quartiere: poteva passare la notte sul prato di Piazza Respighi, sotto il pino dove giocava da bambino, che lo aveva visto crescere. Tornava a casa tardi, quella sera, Toni Sabbia, fiero d’essere ancora un apprezzato amante, ma giurò a se stesso di non dire niente ad Anna. Aveva un po’ di sensi di colpa e lei… poteva ricomparire nella sua vita all’improvviso, tornare da lui, ma certo che sarebbe tornata! No, non le avrebbe parlato di quell’avventura con Chiara, Carla o come caspita si chiamava…
Lo pedinò, faticando molto a stargli dietro; non era abituata a camminare così lentamente, troppo lentamente. Toni Sabbia continuava a farfugliare, barcollò, si appoggiò alla palina di un divieto di sosta. Accarezzò lievemente l’asta fredda e rise, rise forte, come un bambino divertito da un giocattolo bizzarro. L’agguantò e iniziò a girare in tondo, sempre più velocemente.
Lo spettacolo acrobatico non era per loro, ma all’ingresso del caffé Rio Negro i periferici gli lanciarono occhiate di condanna. Nicchiavano, i perditempo domenicali, pronti a dargli quattro calci nello stomaco. C’erano operai con boccali di birra in mano, tifosi juventini, ornati di sciarpe e cappellini, coatti feroci, con giubbotti di pelle nera e stecche di biliardo in mano, ragazzine in minigonna che masticavano gomme americane recitando la parte di pupa del gangster. Gli spacciatori calabresi, vestiti con eleganza cafonesca, affondavano le braccia in tasca sino ai gomiti, stropicciando nervosamente le banconote dell’ultimo pizzo. Facce dure, ottuse, arroganti, vanitose, tristi.
Aspettavano di infierire sul più debole, ridendo furbi sotto i baffi. Trattenevano le ghignate animalesche, le frasi sconce, gli insulti scontati, per la fine dello spettacolo, sperando che al termine di quella giravolta, Toni Sabbia stramazzasse al suolo. Erano certi che il ventre molle del barbone fosse zeppo di birra. Prese coraggio e fermò l’uomo. Lui la guardò stupito, ondeggiando, con due occhi innocenti come l’alba. Clara lo prese sotto braccio, si fece largo tra i caini dei suburbi e superarono l’ingresso del bar.
Eh sì, Toni Sabbia puzzava come una capra, ma non aveva toccato un goccio d’alcol, quell’ubriachezza era causata da una sostanza tossica ben più potente e distruttiva: l’odio del mondo. Prima di decidersi a seguirla l’aveva osservata, cercando di ricordare chi era quella ragazza che diceva di conoscerlo da tanto tempo, che sembrava mendicare qualcosa proprio da lui. Clara?
Non gli diceva nulla quel nome: era soltanto una stangona più alta di lui, che indossava un abito elegante. Aveva capelli neri a caschetto e un volto regolare, leggermente truccato ed abbronzato, sul quale risplendevano due occhi veri, infelici ed agitati. Attirava la sua curiosità fanciullesca.
Entrarono nell’appartamento, mentre la sigla finale di un noto telequiz proveniva da una stanza in fondo al corridoio d’ingresso. Clara chiese al suo ospite di aspettarla e scomparve in salotto.
Sullo schermo l’annunciatrice ammiccava, riassumendo i programmi della serata. Un uomo con i capelli brizzolati, di una quarantina d'anni era seduto in poltrona: “Ciao, sei arrivata finalmente?”. Disse, aspirando l’ultima boccata di fumo, prima di spegnere la sigaretta. Indossava una tuta sportiva chiazzata d'unto qua e là.
“Ti preparo qualcosa per cena?” domandò, cortesemente. “Mi sono fatto due panini e una birra, non rompere adesso, c’è la partita. Mangia pure da sola.”
Clara tornò in corridoio, con un risolino soddisfatto sulle labbra.
Non ci furono preliminari. Lo condusse in camera da letto e si liberò del vestito, lasciandolo cadere sulla moquette, mentre il barbone la guardava interdetto, piantato in mezzo alla stanza, con le braccia inerti, distese lungo i fianchi e la schiena curva. Era leggermente frastornato, ma capì cosa stava succedendo. Lei si sdraiò e divaricò le gambe, offrendogli licenziosamente la gemma. Il vecchio amico di gioventù, Toni Sabbia, valutò attentamente la lusinga. L’unica cosa che lo disturbava era quella puzza di Chanel n°5, che mal si adattava al naturale profumo del suo pellegrinare, ma aveva voglia di fare l’amore. Erano un secolo che non posava le sue manacce nere sul corpo di una femmina. Si tolse solo il cappotto troppo grande, d’almeno una taglia in più, sostando per decenza nei vestiti luridi. Clara gli aprì la patta dei calzoni sdruciti e liberò il giocoliere inturgidito, giostrandoselo fra le mani. Le lunghe dita affusolate, armeggiarono per qualche istante con un preservativo, poi la sua bocca avida di calore umano conquistò il compenso. Le labbra, cariche d’impudenza, si entusiasmarono e la lingua guizzò per vederlo zampillare … Toni si ritrasse appena in tempo, la prese e la girò carponi, ginocchia e mani poggiate sul letto, poi le divaricò le cosce. Sul fondo schiena, appena sopra l'attaccatura dei glutei, Clara esibiva un tatuaggio sontuoso: la figura di una creatura celeste dalle grandi ali. L’uomo rimase sorpreso da quell’opera d’arte multicolore, ed ammirandola… la penetrò, per poi muoversi lentamente in lei. Teneva le mani strette attorno ai fianchi opulenti e gli occhi puntati sull'angelo, che sembrava scuotere le ali, al ritmo imposto dal cigolio del letto. Non fu un rapido svago; nonostante la lunga astinenza, Toni Sabbia sapeva ancora aspettare. Mezz’ora dopo l’estasi li colse.
Clara tornò in salotto; suo marito stringeva nella mano destra un bicchiere di whisky. La partita di calcio esitava, sul pareggio, ma il loro matrimonio non era più a reti inviolate. Mancavano due minuti alla fine del primo tempo.
La povera donna sedette accanto al marito, ma sentiva un’ansia intrisa di rabbia: Toni se n’era andato senza darle un bacio, senza prometterle nulla, l’aveva trattata come un’estranea, come una prostituta qualunque, che accettava anche la sodomia pur di soddisfare i suoi clienti. L’aveva abbracciata e si era congedato stringendole le natiche far le mani! Lei che era stata così buona, caritatevole, l’aveva accolto nel suo letto e persino ringraziato, regalandogli cento euro… ormai era un caso disperato! Toni si era rovinato per Anna la crudele! Viveva ancora per quell’irresponsabile, che l’aveva abbandonato scomparendo nel nulla, lasciandogli in eredità il grande appartamento dove si erano amati, una casa vuota, sbarrata, zeppa di mobili polverosi e di silenzio, che Toni si era rifiutato di abitare dopo la fuga della sua amata. Era stata una vigliacca generosa, ripagando l’amore con una cambiale falsa: forse per vendicarsi inconsciamente di un padre padrone, forse per liberare Toni di un peso o per farlo sentire colpevole, per spingerlo al suicidio o alla follia. E c’era riuscita. In fondo a che cosa servivano tante domande? Era semplicemente così. Molte vite si rompono come bicchieri, l'uno contro l'altro, senza che alcuno abbia potuto leggervi la marca di fabbrica, o indovinare chi verrà a raccoglierne i cocci.
Averlo incontrato casualmente, averlo posseduto intenzionalmente, per gioco, per vendetta, perché gli piaceva fin da ragazza… non poteva bastare. Doveva ritrovarlo, per parlare, per capire, per aiutarlo… non l’aveva fatto prima, quando Toni aveva rifiutato la donazione d’Anna, davanti a suo marito, lo stimato notaio Franco Pizzi, che si era addormentato in poltrona e russava, mentre l’Italia segnava il primo goal.
Corso Palermo era deserto. Toni Sabbia riprese il suo cammino, ripensando al tatuaggio che raffigurava una figura alata sulla schiena di quella donna, come si chiamava? Chiara? Carla? Carmen? In ogni caso aveva un sedere succulento, tutto subito stretto, ma ben presto accogliente; ripensandoci si trovò d’accordo con quanto avevano sostenuto quelli che da ragazzi erano stati con lei. Camminava, barcollando, quasi che la forza di gravità, in combutta con la stanchezza per l’inatteso match erotico, volesse attirarlo verso l’asfalto. Avrebbe voluto farsi tatuare un disegno come quello, battezzandolo… l’angelo dell’angelo viaggiatore, ma chissà se Anna avrebbe approvato? Doveva chiederglielo. Doveva trovarla! Avrebbe camminato ancora un po’, per il quartiere: poteva passare la notte sul prato di Piazza Respighi, sotto il pino dove giocava da bambino, che lo aveva visto crescere. Tornava a casa tardi, quella sera, Toni Sabbia, fiero d’essere ancora un apprezzato amante, ma giurò a se stesso di non dire niente ad Anna. Aveva un po’ di sensi di colpa e lei… poteva ricomparire nella sua vita all’improvviso, tornare da lui, ma certo che sarebbe tornata! No, non le avrebbe parlato di quell’avventura con Chiara, Carla o come caspita si chiamava…