POESIA
L’addio di Margherita
In quella sera d’ottobre ho sentito, un dolce profumo, che non dico, soave di promesse, sì sempre le stesse: amore, languore, speranze e dolore, i baci rubati e quelli mai dati. Mi struggo per te, che ormai m’abbandoni, perdona se puoi, ma odo dei suoni, riprendi le chiavi che m'avevi donato... Addio, agra amica, la musica invita a piangere un poco nel giorno che sfuma, passò la tempesta e a sera che resta? Tra lampi e bagliori ormai sale la luna, la candida falce che miete le stelle, le tremule luci di anime belle, che sono promesse, sì, sempre le stesse! E già s’ode un suono di ciaramella, un canto fioco di ninne nanne, dell’infinito la siepe sorella, ci sono i lumi nelle capanne? Tornava una rondine al nido, l’uccisero senza perdono, io sono, io sono, chi sono? Son Pascoli o forse Gozzano? Le inutili cose mi serrano invano, l’amore finito mi strappa le vene, e a fiotti ne esce ratafià d’amarene! Tu m’hai amato, nei begli occhi fermi rideva una blandizie femminina. Tu civettavi con sottili schermi, tu volevi piacermi, Signorina: e più d’ogni conquista cittadina mi lusingò quel tuo voler piacermi. Quel tuo voler, che i dì han trasformato, in bramosia d’aver denaro in sorte, non più il poeta, ma l’uomo in cassaforte, borghese vanità che mena a morte. |