NAZIMAOISTA DAI CAPELLI ROSSI
(A Danilo Rossi)
A Torino, la piola di Via Leinì, era uno dei posti preferiti dai compagni della Barriera di Milano per discutere di politica, prendersi a cazzotti, bere due o tre litri di Barbera o di birra a testa, giocare a scacchi, braccio di ferro e scopa. Arrivarono tutti, alla spicciolata. Partigiani cinquantenni del PCI, anarchici, qualche socialista e i preziosi Bordighisti, come Valter, razza in via d’estinzione. Il loro fondatore, Pietro Bordiga, fu buttato fuori dal PSI attorno al 1920 per estremismo e dissenso dalla linea dell’Internazionale Socialista. |
Emergevano per originalità anche Silvestro, detto Gatto Maldestro, l’unico trotzkista della IV Internazionale e il maoista… Danilo Rossi. Tema della serata fargli un culo pazzesco se avesse osato comparire. E fra breve se ne capirà il motivo.
Era il Danilo un personaggio eccentrico. Altissimo, segaligno, iscritto a Giurisprudenza. Non proprio simpatico, per quel suo fare supponente, polemico, provocatorio. Lo si era accettato, perché sapeva a memoria il Libro delle Guardie Rosse, citava Lenin e Marx fedelmente, indossava sempre un fiero eskimo verde con il distintivo di Mao, non si perdeva un corteo ed era un ladro abilissimo.
Riusciva a nascondere ben tre libri per volta in una sola caccia in libreria. Viveva al nono piano di una bella casa in largo Mercadante, famiglia di impiegati non certo ricca. Eppure aveva sempre le tasche piene di soldi: fumava sigarette inglesi king size, offriva fitte consumazioni, prestava la sùffia alle coppie in smanie da anatomia comparata. Più che una soffitta una bella mansardina affittata ad un prezzo di favore in Via Cristoforo Colombo, zona Crocetta. Quartiere residenziale, zeppo di ricchi borghesi, professionisti, politici, commercianti, liberali, democristiani e fascisti. Decisamente sospetto. Chi lo foraggiava? Tutti sospettavano abilità illecite nel Danilo, ma erano malignità. Per capire occorre tornare indietro nella storia di qualche ora.
Quel venerdì mattino scioperava il Movimento Studentesco, affiancato da altre organizzazioni quali Collettivo Lenin, Lotta Continua, Potere Operaio, Movimento Politico dei Lavoratori, Partito Comunista d’Italia Marxista Leninista, Anarchici. Il lungo corteo, almeno trentamila persone, aveva sfilato minaccioso, compatto, esaltato. All’Università varie assemblee avrebbero affrontato i temi: strage di stato e repressione poliziesca, saldatura col movimento operaio, critica ai partiti della sinistra riformista, antifascismo militante, guerra all’imperialismo. Pier Guido e Carlo entrarono nell’Aula Magna al piano terreno, facendosi largo in una folla di ragazzi e ragazze abbigliati nei modi più strani, molte le facce oscurate: passamontagna, foulard della mamma, maschere antigas dello zio pompiere. In mano: aste di diametro non indispensabile a sostenere le bandiere, scudi ricavati da avanzi di plastica, belle fionde artigianali, intagliate la domenica nei boschi. Nei tascapani militari… libri, panini, sigarette, tira pugni, coltelli, biglie di ferro, pietre, cubetti di porfido, chiavi inglesi, martelli e rarissime pistole.
Riuscirono a trovare due posti liberi sugli scranni più alti. Pier Guido riaccese un mozzicone abbastanza lungo di Alfa, Carlo mise in moto la pipa per l’ennesima volta. Un buon profumo di tabacco aromatizzato all’arancia li avvolse. Il casino impregnava ogni cosa, ma se lo ascoltavi bene potevi distinguere i cori lontani del fondo del corteo, che stava entrando solo allora a Palazzo Nuovo. Più vicino, ma ovattato, il vociare dei manifestati nel corridoio esterno, sul quale si ergeva il gracidare dei megafoni… e continuava a entrare gente, gente, gente… al di grido di “Padrone l’Indocina ce l’hai in officina!”, “La lotta di classe è l’arma delle masse!”, “Sindaco Porcellana, figlio di Puttana!”
Un testa di capelli rossi, lunghi, ricci, sopra un’elegante giacca di tweed, si sedette davanti a loro, coprendo definitivamente la visuale della cattedra, dove si sarebbero succeduti gli interventi. Era l’occasione giusta per attaccar bottone. Carlo iniziò a soffiarle graziosamente il fumo sulla testa, ma quando lei si vide avvolgere dal miasma, fu come se le avessero dato una mazzata. Si girò di scatto e disse senza complimenti: “Sei stato tu, brutto maiale?!” Carlo assentì, con un sorrisetto provocatorio.
“Ma va’ fan culo, che ieri sono stata dal coiffeur, stronzo!”
Mai sentita una frase simile durante un’assemblea rivoluzionaria. Non per le parolacce, ma per… il coiffeur. Quella arrivava da qualche villa della collina, sicuramente, ma cosa ci faceva a Palazzo Nuovo? Era proprio una bella ragazza, i capelli rossi ricciuti, gli occhi verdi e una grinta insolita per una femmina. Ancora lontana dall’avere un corpo di donna: seni piccoli, gambe lunghe e un sederino opulento, avvolto da un paio di pantaloni stretti di velluto, svasati sul fondo.
“Per una donna non è importante quanti la ammirano, ma quanti la capiscono” disse Carlo a voce alta, citando il suo autore preferito.
La ragazza si girò lentamente, sbatté le palpebre, accomodò beatamente il gomito sul bordo del lungo bancone, poggio il mento sulla mano e sospirò come una diva: “Chi l’ha detto, Marylin Monroe?”
“No, Rosa Luxemburg.”
“Non so chi sia, che film ha fatto?”
“Per forza, scommetto che stai con uno dell’MSI!”
“Che noia, usate sempre sta politica per agganciare le ragazze. A me quelli dell’MSI non mi placano, sono troppo teneri. Oggi sono venuta al corteo per curiosità, volevo vedere quanto siete incazzati voi comunisti. Guarda, per contraccambiare, vi invito a una riunione di qualità, altro che questa pagliacciata. Se avete fegato… oggi alle tre”, concluse.
Si incontrarono davanti ad un portone di Piazza Solferino. Liliana li stava aspettando, entusiasta di farli assistere ad una riunione dei suoi amici di Europa Civiltà: canti nazisti, litanie al Nuovo Ordine Europeo sotto il comando di un Duce Universale, esercito forte, in funzione antiamericana e anticomunista. Poi avrebbero letto qualche pagina di Julius Evola sulla tradizione mistica romana, celtica e teutonica. Sarebbe seguito una lezione sul decadimento dei costumi. Infine interrogazione su L’Ineguaglianza delle Razze Umane di De Gobineau. Quel giorno niente lezioni di arti marziali, uso delle armi e tecniche di contro guerriglia. La riunione era aperta agli esterni, simpatizzanti.
Erano dei bravi ragazzi, molti figli di papà, ex parà, ex Legione Straniera, che sapevano menar le mani Ed accettavano di farsi strumentalizzare dai servizi segreti, previo lauto stipendio… in nero, ovviamente. Li chiamavano nazi-maoisti, perché si presentavano alle assemblee del Movimento Studentesco gridando slogan tipo "Hitler e Mao uniti nella lotta" e "Viva la dittatura fascista del proletariato", provocando scontri gratuiti con la polizia.
“Cosa aspettiamo ad entrare”, disse Carlo.
“Deve arrivare ancora un camerata, è in ritardo, come al solito.”
Pier Guido se la faceva sotto, non si fidava di Liliana, anche se aveva giurato su Hitler di non rivelare la loro identità marxista. Secondo lui stavano per mettersi in trappola, ma era troppo curioso per rifiutare l’invito. Nonostante la diversità, i tre ragazzi sembravano vecchi amici, se la contavano e ridevano. La risata si trasformò in ghiaccio, quando videro arrivare il tanto atteso camerata… Danilo Rossi, in un perfetto gessato nero, con camicia azzurra e cravatta regimental.
Arcano svelato: all’eskimo alternava doppio petto e tuta mimetica. Non doveva succedere! Galeotta fu la curiosità e l’orientamento situazionista di Carlo e Pier Guido.
La strategia eversiva della collaborazione fra fascisti e istituzioni aveva assunto contorni reali. La tattica era ed è sempre la stessa: una volta infiltrati… i fascisti iniziano il doppio gioco. Svolgono il ruolo di provocatori, - proponendo attentati e cercando di causare scontri con la polizia - e di informatori, a favore dei camerati rimasti all'esterno, della polizia e dei media di destra.
Come quelli di Lotta di Popolo a Roma, che rilasciavano numerosi comunicati stampa, infarciti di una fraseologia pseudo rivoluzionaria, qualunquistica e provocatoria. Criticavano il Movimento Studentesco i sindacati e i partiti revisionisti e condannavano l'aggressione israeliana in Medio Oriente in termini razzisti e antiebraici.
Furono Pier Guido e Carlo a demolire un pezzettino di cospirazione, smascherando per caso il povero Danilo. Da quel giorno il nazi-maoista cercò di non farsi notare troppo in Barriera di Milano. Era il 1971, un anno impegnativo nello scontro fra stato, padroni e proletaria, ma stranamente pareva già il 1972, mentre le mamme di mezza Italia si stavano arrovellando sull’antico dilemma, - Hurrà Saiwa. Da oggi a merenda si cambia! -
Il giorno dopo, il povero Pier Guido riceveva il terzo cordialissimo nooo! da una spiacentissima ma piacentissima ragazza della sua classe, che non desiderava essere accompagnata alla fermata del bus. Maria Mellone, piccolina, graziosa, proporzionata, bel culetto, tettine che puntavano al cielo dietro alla maglietta attillata rossa, capelli lunghi neri, viso pallido, di porcellana, occhi neri a mandorla. Una geisha di Mirafiori.
Il ragazzo pensò che fosse arrivato il momento di fare qualcosa. Decise che da quel momento, pur ammirando le Guardie Rosse e Che Guevara, sarebbe andato a scuola in mimetica pop, vestito e pettinato da Mal dei Primitives.
Era il Danilo un personaggio eccentrico. Altissimo, segaligno, iscritto a Giurisprudenza. Non proprio simpatico, per quel suo fare supponente, polemico, provocatorio. Lo si era accettato, perché sapeva a memoria il Libro delle Guardie Rosse, citava Lenin e Marx fedelmente, indossava sempre un fiero eskimo verde con il distintivo di Mao, non si perdeva un corteo ed era un ladro abilissimo.
Riusciva a nascondere ben tre libri per volta in una sola caccia in libreria. Viveva al nono piano di una bella casa in largo Mercadante, famiglia di impiegati non certo ricca. Eppure aveva sempre le tasche piene di soldi: fumava sigarette inglesi king size, offriva fitte consumazioni, prestava la sùffia alle coppie in smanie da anatomia comparata. Più che una soffitta una bella mansardina affittata ad un prezzo di favore in Via Cristoforo Colombo, zona Crocetta. Quartiere residenziale, zeppo di ricchi borghesi, professionisti, politici, commercianti, liberali, democristiani e fascisti. Decisamente sospetto. Chi lo foraggiava? Tutti sospettavano abilità illecite nel Danilo, ma erano malignità. Per capire occorre tornare indietro nella storia di qualche ora.
Quel venerdì mattino scioperava il Movimento Studentesco, affiancato da altre organizzazioni quali Collettivo Lenin, Lotta Continua, Potere Operaio, Movimento Politico dei Lavoratori, Partito Comunista d’Italia Marxista Leninista, Anarchici. Il lungo corteo, almeno trentamila persone, aveva sfilato minaccioso, compatto, esaltato. All’Università varie assemblee avrebbero affrontato i temi: strage di stato e repressione poliziesca, saldatura col movimento operaio, critica ai partiti della sinistra riformista, antifascismo militante, guerra all’imperialismo. Pier Guido e Carlo entrarono nell’Aula Magna al piano terreno, facendosi largo in una folla di ragazzi e ragazze abbigliati nei modi più strani, molte le facce oscurate: passamontagna, foulard della mamma, maschere antigas dello zio pompiere. In mano: aste di diametro non indispensabile a sostenere le bandiere, scudi ricavati da avanzi di plastica, belle fionde artigianali, intagliate la domenica nei boschi. Nei tascapani militari… libri, panini, sigarette, tira pugni, coltelli, biglie di ferro, pietre, cubetti di porfido, chiavi inglesi, martelli e rarissime pistole.
Riuscirono a trovare due posti liberi sugli scranni più alti. Pier Guido riaccese un mozzicone abbastanza lungo di Alfa, Carlo mise in moto la pipa per l’ennesima volta. Un buon profumo di tabacco aromatizzato all’arancia li avvolse. Il casino impregnava ogni cosa, ma se lo ascoltavi bene potevi distinguere i cori lontani del fondo del corteo, che stava entrando solo allora a Palazzo Nuovo. Più vicino, ma ovattato, il vociare dei manifestati nel corridoio esterno, sul quale si ergeva il gracidare dei megafoni… e continuava a entrare gente, gente, gente… al di grido di “Padrone l’Indocina ce l’hai in officina!”, “La lotta di classe è l’arma delle masse!”, “Sindaco Porcellana, figlio di Puttana!”
Un testa di capelli rossi, lunghi, ricci, sopra un’elegante giacca di tweed, si sedette davanti a loro, coprendo definitivamente la visuale della cattedra, dove si sarebbero succeduti gli interventi. Era l’occasione giusta per attaccar bottone. Carlo iniziò a soffiarle graziosamente il fumo sulla testa, ma quando lei si vide avvolgere dal miasma, fu come se le avessero dato una mazzata. Si girò di scatto e disse senza complimenti: “Sei stato tu, brutto maiale?!” Carlo assentì, con un sorrisetto provocatorio.
“Ma va’ fan culo, che ieri sono stata dal coiffeur, stronzo!”
Mai sentita una frase simile durante un’assemblea rivoluzionaria. Non per le parolacce, ma per… il coiffeur. Quella arrivava da qualche villa della collina, sicuramente, ma cosa ci faceva a Palazzo Nuovo? Era proprio una bella ragazza, i capelli rossi ricciuti, gli occhi verdi e una grinta insolita per una femmina. Ancora lontana dall’avere un corpo di donna: seni piccoli, gambe lunghe e un sederino opulento, avvolto da un paio di pantaloni stretti di velluto, svasati sul fondo.
“Per una donna non è importante quanti la ammirano, ma quanti la capiscono” disse Carlo a voce alta, citando il suo autore preferito.
La ragazza si girò lentamente, sbatté le palpebre, accomodò beatamente il gomito sul bordo del lungo bancone, poggio il mento sulla mano e sospirò come una diva: “Chi l’ha detto, Marylin Monroe?”
“No, Rosa Luxemburg.”
“Non so chi sia, che film ha fatto?”
“Per forza, scommetto che stai con uno dell’MSI!”
“Che noia, usate sempre sta politica per agganciare le ragazze. A me quelli dell’MSI non mi placano, sono troppo teneri. Oggi sono venuta al corteo per curiosità, volevo vedere quanto siete incazzati voi comunisti. Guarda, per contraccambiare, vi invito a una riunione di qualità, altro che questa pagliacciata. Se avete fegato… oggi alle tre”, concluse.
Si incontrarono davanti ad un portone di Piazza Solferino. Liliana li stava aspettando, entusiasta di farli assistere ad una riunione dei suoi amici di Europa Civiltà: canti nazisti, litanie al Nuovo Ordine Europeo sotto il comando di un Duce Universale, esercito forte, in funzione antiamericana e anticomunista. Poi avrebbero letto qualche pagina di Julius Evola sulla tradizione mistica romana, celtica e teutonica. Sarebbe seguito una lezione sul decadimento dei costumi. Infine interrogazione su L’Ineguaglianza delle Razze Umane di De Gobineau. Quel giorno niente lezioni di arti marziali, uso delle armi e tecniche di contro guerriglia. La riunione era aperta agli esterni, simpatizzanti.
Erano dei bravi ragazzi, molti figli di papà, ex parà, ex Legione Straniera, che sapevano menar le mani Ed accettavano di farsi strumentalizzare dai servizi segreti, previo lauto stipendio… in nero, ovviamente. Li chiamavano nazi-maoisti, perché si presentavano alle assemblee del Movimento Studentesco gridando slogan tipo "Hitler e Mao uniti nella lotta" e "Viva la dittatura fascista del proletariato", provocando scontri gratuiti con la polizia.
“Cosa aspettiamo ad entrare”, disse Carlo.
“Deve arrivare ancora un camerata, è in ritardo, come al solito.”
Pier Guido se la faceva sotto, non si fidava di Liliana, anche se aveva giurato su Hitler di non rivelare la loro identità marxista. Secondo lui stavano per mettersi in trappola, ma era troppo curioso per rifiutare l’invito. Nonostante la diversità, i tre ragazzi sembravano vecchi amici, se la contavano e ridevano. La risata si trasformò in ghiaccio, quando videro arrivare il tanto atteso camerata… Danilo Rossi, in un perfetto gessato nero, con camicia azzurra e cravatta regimental.
Arcano svelato: all’eskimo alternava doppio petto e tuta mimetica. Non doveva succedere! Galeotta fu la curiosità e l’orientamento situazionista di Carlo e Pier Guido.
La strategia eversiva della collaborazione fra fascisti e istituzioni aveva assunto contorni reali. La tattica era ed è sempre la stessa: una volta infiltrati… i fascisti iniziano il doppio gioco. Svolgono il ruolo di provocatori, - proponendo attentati e cercando di causare scontri con la polizia - e di informatori, a favore dei camerati rimasti all'esterno, della polizia e dei media di destra.
Come quelli di Lotta di Popolo a Roma, che rilasciavano numerosi comunicati stampa, infarciti di una fraseologia pseudo rivoluzionaria, qualunquistica e provocatoria. Criticavano il Movimento Studentesco i sindacati e i partiti revisionisti e condannavano l'aggressione israeliana in Medio Oriente in termini razzisti e antiebraici.
Furono Pier Guido e Carlo a demolire un pezzettino di cospirazione, smascherando per caso il povero Danilo. Da quel giorno il nazi-maoista cercò di non farsi notare troppo in Barriera di Milano. Era il 1971, un anno impegnativo nello scontro fra stato, padroni e proletaria, ma stranamente pareva già il 1972, mentre le mamme di mezza Italia si stavano arrovellando sull’antico dilemma, - Hurrà Saiwa. Da oggi a merenda si cambia! -
Il giorno dopo, il povero Pier Guido riceveva il terzo cordialissimo nooo! da una spiacentissima ma piacentissima ragazza della sua classe, che non desiderava essere accompagnata alla fermata del bus. Maria Mellone, piccolina, graziosa, proporzionata, bel culetto, tettine che puntavano al cielo dietro alla maglietta attillata rossa, capelli lunghi neri, viso pallido, di porcellana, occhi neri a mandorla. Una geisha di Mirafiori.
Il ragazzo pensò che fosse arrivato il momento di fare qualcosa. Decise che da quel momento, pur ammirando le Guardie Rosse e Che Guevara, sarebbe andato a scuola in mimetica pop, vestito e pettinato da Mal dei Primitives.