SPAZZATURE D'ITALIA
Racconto di Raffaele Palma
Questo è un accorato appello: è in atto il genocidio di un “piccolo popolo”, i cestini per la raccolta dei rifiuti! Nelle strade, nei viali, nelle piazze di paesi, città e metropoli come Napoli, Torino, Milano, Roma, Genova, i cestelli municipali per depositare i piccoli umili resti sono sempre meno. Li incontri in tristi angoli, dimenticati, solitari, dopo aver percorso tragitti interminabili, chilometri di fatica, sotto il sole bruciante di luglio, o nella gelida nebbia di gennaio. Stiamo qui denunciando una tragica estinzione, dovuta alla costante impossibilità d’alimentarsi. |
I custodi della spazzatura, in fondo, chiedevano null’altro che sopravvivere di rifiuti, proprio come l’ormai dilagante massa di poveri, ammalati, disoccupati, pensionati, ribelli, emigrati, addetti ai call center, tifosi e turisti.
Una volta sì che erano ben sazi, cestini e italiani, proletari e del ceto medio: mangiavano roba genuina, facevano un buon lavoro, e in coscienza erano consapevoli di contribuire ad una florida crescita sociale. Non ci sono più i connazionali e i cestini dei rifiuti dei tempi di Pertini!
Il male oscuro, dove tutto è respinto e vomitato, non sapevano neppure cosa fosse. Erano oberati di quotidiani (che raccontavano qualche verità), riviste settimanali e mensili, volantini sindacali, mozioni di protesta, qualche raro libro abbandonato… non dovevano vergognarsi come oggi, pieni zeppi di carte oleate, contenitori dei sushi bar sudici, pizze mal masticate, cacche di cane, siringhe insanguinate, preservativi usati, mozziconi accesi, resti di hamburger velenosi, gelati colanti e terrificanti cocci di bottiglie d’alcolici.
Tanto, tanto tempo fa, (ahimé) fuori da teatri, cinema, librerie, biblioteche, musei, sale per concerti, circoli culturali… i piccoli contenitori della spazzatura trangugiavano chili e chili di biglietti d’ingresso, locandine, programmi di sala, scontrini d’acquisto di volumi d’arte, stampe, cataloghi, cartoline-inviti per le inaugurazioni, poster omaggio!
A quei tempi “girava l’orgoglio” tra i cestini dei rifiuti e gli italiani, erano entrambi consapevoli di appartenere a una società che voleva capire, si informava e aveva fame di giustizia, cultura, confronto, un popolo che voleva accrescere coscienza e spirito con amorevole cura. Era attenta, la selezione degli alimenti necessari ad un sano e differenziato sviluppo civico, critico, partecipativo, psicologico.
Ora ai cestini del Bel Paese, di bello non gli resta che ridere amaramente: avanza l’orda becera, che venera megastore village, fast e slow food, ipermarket, take away d’ogni cucina mondiale, fashion self service, finte trattorie tipiche, bar da apericena, dove ci si abboffa esclusivamente di grassa ignoranza, maleducazione e vuoti a perdere.
Io recito un grato e sentito “De Profundis” a tutti i nobili cestini pubblici che mi hanno viziato e accompagnato nel corso della vita, senza dimenticare, infine, i miseri rifiuti prodotti da politici, calciatori, cantanti, attori, giornalisti, industriali, nobildonne anoressiche e troie d’alto bordo, buttati in mare al largo, da yacht e gommoni, come profughi qualunque, senza considerare la possibilità di poterli ficcare nel cestino di una motonave di salvataggio. Rifiuti annegati nell’oceano del non senso.
Io, che ero anarchico, oggi rimpiango e ringrazio i cestini di Giuseppe Saragat e Alcide De Gasperi. Che assurdità, eppure meglio loro che la canea di obesi ventri corrotti che ammorba ogni aria.
Così, i raccoglitori già precari, e i precari che nessuno vuol più r-accogliere, già così deboli e smagriti, rovinati dal neo liberismo assassino, soccomberanno insieme: chi tenterà di resistere sarà licenziato, rimosso, espiantato, disarticolato, decapitato, ridicolizzato, o forse… bruciato in moderni termovalorizzatori, sempre che non decida di farlo da se, con un libero atto d’eutanasia. Disgraziati e cestini, saranno accomunati da un amaro destino, che neppure concederà loro un campo di concentramento.
Una fine igienicamente corretta, però, raffinata ed asettica: stecchiti, arsi, incapaci di emanare un grido di dolore e un filo di puzzo. Scelta obbligata, in fondo, piuttosto che essere tenuti in vita da un’alimentazione coatta e inadeguata, consapevoli di non servire più a un’Italia che un tempo fu anche una repubblica fondata sul lavoro.
Una volta sì che erano ben sazi, cestini e italiani, proletari e del ceto medio: mangiavano roba genuina, facevano un buon lavoro, e in coscienza erano consapevoli di contribuire ad una florida crescita sociale. Non ci sono più i connazionali e i cestini dei rifiuti dei tempi di Pertini!
Il male oscuro, dove tutto è respinto e vomitato, non sapevano neppure cosa fosse. Erano oberati di quotidiani (che raccontavano qualche verità), riviste settimanali e mensili, volantini sindacali, mozioni di protesta, qualche raro libro abbandonato… non dovevano vergognarsi come oggi, pieni zeppi di carte oleate, contenitori dei sushi bar sudici, pizze mal masticate, cacche di cane, siringhe insanguinate, preservativi usati, mozziconi accesi, resti di hamburger velenosi, gelati colanti e terrificanti cocci di bottiglie d’alcolici.
Tanto, tanto tempo fa, (ahimé) fuori da teatri, cinema, librerie, biblioteche, musei, sale per concerti, circoli culturali… i piccoli contenitori della spazzatura trangugiavano chili e chili di biglietti d’ingresso, locandine, programmi di sala, scontrini d’acquisto di volumi d’arte, stampe, cataloghi, cartoline-inviti per le inaugurazioni, poster omaggio!
A quei tempi “girava l’orgoglio” tra i cestini dei rifiuti e gli italiani, erano entrambi consapevoli di appartenere a una società che voleva capire, si informava e aveva fame di giustizia, cultura, confronto, un popolo che voleva accrescere coscienza e spirito con amorevole cura. Era attenta, la selezione degli alimenti necessari ad un sano e differenziato sviluppo civico, critico, partecipativo, psicologico.
Ora ai cestini del Bel Paese, di bello non gli resta che ridere amaramente: avanza l’orda becera, che venera megastore village, fast e slow food, ipermarket, take away d’ogni cucina mondiale, fashion self service, finte trattorie tipiche, bar da apericena, dove ci si abboffa esclusivamente di grassa ignoranza, maleducazione e vuoti a perdere.
Io recito un grato e sentito “De Profundis” a tutti i nobili cestini pubblici che mi hanno viziato e accompagnato nel corso della vita, senza dimenticare, infine, i miseri rifiuti prodotti da politici, calciatori, cantanti, attori, giornalisti, industriali, nobildonne anoressiche e troie d’alto bordo, buttati in mare al largo, da yacht e gommoni, come profughi qualunque, senza considerare la possibilità di poterli ficcare nel cestino di una motonave di salvataggio. Rifiuti annegati nell’oceano del non senso.
Io, che ero anarchico, oggi rimpiango e ringrazio i cestini di Giuseppe Saragat e Alcide De Gasperi. Che assurdità, eppure meglio loro che la canea di obesi ventri corrotti che ammorba ogni aria.
Così, i raccoglitori già precari, e i precari che nessuno vuol più r-accogliere, già così deboli e smagriti, rovinati dal neo liberismo assassino, soccomberanno insieme: chi tenterà di resistere sarà licenziato, rimosso, espiantato, disarticolato, decapitato, ridicolizzato, o forse… bruciato in moderni termovalorizzatori, sempre che non decida di farlo da se, con un libero atto d’eutanasia. Disgraziati e cestini, saranno accomunati da un amaro destino, che neppure concederà loro un campo di concentramento.
Una fine igienicamente corretta, però, raffinata ed asettica: stecchiti, arsi, incapaci di emanare un grido di dolore e un filo di puzzo. Scelta obbligata, in fondo, piuttosto che essere tenuti in vita da un’alimentazione coatta e inadeguata, consapevoli di non servire più a un’Italia che un tempo fu anche una repubblica fondata sul lavoro.