Alberto Burri
Alberto Burri nasce nel 1915 a Città di Castello, non lo porta la cicogna ma la Befana dentro un sacco ruvido. Nessuno se ne accorge, neppure il suo omonimo Alberto… Einstein, che però se la prende relativamente.
Nel frattempo a Sarajevo un patriota di passaggi tratta male l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria, facendo scoppiare qualche pettegolezzo sul galateo. Gli austriaci sono un po’ suscettibili, se la prendono e dichiarano guerra al mondo. Qualche mese dopo Domenico Modugno vince il festival di Sanremo con “Volare” e Neil Armstrong lo prende alla lettere e atterra sulla Luna, o meglio … alluna… no, forse eran solo le 12. |
Comunque è un miracolo, come quello che occorre a Burri quando gli appare San Francesco in doppio petto gessato. Gli predice il futuro successo in campo commerciale nel ramo juta, proponendogli una rappresentanza vantaggiosa. Per tutta la vita bruceranno in Burri le parole del santo: “Aiutati, aiutati che il ciel ti juta!”
Dunque, Alberto, appena illuminato, scopre d’essere una stella di prima grandezza, non come la terra che non ha luce propria, ma la riceve dall’ENEL.
Enfant prodige, mosso da un estro smanioso, a soli cinque anni imbratta di sugo, cioccolata e rosso d’uovo le giacche del babbo dopo averle strappate e brucia le bambole di bachelite dello zia, una cretina illuminata da lampi di imbecillità, tanto che prende fuoco per salvare la sua Negrita preferita e si spegne in un incendio. Scioccato, è lo stesso Burri, con l’aiuto della mamma a preparare la camera ardente.
Basteranno semplicemente un fiammifero e un litro di benzina.
Suo padre, per distrarlo dall’arte pirica, lo porta ogni sera nel parco a prendere un po’ di fresco, ma lui ritrova sempre la strada di casa. Esasperato dalle stranezze del ragazzo un giorno decide di buttarlo incidentalmente nel fiume. Alberto ci resta male, impara subito a nuotare, ma fatica non poco ad uscire dal sacco. Da quel giorno il sacco diviene l’elemento compositivo costante delle sue opere, il segno connotativo del suo malessere e della sua bronchite cronica.
Riemergendo dai gorghi con i polmoni pieni d’acqua, Burri riesce addirittura a comporre una canzone, che gli verrà rubata qualche mese dopo da una note urlatrice: - Brlum… le mille bolle blu… brlum… mi sento dondolar… brlum… tra mille bolle blu… che danzano – su grappoli – di nuvole… e salgono… e scendono, e volano… e volano… e volano… brlum… nel ciel.
Tenta l’esame di paroliere alle SIAE, ma lo bocciano, ritenendo le sue composizioni demenziali, incomprensibili e troppo… come dire… annacquate. Sfiduciato, parte per la seconda guerra mondiale, mettendo la firma anche per la terza. Lo catturano gli americani che lo rinchiudono in un campo di concentramento del Texas nel ’44.
La noia lo stimola a muoversi più del solito: dipinge, dipinge, dipinge e dipinge. In pochi giorni tutte le palizzate e le baracche sono rimesse a nuovo. Instancabile, inizia a calpestare con veemenza enormi teli di juta, inventando così il rock and roll acrobatico coloristico, poi… li brucia.
Due sergenti di stanza nel campo gliene saranno eternamente riconoscenti, sono Elvis Presley e Marlon Brando, che di lì a poco girerà “Gioventù Bruciata”.
Nei ritagli di tempo e di sacco, scrive i famosi “Quaderni Bruciacchiati dal Carcere” e inizia una fitta corrispondenza con Palmiro Togliatti, delineando i termini storici della frattura fra la linea artistico popolare del partito e la sua, decisamente meno pop. Luigi Longo gli dedica una corrosivo editoriale su “Rinascita”, dal titolo “Vinceremo le elezioni e lo scudetto senza Sacchi”. (Discografia consigliata: Paolo Spriano – Storia del Pop Comunista d’Italia – Einaudi 1974.)
Nel ’45 Burri si stabilisce a Roma dove beve un caffè con Pasolini al Caffè Greco.
Nel ’51 firma, con Caporossi, Ballocco e Colla, quaranta cambiali che andranno in protesto ed anche il Manifesto del Gruppo Origine, forse l’evento più importante di quel periodo, dopo le vittorie a ripetizione di Fausto Coppi.
Ugo La Malfa, noto estimatore di Bartali e di Fontanesi (durante un’infuocata seduta parlamentare) invoca la pena di morte e leggi speciali per chi attenta al decoro della patria repubblicana con la degenerata arte comunista. Lo spalleggia anche Giuseppe Saragat, soprannominato il Rosso Antico, non per la sua militanza partigiana e socialista, ma per la sua passione alcolista.
Finalmente, nel ’52, s’impone all’attenzione internazionale con un’idea originale. Espone in Inghilterra i suoi sacchi sbrindellati e Giorgio VI muore. Sale al trono Elisabetta II, mentre le ultime creazioni di Burri in Argentina offrono l’immagine di una realtà desolata e logorata dal tempo, e… muore Evita Peròn.
Qualcuno sostiene che le sottili cuciture, le lacerazioni, i lembi ammuffiti della sua poetica siano strettamente correlati con gli avvenimenti di tutti i giorni. Certo che gli inserti cromatici coloratissimi rimandano tragicamente alle ferite e agli strappi fisici e morali del Paese, ed il Po straripa, coprendo il Polesine. Migliaia di alluvionati, decine di morti.
Ormai tutti temono gli umori iconoclasti di Burri. Nel ’56 passa dai sacchi ai legni infuocati e… i carri armati sovietici invadono l’Ungheria, spegnendo nel sangue l’insurrezione di Budapest! Perché l’URSS e Burri presero questa decisione? Perché sì, perché no, perché dirvi non so… e se ci facessimo un po’ i sacchi nostri?
Era chiaro che legni, strappi e cuciture diventavano piaghe che colavano umori e patimenti – Combustione legno ’57 - . E’ il fuoco, è il fumo. Per pura combinazione un conoscente di vista dell’artista, l’onorevole Trabucchi, viene coinvolto a proposito di fuoco e fumo, nello scandalo dei tabacchi. Prende tangenti, ma si giustifica dicendo di fare solo da… filtro.
Gli anni ’60 sono uno scintillio di creazione per Burri. Nelle plastiche bruciate vi è il segno di una nuova e più feroce violenza. L’artista approda negli Stati Uniti d’America nel 1963, nel novembre dello stesso anno viene assassinato a Dallas John Kennedy.
Perché Lee Oswald e Burri presero quella decisione? Per movimentare un po’ la serata? Per vedere cosa c’era dentro? Perché, hello boys, traversammo tutto l’Illinois, valicammo il Tennessee per venire fino a qui a portarvi il Dada Umpa? Forse non c’entra molto, ma la precedente citazione serve per riempire un anno insapore per Burri, il 1964, quando in Italia andò in onda Studio 1 con le famose Gambe Kessler.
Il 1965, invece, vede nascere la mitica plastica bruciata dal titolo “Bianco B4”. Opera che annuncia altre catastrofi, come il suicidio di Luigi Tenco, l’alluvione di Firenze del ’66, il falso allunaggio televisivo condotto da Tito Stagno e l’imminente strage di Piazza Fontana. La disfatta più tremenda è quella di “Plastiche al Rogo n°6”, che decreta l’eliminazione della nazionale italiana dai mondiali di calcio da parte della Corea.
Questo, in sintesi, è Burri: un uomo, un fuoco sacro, un sacco bruciante, una calamità.
Dunque, Alberto, appena illuminato, scopre d’essere una stella di prima grandezza, non come la terra che non ha luce propria, ma la riceve dall’ENEL.
Enfant prodige, mosso da un estro smanioso, a soli cinque anni imbratta di sugo, cioccolata e rosso d’uovo le giacche del babbo dopo averle strappate e brucia le bambole di bachelite dello zia, una cretina illuminata da lampi di imbecillità, tanto che prende fuoco per salvare la sua Negrita preferita e si spegne in un incendio. Scioccato, è lo stesso Burri, con l’aiuto della mamma a preparare la camera ardente.
Basteranno semplicemente un fiammifero e un litro di benzina.
Suo padre, per distrarlo dall’arte pirica, lo porta ogni sera nel parco a prendere un po’ di fresco, ma lui ritrova sempre la strada di casa. Esasperato dalle stranezze del ragazzo un giorno decide di buttarlo incidentalmente nel fiume. Alberto ci resta male, impara subito a nuotare, ma fatica non poco ad uscire dal sacco. Da quel giorno il sacco diviene l’elemento compositivo costante delle sue opere, il segno connotativo del suo malessere e della sua bronchite cronica.
Riemergendo dai gorghi con i polmoni pieni d’acqua, Burri riesce addirittura a comporre una canzone, che gli verrà rubata qualche mese dopo da una note urlatrice: - Brlum… le mille bolle blu… brlum… mi sento dondolar… brlum… tra mille bolle blu… che danzano – su grappoli – di nuvole… e salgono… e scendono, e volano… e volano… e volano… brlum… nel ciel.
Tenta l’esame di paroliere alle SIAE, ma lo bocciano, ritenendo le sue composizioni demenziali, incomprensibili e troppo… come dire… annacquate. Sfiduciato, parte per la seconda guerra mondiale, mettendo la firma anche per la terza. Lo catturano gli americani che lo rinchiudono in un campo di concentramento del Texas nel ’44.
La noia lo stimola a muoversi più del solito: dipinge, dipinge, dipinge e dipinge. In pochi giorni tutte le palizzate e le baracche sono rimesse a nuovo. Instancabile, inizia a calpestare con veemenza enormi teli di juta, inventando così il rock and roll acrobatico coloristico, poi… li brucia.
Due sergenti di stanza nel campo gliene saranno eternamente riconoscenti, sono Elvis Presley e Marlon Brando, che di lì a poco girerà “Gioventù Bruciata”.
Nei ritagli di tempo e di sacco, scrive i famosi “Quaderni Bruciacchiati dal Carcere” e inizia una fitta corrispondenza con Palmiro Togliatti, delineando i termini storici della frattura fra la linea artistico popolare del partito e la sua, decisamente meno pop. Luigi Longo gli dedica una corrosivo editoriale su “Rinascita”, dal titolo “Vinceremo le elezioni e lo scudetto senza Sacchi”. (Discografia consigliata: Paolo Spriano – Storia del Pop Comunista d’Italia – Einaudi 1974.)
Nel ’45 Burri si stabilisce a Roma dove beve un caffè con Pasolini al Caffè Greco.
Nel ’51 firma, con Caporossi, Ballocco e Colla, quaranta cambiali che andranno in protesto ed anche il Manifesto del Gruppo Origine, forse l’evento più importante di quel periodo, dopo le vittorie a ripetizione di Fausto Coppi.
Ugo La Malfa, noto estimatore di Bartali e di Fontanesi (durante un’infuocata seduta parlamentare) invoca la pena di morte e leggi speciali per chi attenta al decoro della patria repubblicana con la degenerata arte comunista. Lo spalleggia anche Giuseppe Saragat, soprannominato il Rosso Antico, non per la sua militanza partigiana e socialista, ma per la sua passione alcolista.
Finalmente, nel ’52, s’impone all’attenzione internazionale con un’idea originale. Espone in Inghilterra i suoi sacchi sbrindellati e Giorgio VI muore. Sale al trono Elisabetta II, mentre le ultime creazioni di Burri in Argentina offrono l’immagine di una realtà desolata e logorata dal tempo, e… muore Evita Peròn.
Qualcuno sostiene che le sottili cuciture, le lacerazioni, i lembi ammuffiti della sua poetica siano strettamente correlati con gli avvenimenti di tutti i giorni. Certo che gli inserti cromatici coloratissimi rimandano tragicamente alle ferite e agli strappi fisici e morali del Paese, ed il Po straripa, coprendo il Polesine. Migliaia di alluvionati, decine di morti.
Ormai tutti temono gli umori iconoclasti di Burri. Nel ’56 passa dai sacchi ai legni infuocati e… i carri armati sovietici invadono l’Ungheria, spegnendo nel sangue l’insurrezione di Budapest! Perché l’URSS e Burri presero questa decisione? Perché sì, perché no, perché dirvi non so… e se ci facessimo un po’ i sacchi nostri?
Era chiaro che legni, strappi e cuciture diventavano piaghe che colavano umori e patimenti – Combustione legno ’57 - . E’ il fuoco, è il fumo. Per pura combinazione un conoscente di vista dell’artista, l’onorevole Trabucchi, viene coinvolto a proposito di fuoco e fumo, nello scandalo dei tabacchi. Prende tangenti, ma si giustifica dicendo di fare solo da… filtro.
Gli anni ’60 sono uno scintillio di creazione per Burri. Nelle plastiche bruciate vi è il segno di una nuova e più feroce violenza. L’artista approda negli Stati Uniti d’America nel 1963, nel novembre dello stesso anno viene assassinato a Dallas John Kennedy.
Perché Lee Oswald e Burri presero quella decisione? Per movimentare un po’ la serata? Per vedere cosa c’era dentro? Perché, hello boys, traversammo tutto l’Illinois, valicammo il Tennessee per venire fino a qui a portarvi il Dada Umpa? Forse non c’entra molto, ma la precedente citazione serve per riempire un anno insapore per Burri, il 1964, quando in Italia andò in onda Studio 1 con le famose Gambe Kessler.
Il 1965, invece, vede nascere la mitica plastica bruciata dal titolo “Bianco B4”. Opera che annuncia altre catastrofi, come il suicidio di Luigi Tenco, l’alluvione di Firenze del ’66, il falso allunaggio televisivo condotto da Tito Stagno e l’imminente strage di Piazza Fontana. La disfatta più tremenda è quella di “Plastiche al Rogo n°6”, che decreta l’eliminazione della nazionale italiana dai mondiali di calcio da parte della Corea.
Questo, in sintesi, è Burri: un uomo, un fuoco sacro, un sacco bruciante, una calamità.