Capodanno Metafisico
In centro città, l’antico ristorante si riempì di degenerazione.
Il pavimento appiccicoso, i coriandoli colorati, i botti assordanti. Le coppie s’appartavano in angoli bui, scagliate dalla forza centrifuga, la pista si riempiva di vuoti, “lode all’Inviolato”. La gente vorticò sul proprio asse, ed evaporò, lasciando il cosmo coperto di schifosi avanzi. Ubriaco e solo, Carlo corse al gabinetto per svuotare la vescica. “La tazza è più erotica di una donna in carriera”, pensò, indeciso se masturbarsi o fare pipì. “Ma l’Universo segue il suo corso e anche questo gabinetto sarà distrutto dal tramonto spietato degli atomi, quando tutto si disperderà nel vuoto assoluto.” |
Quando uscì dalla stretta porcilaia, avvertì il bisogno di sbattere la testa disgregata sotto l’acqua, per ritrovare una parvenza di lucidità. Aprì il rubinetto e lasciò che il getto gli bagnasse i capelli, infradiciandoli. Si strofinò il viso con forza per restaurarlo, usando le mani come due fogli di carta vetrata numero quattro, poi sollevò lo sguardo e la vide nello specchio.
“Salve ”, disse la donna, con uno spiccato accento tedesco.
Improvvisamente la realtà riportava in vita il razzista che viveva in Carlo. “Lei è tedesca?”
“No, essere svizzera, in Torino per lavoro. Lei essere romano?”
Il razzismo era ricambiato. “No, torinese, anche se la mia pelle è scura, ci siamo già visti?”, disse l’uomo barcollando, tra i vapori della sbronza.
“Ya, lei seduto di fronte mio tavolo.”
“Incredibile, com'è nebbioso e luminoso il mondo dopo tre bottiglie di vino.”
“Perché mi avere corteggiato con occhi tutta sera e osare invitarmi ballare? Essere sconveniente, sì dire così, giusto?”
Eccola lì: angelo elvetico biondo da combattimento, volto dolce e volpino, carattere dagli spigoli regolari, corpo dai tratti leggermente ossuti. La donna dei suoi sogni.
Trascorse un attimo, lungo come l'eternità in una camera a gas, rotto da alcuni conati dei condannati nella baracche, cioè, nei gabinetti. La sua bocca ben disegnata, ma nervosetta, pareva una stella alpina inquieta, spuntata su una pista da sci della Valle di Susa invasa dagli attivisti No Tav.
Questa volta fu lei a trivellarlo con gli occhi, incurante della sua fragilità: lo aveva proprio notato: “Lei piacere tango?”
“Moltissimo”, sintetizzò Carlo.
“Bene, prima non avere potuto dimenare pene … scusare mio italiano…” gli porse una chiave con un numero, “…in hotel fra un’ora che farci una bella milonga. Mio marito ripartire subito per Locarno.”
“Con piacere signora. Permetta che mi presenti…” disse, affrettandosi a riporre la chiave in tasca.
“Io Ingrid, e ricambiare presto piacere.”
Uscì dalla toilette rasserenata ma urtò con violenza un genovese di passaggio, che la apostrofò: “Belàan, facia de löego, guarda dove vai!” Tradotto in italiano verrebbe da dire: - Ehi, faccia da luogo, guarda dove vai! Un espressione un po’ ermetica, per chi non sa che a Genova il luogo è il gabinetto o meglio il cesso… lercio, fetido e stomachevole, con la tazza sporca, incrostata, traboccante d’acqua ripugnante.
Davanti all’ingresso dell’hotel, Ingrid congedò il marito con la più sfacciata facia de löego. Lui, ignaro del peso che ben avrebbe portato sulla testa, salì sulla limousine piastrellata d’oro e partì, affidandosi ad un autista azzimato.
Giunta in camera l’uomaiola fece qualche piegamento sulle ginocchia e raggiunse la sua poltrona preferita, rimandando la doccia di qualche minuto. “Quel meridionale m’incuriosire”, pensò.
“Io volere sapere tutto di lui, anche i più intimi segreti: taglia, numero scarpe, presenza cicatrici, tatuaggi, protesi, denti d'oro, tempo reazione al solletico, dentifricio, disinfettanti e profilattici preferiti.” Sorrise. Chiamò la reception: “Volere colazione in camera per due, fra un'ora esatta!”
“Madame, sono le tre del mattino”, straripò dall’interfono il portiere di notte, un po’ turbato.
“Non chiedere suo parere: desiderare mangiare con calma. E mi mandare il lift, per commissione urgente”, disse, emettendo una traccia d’edelweiss e lisoformio.
Interrogando in profondità la sua anima che lo stava portando in un ennesimo paradiso di lussuria, Carlo capì che Cupido aveva scagliato le solite frecce che prima penetrano nel cuore dolcemente, poi lo fanno sanguinare da bastardi. “Proprio di una locarnese dovevo innamorarmi?! Ma è incantevole, misteriosa, intrigante, probabilmente non è svizzera, forse è nata a Verbania ed ha una zia a Varallo Sesia. E poi, via, cosa importa, anche se è svizzera nessuno è perfetto, ciò che conta è che s’innamori anche lei.”
Da un gabinetto fermamente informale, era passato ad un’esclusiva lounge, veramente da Principi di Piemonte. Si avvicinò alla reception chiedendo della signora con discrezione. Il portiere disse semplicemente: “L’attende, Suite 00, dodicesimo piano.”
Per salire non prese l’ascensore, che oltre a tutto era fermo proprio al dodicesimo e non dava cenno di sbloccarsi. Completò le scale con affanno. La speranza trepidava ma senza esibirsi troppo. Bussò alla porta, tre leggeri tocchi. Niente. Ribussò con forza. Aprì il ragazzo dell’ascensore, intento a tirarsi su la cerniera dei calzoni. “Sei arrivato? Meno male, con quei denti aguzzi… ho sempre paura che scatti come una tagliola” Scomparve in un lampo.
Molto strano. Carlo restò immobile sulla soglia, con la bottiglia di champagne in mano. Entrò sospettando. Il bagno vibrava di un promettente scrosciare d'acqua. Posò la bottiglia sul tavolo, notando il letto sfatto e un paio di calzini da uomo. Un particolare inquietante per un’elvetica, il disordine. L'evidenza gli gridava in faccia la verità! E lui non voleva capire.
Comparve un elfo luminoso. Quel viso volpino, segnato dal tempo, era grazioso senza fard. La donna sembrava ancor più bionda dopo la doccia. Calda di tumido vapore, era avvolta in una spumeggiante nuvola di spugna bianca. Guardò Carlo con un’espressione di malizia che fingeva stupore. Iniziò ad accarezzargli le labbra sfiorandole con la punta delle dita... un sospiro infinito, poi gli chiese: "Desidera?"
D'istinto lui rispose: "Si vede?"
Colto da un impeto d’incontenibile passione, Carlo si ritrovò in bocca il pollice della sua mano destra e iniziò a succhiarglielo come un lattante. La passione poppava e lei, lì, evanescente, immersa nella bianca ciniglia, sempre più morbida, pareva un angelo. L’uomo ficcò le mani vogliose nell’accappatoio, poi sbuffò: “Amo il latte fresco!”
Lei protese il petto ignudo e gridò: “Mungere tua mucca!”
Carlo iniziò ad abbeverarsi a quella prodiga fonte di raffinatezza. Si sentiva l’allegro pastore e in lei vedeva la sua pezzata bianca. Esaudii ogni suo desiderio, ogni vezzo, ogni piccola mania, anche quella di cronometrare la durata degli amplessi. Il suo erotismo era quello di un’Heidi golosa, di una Susanna dell’Invernizzina, lei scalò più volte la sua virilità a labbra nude, per raggiungere la vetta e sollecitarla a coprirsi di calda, morbida, panna.
La suite era gelida come una piazza abbandonata, all’alba di lunedì primo gennaio 1996. Dopo una notte di furore carnale, finalmente il silenzio.
Carlo la guardava, addormentata. Avrebbe voluto sussurrarle amore, mescolando il suo fiato lieve, odoroso d’alitosi e spumante, con il di lei russare: come avrebbe potuto competere con un marito bastardo e multimiliardario? L'avrebbe rivista? E quanto gli sarebbero costati i viaggi in Svizzera?
Bussarono alla porta. Ingrid si destò di soprassalto e gracchiò: “Ah, per brunch quanti essere?”
Entrarono in due e lei disse: “Perfetto, tu potere sparire. Andare, andare, meridionale.”
Carlo uscì in mutande con i vestiti indecisi in mano. Il suo ricco amore elvetico era una cassaforte ninfomane, che non si apriva per combinazione. Approfittò del gabinetto di servizio in corridoio per rivestirsi.
“Voglio cambiare vita”, pensò. “Prima cosa eviterò i gabinetti dei locali pubblici, così non scriverò più frasi sconce e numeri telefonici sui muri, e…. lo giuro, non farò più pipì nelle agende dei miei collaboratori distratti, che le dimenticano in ufficio.”
Orione era scomparsa nel buio cielo torinese della notte tramontata, mollemente adagiata sul nulla. Bella e tetra, come il sesso senza amore.
“Salve ”, disse la donna, con uno spiccato accento tedesco.
Improvvisamente la realtà riportava in vita il razzista che viveva in Carlo. “Lei è tedesca?”
“No, essere svizzera, in Torino per lavoro. Lei essere romano?”
Il razzismo era ricambiato. “No, torinese, anche se la mia pelle è scura, ci siamo già visti?”, disse l’uomo barcollando, tra i vapori della sbronza.
“Ya, lei seduto di fronte mio tavolo.”
“Incredibile, com'è nebbioso e luminoso il mondo dopo tre bottiglie di vino.”
“Perché mi avere corteggiato con occhi tutta sera e osare invitarmi ballare? Essere sconveniente, sì dire così, giusto?”
Eccola lì: angelo elvetico biondo da combattimento, volto dolce e volpino, carattere dagli spigoli regolari, corpo dai tratti leggermente ossuti. La donna dei suoi sogni.
Trascorse un attimo, lungo come l'eternità in una camera a gas, rotto da alcuni conati dei condannati nella baracche, cioè, nei gabinetti. La sua bocca ben disegnata, ma nervosetta, pareva una stella alpina inquieta, spuntata su una pista da sci della Valle di Susa invasa dagli attivisti No Tav.
Questa volta fu lei a trivellarlo con gli occhi, incurante della sua fragilità: lo aveva proprio notato: “Lei piacere tango?”
“Moltissimo”, sintetizzò Carlo.
“Bene, prima non avere potuto dimenare pene … scusare mio italiano…” gli porse una chiave con un numero, “…in hotel fra un’ora che farci una bella milonga. Mio marito ripartire subito per Locarno.”
“Con piacere signora. Permetta che mi presenti…” disse, affrettandosi a riporre la chiave in tasca.
“Io Ingrid, e ricambiare presto piacere.”
Uscì dalla toilette rasserenata ma urtò con violenza un genovese di passaggio, che la apostrofò: “Belàan, facia de löego, guarda dove vai!” Tradotto in italiano verrebbe da dire: - Ehi, faccia da luogo, guarda dove vai! Un espressione un po’ ermetica, per chi non sa che a Genova il luogo è il gabinetto o meglio il cesso… lercio, fetido e stomachevole, con la tazza sporca, incrostata, traboccante d’acqua ripugnante.
Davanti all’ingresso dell’hotel, Ingrid congedò il marito con la più sfacciata facia de löego. Lui, ignaro del peso che ben avrebbe portato sulla testa, salì sulla limousine piastrellata d’oro e partì, affidandosi ad un autista azzimato.
Giunta in camera l’uomaiola fece qualche piegamento sulle ginocchia e raggiunse la sua poltrona preferita, rimandando la doccia di qualche minuto. “Quel meridionale m’incuriosire”, pensò.
“Io volere sapere tutto di lui, anche i più intimi segreti: taglia, numero scarpe, presenza cicatrici, tatuaggi, protesi, denti d'oro, tempo reazione al solletico, dentifricio, disinfettanti e profilattici preferiti.” Sorrise. Chiamò la reception: “Volere colazione in camera per due, fra un'ora esatta!”
“Madame, sono le tre del mattino”, straripò dall’interfono il portiere di notte, un po’ turbato.
“Non chiedere suo parere: desiderare mangiare con calma. E mi mandare il lift, per commissione urgente”, disse, emettendo una traccia d’edelweiss e lisoformio.
Interrogando in profondità la sua anima che lo stava portando in un ennesimo paradiso di lussuria, Carlo capì che Cupido aveva scagliato le solite frecce che prima penetrano nel cuore dolcemente, poi lo fanno sanguinare da bastardi. “Proprio di una locarnese dovevo innamorarmi?! Ma è incantevole, misteriosa, intrigante, probabilmente non è svizzera, forse è nata a Verbania ed ha una zia a Varallo Sesia. E poi, via, cosa importa, anche se è svizzera nessuno è perfetto, ciò che conta è che s’innamori anche lei.”
Da un gabinetto fermamente informale, era passato ad un’esclusiva lounge, veramente da Principi di Piemonte. Si avvicinò alla reception chiedendo della signora con discrezione. Il portiere disse semplicemente: “L’attende, Suite 00, dodicesimo piano.”
Per salire non prese l’ascensore, che oltre a tutto era fermo proprio al dodicesimo e non dava cenno di sbloccarsi. Completò le scale con affanno. La speranza trepidava ma senza esibirsi troppo. Bussò alla porta, tre leggeri tocchi. Niente. Ribussò con forza. Aprì il ragazzo dell’ascensore, intento a tirarsi su la cerniera dei calzoni. “Sei arrivato? Meno male, con quei denti aguzzi… ho sempre paura che scatti come una tagliola” Scomparve in un lampo.
Molto strano. Carlo restò immobile sulla soglia, con la bottiglia di champagne in mano. Entrò sospettando. Il bagno vibrava di un promettente scrosciare d'acqua. Posò la bottiglia sul tavolo, notando il letto sfatto e un paio di calzini da uomo. Un particolare inquietante per un’elvetica, il disordine. L'evidenza gli gridava in faccia la verità! E lui non voleva capire.
Comparve un elfo luminoso. Quel viso volpino, segnato dal tempo, era grazioso senza fard. La donna sembrava ancor più bionda dopo la doccia. Calda di tumido vapore, era avvolta in una spumeggiante nuvola di spugna bianca. Guardò Carlo con un’espressione di malizia che fingeva stupore. Iniziò ad accarezzargli le labbra sfiorandole con la punta delle dita... un sospiro infinito, poi gli chiese: "Desidera?"
D'istinto lui rispose: "Si vede?"
Colto da un impeto d’incontenibile passione, Carlo si ritrovò in bocca il pollice della sua mano destra e iniziò a succhiarglielo come un lattante. La passione poppava e lei, lì, evanescente, immersa nella bianca ciniglia, sempre più morbida, pareva un angelo. L’uomo ficcò le mani vogliose nell’accappatoio, poi sbuffò: “Amo il latte fresco!”
Lei protese il petto ignudo e gridò: “Mungere tua mucca!”
Carlo iniziò ad abbeverarsi a quella prodiga fonte di raffinatezza. Si sentiva l’allegro pastore e in lei vedeva la sua pezzata bianca. Esaudii ogni suo desiderio, ogni vezzo, ogni piccola mania, anche quella di cronometrare la durata degli amplessi. Il suo erotismo era quello di un’Heidi golosa, di una Susanna dell’Invernizzina, lei scalò più volte la sua virilità a labbra nude, per raggiungere la vetta e sollecitarla a coprirsi di calda, morbida, panna.
La suite era gelida come una piazza abbandonata, all’alba di lunedì primo gennaio 1996. Dopo una notte di furore carnale, finalmente il silenzio.
Carlo la guardava, addormentata. Avrebbe voluto sussurrarle amore, mescolando il suo fiato lieve, odoroso d’alitosi e spumante, con il di lei russare: come avrebbe potuto competere con un marito bastardo e multimiliardario? L'avrebbe rivista? E quanto gli sarebbero costati i viaggi in Svizzera?
Bussarono alla porta. Ingrid si destò di soprassalto e gracchiò: “Ah, per brunch quanti essere?”
Entrarono in due e lei disse: “Perfetto, tu potere sparire. Andare, andare, meridionale.”
Carlo uscì in mutande con i vestiti indecisi in mano. Il suo ricco amore elvetico era una cassaforte ninfomane, che non si apriva per combinazione. Approfittò del gabinetto di servizio in corridoio per rivestirsi.
“Voglio cambiare vita”, pensò. “Prima cosa eviterò i gabinetti dei locali pubblici, così non scriverò più frasi sconce e numeri telefonici sui muri, e…. lo giuro, non farò più pipì nelle agende dei miei collaboratori distratti, che le dimenticano in ufficio.”
Orione era scomparsa nel buio cielo torinese della notte tramontata, mollemente adagiata sul nulla. Bella e tetra, come il sesso senza amore.