Arte Povera
In teoria la povertà ha un vantaggio: non costa niente, ma nel caso dell’arte povera i poveri non possono comprarsela.
Non che io voglia accusare di qualcosa i ricchi, anche nel mio condominio ci sono i ricchi e i poveri; non andiamo d’accordo ma cantiamo tutto il giorno. Cerchiamo di capire cos’era l’arte povera, che fece tanto furore nel secondo fiorire del ‘900. Il noto critico Celant così la definisce: “Spogliare, render nudi gli archetipi, ridurre ai minimi termini, impoverire i segni…”. Tipo 1 X 2 1 1 X? Ma certo! Una schedina del Totocalcio, una scommessa, un azzardo. Con un pezzo di carta straccia si può diventare ricchi. Questa è l’arte povera. |
Io so chi ha scoperto l’arte povera. Gigi Galli, un vigile urbano di Torino che fermò Mario Mertz per dargli una contravvenzione. Merz gli dà la patente e l’altro si mette a gridare: - Io chiamo la polizia, questo documento è falso, alla voce professione c’è scritto pittore! Perquisirono la vettura e vi trovarono rami nodosi, chiodi, una fionda, un palo di ferro e altri oggetti contundenti. Sospettando la costituzione di banda armata, le autorità perquisirono anche le case di Zorio e Boetti, ma non vi trovarono niente di niente: erano così povere che dovettero dichiararle zona disastrata.
L’arte povera era dunque un disastro? Forse sì, anche perché nacque sull’onda emotiva del cataclisma del Vajont. Da questo, la necessità di rimuovere le macerie, di rinnovare, di scovare l’idea nuova in quello stagno putrescente del dopo guerra.
La gente aveva perso fiducia nell’arte. Non sapevano che nel caso di Michelangelo (non quello della Cappella Sistina ma Pistoletto), era l’arte ad aver perso fiducia in lui.
Pistoletto era un genio, con pochissimo riusciva a creare il nulla. Pare che sua madre per allattarlo usasse il contagocce.
L’arte povera si sviluppò a New York, San Francisco, Roma e Torino, qui vantava uno spiccato accento piemontese ed utilizzava di preferenza gli involti usati dei gianduiotti.
In America, invece, procedeva più modestamente dall’happening, dalla cultura underground, dalle esperienze minimali, dal cinema d’avanguardia. In ogni caso essa sottolinea l’utilizzo di materiali poveri, esalta la pura azione e il rifiuto, anche quello urbano. Per fortuna oggi, con la politica illuminata delle amministrazioni comunali, siamo tutti artisti, grazie alla raccolta differenziata dei rifiuti.
Facciamo un’azione ecologica nel paesaggio, proprio come Andre e Oppenheim. Possiamo dire, assieme a Kounellis, Pascali, Zorio, Prini, Anselmo, Boetti, Merz, Kosuth, De Maria ed Eccetera: viva l’arte, siamo tutti spazzini.
Vorrei quindi proporvi una poesia di mia decomposizione.
ARTE POVERA ARTE
Tu sei un artista povero,
magro, sgangherato, scheletrico,
con la cirrosi mentale,
l’epatite esiziale,
una fidanzata svizzera,
tutte le sfighe.
Tu sei un artista povero,
ma così povero
che la miseria ti fa ridere,
hai visto di peggio.
Tu, invece, sei un artista
dell’arte povera,
tu quando sei depresso
passi intere giornate nei cassonetti
tra la spazzatura più bella.
Perché tu, tu, tu ti rifiuti!
Anzi, no, tu non ti rifiuti,
tu usi i nostri rifiuti e…
impoverisci l’AMIAT.
Passa l’onda, la moda invecchia,
tutto sfiorisce e siamo fritt,
tre passi avanti e crolla il mondo Beat,
ma tu non sei un fan di Celentano,
tu sei un fan del grano.
L’arte povera era dunque un disastro? Forse sì, anche perché nacque sull’onda emotiva del cataclisma del Vajont. Da questo, la necessità di rimuovere le macerie, di rinnovare, di scovare l’idea nuova in quello stagno putrescente del dopo guerra.
La gente aveva perso fiducia nell’arte. Non sapevano che nel caso di Michelangelo (non quello della Cappella Sistina ma Pistoletto), era l’arte ad aver perso fiducia in lui.
Pistoletto era un genio, con pochissimo riusciva a creare il nulla. Pare che sua madre per allattarlo usasse il contagocce.
L’arte povera si sviluppò a New York, San Francisco, Roma e Torino, qui vantava uno spiccato accento piemontese ed utilizzava di preferenza gli involti usati dei gianduiotti.
In America, invece, procedeva più modestamente dall’happening, dalla cultura underground, dalle esperienze minimali, dal cinema d’avanguardia. In ogni caso essa sottolinea l’utilizzo di materiali poveri, esalta la pura azione e il rifiuto, anche quello urbano. Per fortuna oggi, con la politica illuminata delle amministrazioni comunali, siamo tutti artisti, grazie alla raccolta differenziata dei rifiuti.
Facciamo un’azione ecologica nel paesaggio, proprio come Andre e Oppenheim. Possiamo dire, assieme a Kounellis, Pascali, Zorio, Prini, Anselmo, Boetti, Merz, Kosuth, De Maria ed Eccetera: viva l’arte, siamo tutti spazzini.
Vorrei quindi proporvi una poesia di mia decomposizione.
ARTE POVERA ARTE
Tu sei un artista povero,
magro, sgangherato, scheletrico,
con la cirrosi mentale,
l’epatite esiziale,
una fidanzata svizzera,
tutte le sfighe.
Tu sei un artista povero,
ma così povero
che la miseria ti fa ridere,
hai visto di peggio.
Tu, invece, sei un artista
dell’arte povera,
tu quando sei depresso
passi intere giornate nei cassonetti
tra la spazzatura più bella.
Perché tu, tu, tu ti rifiuti!
Anzi, no, tu non ti rifiuti,
tu usi i nostri rifiuti e…
impoverisci l’AMIAT.
Passa l’onda, la moda invecchia,
tutto sfiorisce e siamo fritt,
tre passi avanti e crolla il mondo Beat,
ma tu non sei un fan di Celentano,
tu sei un fan del grano.